“SICCITÀ, ANNI PERSI. NON SIAMO PRONTI PER L’ESTATE” da IL FATTO
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“SICCITÀ, ANNI PERSI. NON SIAMO PRONTI PER L’ESTATE” da IL FATTO

“Siccità, anni persi e adesso non siamo pronti per l’estate”

IL PRESIDENTE DELL’ANBI VINCENZI – “Primo obiettivo è trattenere l’acqua piovana, poi migliorare la rete. I soldi ci sono, ma vanno spesi: la burocrazia ci fa perdere sette anni”

LEONARDO BISON   6 MARZO 2023

Secondo i dati del Cnr oggi tra il 6 e il 15% degli italiani vive in territori esposti a siccità: in estate 3,5 milioni di persone rischiano di non avere acqua potabile. Dati che sono arrivati all’attenzione del consiglio dei Ministri il 23 febbraio e lo stato emergenziale è divenuto un fatto riconosciuto. Molto del merito per questo cambio di rotta va al lavoro di Anbi, l’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue: esiste dal 1922, ma da qualche mese è al centro dell’attenzione mediatica con i suoi dati e le sue proposte. Abbiamo raggiunto il suo presidente, Francesco Vincenzi, in carica dal 2019, per qualche domanda.

Ci può spiegare in breve la situazione?

Semplicemente l’Italia ora sta subendo la crisi climatica più importante degli ultimi anni e c’è un’enorme pressione sulle risorse idriche. La lista dei casi limite ormai è sui giornali. Abbiamo un’Italia capovolta: la siccità si registra soprattutto nelle regioni del Nord, dove non eravamo abituati neppure a immaginarla. E questo accade proprio perché non era attesa: al Sud, coi fondi della Cassa del Mezzogiorno, si è ottenuta dagli anni 70 una capacità di invaso buona, al Nord invece non è stato fatto quasi nulla. E oggi siamo di fronte all’imprevisto: piove e nevica poco, le temperature sono più alte, da due anni abbiamo difficoltà a rimpinguare le falde sotterranee. I rischi sono enormi.

Sono parole simili a quelle che usava giusto un anno fa: la situazione adesso è peggiore?

Il punto è proprio che siamo a due anni consecutivi di siccità. Fino al 2000 contavamo un anno di siccità ogni 10, più o meno, mentre dal 2000 a oggi abbiamo contato 9 anni di siccità: 9 su 22. Ora quindi è la situazione è emergenziale, ma già nel 2017, nel 2019, nei mesi autunnali e invernali aveva piovuto pochissimo, soprattutto nel bacino padano. I segni c’erano tutti. Solo che l’anno successivo era andata meglio: oggi invece abbiamo tutti i grandi bacini al minimo storico, anche quello del Po, che mai avremmo immaginato potesse trovarsi carente d’acqua. L’anno scorso i maggiori laghi avevano tutti un riempimento oltre il 50%, ora il Garda è al 35%, il Maggiore è al 27% e siamo solo a febbraio. Ci sono zone del Piemonte o della Romagna che sono a rischio di desertificazione. Ci dobbiamo muovere in fretta.

Quali sono i principali problemi irrisolti?

Di fronte a cambiamenti climatici come questi bisognava investire per il trattenimento dell’acqua. Lo dicono i dati. Altri Paesi del Sud Europa hanno fatto molto di di più: in Spagna e Portogallo, ad esempio, negli anni 80 e 90 si è passati da una capacità di trattenere il 7-8% dell’acqua piovana a quasi il 40%. Noi abbiamo una media nazionale dell’11%: meglio al Sud, ma in alcune regioni del Nord siamo al 5-6%. È mancato il coraggio di toglierci paure di dosso, la volontà di cambiare in meglio. Oggi tocca fare tutte le opere necessarie e farle in fretta.

Cosa andrebbe fatto nell’immediato, già ora?

Intanto aumentare la conoscenza e la coscienza di tutti nell’uso dell’acqua: gran parte della dispersione è legata ad usi antropici e umani, quindi c’è bisogno di agire anche a livello culturale. Tutto il resto richiede tempo, ma dobbiamo iniziare subito a risparmiare. Dal punto di vista agricolo è necessario adeguare gli impianti, efficientare. Ci sono cose che si possono fare anche in pochi mesi: ad esempio diffondendo l’uso di sistemi per permettere di ridurre del 25% l’utilizzo dell’acqua sulle colture. L’ortofrutta già oggi è irrigata con sistemi ad altissima efficienza.

E in tempi medio-lunghi?

Nei prossimi due anni dobbiamo migliorare la rete. Lo stiamo già in parte facendo, coi fondi del Piano nazionale di sviluppo rurale (Pnsr) e coi fondi di coesione europei. Ma la situazione in alcuni casi è ancora imbarazzante, abbiamo comuni serviti con le autobotti. Dobbiamo migliorare in particolare l’utilizzo delle acque reflue, riuscire a utilizzarle in modo integrativo, cosa che oggi avviene solo in parte. E poi nei prossimi 10 anni dobbiamo aumentare la capacità d’invaso al 40%. Dobbiamo agire pensando alla multifunzionalità dell’acqua, partendo dall’uso antropico-umano, senza sprecare nulla. Abbiamo un ministero intitolato alla “sovranità alimentare”: va benissimo, quindi cerchiamo di raggiungerla. Noi di Anbi abbiamo il nostro “piano laghetti” che prevede 10mila invasi entro il 2030 e siamo pronti a fare la nostra parte.

Ci dica di più.

Abbiamo progettato invasi in cui si potrà produrre energia con pannelli fotovoltaici galleggianti, evitando di coprire le colture. E quell’acqua, raccolta, deve avere valenza importante anche per la fruibilità del territorio: tutti questi progetti vanno costruiti parlando coi territori. Va ridotto il cemento, integrando questi invasi nell’ambiente circostante. Nulla deve essere imposto dall’alto, non possiamo permettercelo.

I soldi del Pnrr, e gli altri fondi stanziati, basteranno?

Ci sono tanti soldi che stanno andando a gara, sia per il Pnrr sia per il Pnsr. Siamo vicini alle inaugurazioni di alcuni progetti. Ora bisognerà programmare al meglio i fondi di coesione. Ma il vero tema è spenderli: se è un’emergenza, servono tempi certi. Oggi solo l’iter autorizzativo implica da 5 ai 7 anni. Così non si può andare avanti. Noi siamo pronti, già a novembre scorso avevamo 223 progetti cantierabili, ora ne abbiamo più di 240. Si deve avere il tempo di scegliere i progetti migliori, ma per farlo bisogna snellire i processi d’autorizzazione. In questo senso, la proposta del governo di un supercommissario e soprattutto di una cabina di regia interministeriale ci pare corretta e utile. Lo avevamo chiesto anche l’anno scorso, poi in estate ha piovuto, è caduto il governo… ed eccoci qui.

L’Italia dovrà cambiare il modo in cui vive? E con quali costi?

Non parliamo di costi. Parliamo di vantaggi. Se pensassimo di spendere, ad esempio, un miliardo all’anno in questo percorso potremmo fare tutto il necessario in 10 anni. Bene, solo nel 2022 la siccità in agricoltura ha creato danni da 6 miliardi di euro. In luglio si sono fermate le centrali idroelettriche e a gas. Parliamo di un investimento per il futuro. Questa non è questione di agricoltura, ma un investimento per l’ambiente, per tutelare la biodiversità e tutta la popolazione italiano. Agli scettici su questioni ambientali dico: parliamoci, costruiamo, lavoriamo insieme. Vediamo l’emergenza come un’opportunità per crescere.

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