RESISTENZA AL CAMBIO CLIMATICO: “I FRIDAYS IN PIAZZA” da IL MANIFESTO
Resistenza al cambio, quello climatico: i Fridays in piazza
CLIMA. Giornata di azione il 15 settembre e sciopero il 6 ottobre per il movimento ispirato da Greta. Rigassificatori, investimenti fossili, piano Mattei: l’attacco diretto a Meloni
Luca Martinelli 09/09/2023
«L’Italia è a un nuovo capitolo della storia climatica: ondate di calore, alberi sradicati dal vento, chicchi di grandine come palle da tennis e alluvioni. È il capitolo della devastazione, che rende l’azione collettiva indispensabile». Firmato Fridays For Future.
Il movimento per la giustizia climatica ha scelto l’8 settembre, nell’ottantesimo anniversario della firma dell’armistizio e della nascita della Resistenza, per annunciare che la resistenza climatica «partirà il 15 settembre con la giornata di azione globale per il clima e tornerà nelle principali piazze d’Italia con lo sciopero del 6 ottobre». La nota contiene un invito a «tutte le associazioni, i sindacati e i movimenti ad aderire e a partecipare attivamente allo sciopero in ogni città», anche come forma di risposta spontanea al negazionismo del governo.
L’ATTACCO è diretto all’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, «che, all’indomani della catastrofe, nega ogni correlazione tra fenomeni estremi e crisi climatica, è un governo negazionista. E per questo inadeguato a indicare risposte per prevenire i peggiori scenari prospettati dalla scienza climatica» sottolinea Giacomo Zattini, 26 anni: è uno dei portavoce del movimento, ha partecipato alle conferenze Onu sul clima Cop26 e Cop27.
«LA PRIMA CAUSA dell’aumento delle temperature, e di conseguenza dei fenomeni climatici estremi, sono i combustibili fossili, su cui l’Italia continua a investire ampiamente», continua la nota del Fridays for Future. «Il nostro paese ha una responsabilità importante nelle politiche di mitigazione mondiali, date le sue emissioni storiche. L’Italia dovrà superare gli obiettivi di decarbonizzazione dell’Unione europea, riducendo le sue emissioni di gas climalteranti dell’80% entro il 2030 e decarbonizzando totalmente il settore elettrico entro il 2035. Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, significa abbandonare immediatamente ogni nuovo investimento in carbone, petrolio e gas. Una linea in controtendenza rispetto al piano Mattei, con il quale il governo vincola il paese al fossile e lo condanna a eventi estremi sempre più frequenti e intensi».
COME DIMOSTRA la vicenda dei rigassificatori o l’atteggiamento da ultras del governo di fronte alla scoperta di ogni nuovo giacimento da parte di Eni, l’Italia non è pronta a dire stop ai combustibili fossili. Ecco perché «la protesta contro gli investimenti fossili è un atto di resistenza: non resteremo a guardare mentre il mondo viene condannato a morire. Possiamo vivere senza combustibili fossili, ma non sopravviveremmo un giorno senza le risorse del pianeta» dice Alessandro Marconi, attivista di Roma. Su tutte l’acqua. Con il movimento che propone alcune soluzioni per tutelarla e garantire maggiori difese naturali ai fenomeni estremi. Si parla di ridurre i consumi, ripristinare gli alvei originari dei fiumi, tutelare e promuovere la salute del suolo, favorire l’assorbimento dell’acqua nel suolo, spingere la forestazione, ripristinare i fondi del Pnrr per il dissesto idrogeologico.
«È SPECULARMENTE emblematico che, con l’attuale governo, si siano inasprite le misure repressive nei confronti di chi oggi manifesta pacificamente e resiste praticando la disobbedienza civile» continua Fff Italia. Resistere, così, è per i giovani anche un modo per non lasciarsi «immobilizzare dall’eco-ansia» dice Ester Barel, ventenne attivista di Fridays for Future Milano: «È il momento di esserci fisicamente, perché la resistenza è un atto fisico, che non si fa stando in casa, ma manifestando insieme nelle piazze e proponendo alternative concrete per tutti e tutte».
Accordo di Parigi, l’Onu: «Servono più sforzi»
CLIMA. Il documento a 83 giorni dalla Cop28. Le prossime negoziazioni a Dubai si preannunciano molto dure
Luca Martinelli 09/09/2023
I paesi di tutto il mondo devono fare «molto di più, ora, su tutti i fronti» nella lotta contro il cambiamento climatico. Le Nazioni Unite bocciano senza appello lo sforzo globale legato alla riduzione delle emissioni climalteranti, secondo quanto emerge da una prima valutazione dell’attuazione dell’Accordo di Parigi del 2015, pubblicata oggi dall’Onu a 83 giorni dalla Cop28 di Dubai.
Gli effetti sulle temperature dall’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera sono evidenti a tutti: «Il mondo non è sulla traiettoria per raggiungere gli obiettivi a lungo termine dell’accordo di Parigi» si legge nella valutazione, che è stata pubblicata sotto l’egida della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc). Questo report è un documento di lavoro, che servirà ai quasi 200 paesi riuniti al vertice delle Nazioni Unite di quest’anno per valutare quanto siano lontani dal rispettare le promesse di fermare il riscaldamento globale: è una specie di check up su ciò che i singoli paesi hanno fatto finora, ossia per limitare il riscaldamento a 1,5°C. Un obiettivo realizzabile, spiegano le Nazioni Unite, solo se le emissioni di CO2 cominceranno effettivamente a scendere a partire dal 2026.
Il bilancio reso noto dall’Onu è il primo esercizio del genere dall’Accordo del 2015. I dati raccolti nel documento costituiranno la base incontestabile delle prossime negoziazioni che si preannunciano molto dure alla 28ma Conferenza sul clima delle Nazioni Unite, che è in programma dal 30 novembre al 12 dicembre negli Emirati Arabi Uniti. Per il raggiungimento della neutralità carbonica la discussione non potrà prescindere da una riflessione definitiva sul futuro delle energie fossili, che sono carbone, petrolio e gas.
A Parigi le nazioni del mondo si erano impegnate a limitare l’aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali e a continuare gli sforzi per limitarla a 1,5°C, ma oggi – avverte il rapporto – «c’è una finestra che si sta chiudendo rapidamente per aumentare le ambizioni e attuare gli impegni esistenti al fine di limitare il riscaldamento a 1,5°C». Ecco perché il rapporto suggerisce nuovamente di intensificare gli sforzi in materia finanziaria, soprattutto verso i paesi in via di sviluppo, ma anche quelli di riduzione delle emissioni e per l’adattamento ai cambiamenti climatici. Per raggiungere i propri obiettivi – conclude il rapporto – l’umanità deve «ridurre le emissioni globali di gas serra del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035 rispetto ai livelli del 2019», e raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050.
Kate Abnett, corrispondente europea per il clima e l’energia per l’agenzia Reuters, ha scritto che la pubblicazione del report sarà probabilmente «politicamente divisiva». Nel senso che servono impegni e interventi più radicali. Ieri a Nuova Delhi, dov’è in corso il G20, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha affermato che i leader dei venti hanno il potere di resettare una crisi climatica che «sta andando fuori controllo» e li ha esortati a rimodellare le regole finanziarie globali, che ha descritto come obsolete e ingiuste. «Ho proposto un Patto di solidarietà climatica, in cui i grandi emettitori compiono ulteriori sforzi per ridurre le emissioni, e i paesi più ricchi sostengono le economie emergenti per raggiungere questo obiettivo. La crisi climatica sta peggiorando drammaticamente, ma la risposta collettiva manca di ambizione, credibilità e urgenza» ha detto Guterres.
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