PUTIN NON MOLLERÀ L’IRAN E NON SI FIDA DI ERDOGAN da IL FATTO e IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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PUTIN NON MOLLERÀ L’IRAN E NON SI FIDA DI ERDOGAN da IL FATTO e IL MANIFESTO

Putin non mollerà l’Iran e non si fida di Erdogan

Alessandro Orsini  7 Dicembre 2024

La Siria sta sprofondando nel caos. Le milizie filo-turche hanno conquistato Aleppo e Hama. È una sconfitta per Putin che ha combattuto per anni in Siria con Iran, Hezbollah ed esercito siriano, per ricondurre il Paese sotto il controllo di Bashar al Assad, suo fedelissimo alleato. Alcuni parlano di un Putin disperato che starebbe meditando di abbandonare l’Iran in Siria per abbracciare la Turchia. La tesi che si diffonde è appunto questa: Putin, resosi conto che l’Iran è troppo debole, preferirebbe abbandonarlo per la Turchia. Insomma, un cambio clamoroso di alleanza. Non credo che questo sia il ragionamento di Putin per una serie di ragioni che riassumo in una frase: l’egemonia della Turchia sulla Siria non sarebbe un buon affare per la Russia.

In primo luogo, scaricare l’Iran in Siria significherebbe mandare in fumo l’alleanza strutturale che Putin sta costruendo su scala globale contro gli Stati Uniti. Questa alleanza include Iran, Cina e Corea del Nord. Scaricare l’Iran in Siria per lasciare il Paese in mano alla Turchia sarebbe contrario alla strategia geopolitica complessiva di Putin. Si aggiunga che il gruppo che sta avanzando in Siria, Hayat Tahir al-Sham, è una formazione jihadista. Il terrorismo islamico è un problema enorme per la Russia. Il successo strepitoso di Hayat Tahir al-Sham esalterebbe il variegato universo jihadista. La diffusione del terrorismo jihadista è collegata a ondate di entusiasmo generate dai successi militari. Si pensi all’esaltazione sprigionata dai successi jihadisti tra il 2014 e la fine del 2015, quando l’Isis controllava un’area di circa 12 milioni di abitanti tra Siria e Iraq. Putin ha importantissime basi militari in Siria. Putin non è allettato dalla prospettiva di una Siria jihadista: una pessima notizia anche per Israele.

Il cambio di alleanza conviene poco alla Russia per un’altra ragione. Erdogan, agli occhi di Putin, è infinitamente meno affidabile di Bashar al Assad. Putin non percepisce Erdogan come un leader affidabile per gli interessi geopolitici della Russia. L’idea che Putin ed Erdogan siano amici stretti è una distorsione occidentale. Questo è il nostro punto di vista, non quello di Putin. Per Putin, Erdogan pensa e agisce come se la Turchia fosse una grande potenza, cioè, in modo opportunistico e spregiudicato. Erdogan compra gas dalla Russia a buon prezzo mentre fornisce assistenza militare a Zelensky contro Putin. Il 3 luglio 2024, Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, ha escluso categoricamente che Erdogan possa essere il mediatore del conflitto in Ucraina: “No, è impossibile”. Il 1° novembre scorso, Lavrov ha rimproverato pubblicamente Erdogan per avere dato i droni Bayraktar all’Ucraina. Si ricordi che il 24 novembre 2015, Erdogan ha abbattuto un aereo russo entrato per errore nei cieli turchi per soli 17 secondi. Timoroso della reazione di Putin, Erdogan chiese aiuto alla Nato contro Putin. Agli occhi di Putin, Khamenei è altamente affidabile; Erdogan, invece, è altamente inaffidabile. Ci sono anche ragioni strutturali per cui il cambio di alleanza conviene poco alla Russia. Putin sa che la Turchia, per le caratteristiche della sua economia, è ricattabile dalle sanzioni dell’Occidente. Infine, sa che la Turchia è piena di forze filo-occidentali che, peraltro, hanno già cercato di rovesciare Erdogan, il 15 luglio 2016. Immaginiamo che la Turchia assuma il controllo della Siria. Che cosa accadrebbe se un giorno le forze filo-americane assumessero il controllo della Turchia?

In terzo luogo, il cambio di alleanza conviene poco a Putin perché la Turchia non ha la capacità di controllare la Siria. Questo controllo non è riuscito a Iran, Russia, Hezbollah ed esercito siriano messi insieme. Come si può pensare che la Turchia riesca in questa impresa smisurata finanziando una milizia jihadista? Senza considerare che l’Iran investirebbe molte risorse per riprendersi la Siria.

Che cosa potrebbe accadere in futuro? Più che cambiare alleanza, a Putin conviene rinsaldare quella esistente. Non ci sono dubbi sul fatto che Hezbollah in Siria sia stato indebolito da Israele e che i russi siano stati indeboliti dalla Nato in Ucraina. Tuttavia, lo scenario più probabile è che l’Iran, la Russia, Assad e Hezbollah, si organizzino per il contrattacco. Questa situazione conviene alla Casa Bianca. La Siria è sua nemica. Maggiore è la sua distruzione, più grande è il guadagno americano. Non a caso, la Casa Bianca si è sempre opposta a ogni pacificazione lavorando soltanto per rinfocolare la guerra civile. Inoltre, l’esercito americano occupa illegalmente una porzione del territorio della Siria, dove ha stabilito la base di al Tanf, utile, tra le altre cose, ad abbattere i missili iraniani. In conclusione, povera Siria. Il suo martirio non avrà fine.

Erdogan si scopre: «L’obiettivo è la Damasco»

Sulla via di Damasco Il presidente turco ieri ha confermato che la meta dell’offensiva jihadista in Siria sostenuta dalla Turchia è rovesciare Bashar Assad

Michele Giorgio  07/12/2024

Recep Tayyip Erdogan, grande architetto dell’attacco dei jihadisti sunniti in Siria, ieri è uscito allo scoperto proclamando il suo pieno sostegno all’offensiva che in una settimana ha preso Aleppo e Hama e che presto potrebbe conquistare anche Homs. «Dopo Idlib, Hama e Homs l’obiettivo sarà Damasco. La marcia delle forze di opposizione va avanti. Speriamo che continui senza problemi», si è augurato presidente turco, parlando con i giornalisti a Istanbul. Ha aggiunto di aver «lanciato un appello» al presidente siriano Bashar Assad. «Abbiamo detto, forza, determiniamo assieme il futuro della Siria. Purtroppo, non abbiamo ricevuto una risposta positiva», ha riferito. A questo punto, con le forze armate siriane a pezzi e Damasco ormai nel mirino dei jihadisti, oggi a Doha il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan incontrerà i colleghi russo e iraniano, Serghej Lavrov e Abbas Araghchi, per dettare, con ogni probabilità, le condizioni della resa di Assad. Potrebbe apparire esagerato, o prematuro, non è così.

LE TRUPPE governative, infatti, si raccolgono a difesa solo di Damasco, mentre le ong e agenzie dell’Onu rimandano a casa il personale non essenziale. Non è chiaro cosa farà l’Italia, unico paese dell’Ue con un ambasciatore a Damasco. Gli sfollati della nuova guerra sono già 370mila, un numero destinato ad aumentare. Già si intravede l’esodo della comunità cristiana, una delle più antiche del Medio oriente se i jihadisti prenderanno la capitale. L’esercito siriano ieri ha abbandonato anche Deir Ezzor, nella Siria orientale. Il suo posto è stato preso immediatamente dalle milizie curde Sdf che hanno poi spiegato di essere intervenute per garantire protezione alla popolazione della città e dei centri vicini, di fronte al riemergere dell’Isis in quella zona. Con il crollo dell’esercito siriano, cellule dello Stato islamico, combattuto in passato soprattutto dai curdi, sono prontamente riapparse nella Valle dell’Eufrate e sulla strada tra Homs e Palmira. I leader dell’autonomia curda nel nord-est della Siria hanno capito che le forze governative sono come neve al sole e che, pertanto, presto le Sdf dovranno di nuovo fare i conti con l’Isis e confrontarsi con i miliziani di Hay’at Tahrir al Sham (Hts, l’ex braccio siriano di Al Qaeda), armati e finanziati dal nemico Erdogan e alla guida dell’offensiva cominciata a fine novembre. Sanno che l’appoggio che ricevono dagli Usa non servirà a molto se Ankara deciderà di attaccare militarmente l’Autonomia curda nord-est della Siria. Lo scontro con Hts perciò è possibile.

NESSUNO CREDE che i jihadisti lasceranno ai curdi il controllo dei giacimenti di petrolio e gas nella Siria orientale come è avvenuto sino ad oggi con la benedizione di Washington. Il cosiddetto Esercito nazionale siriano, una milizia mercenaria islamista agli ordini della Turchia, già preme sull’Autonomia curda. Mazloum Abdi, leader delle Sdf, ha parlato di «una nuova realtà politica e militare» e ha fatto sapere di volere «una de-escalation con Hts e altre parti e risolvere i problemi attraverso il dialogo». Un tono conciliante che forse non troverà interlocutori. Intanto nel sud della Siria, forze antigovernative non meglio precisate e, pare, anche milizie dell’Isis, hanno preso il controllo di Deraa (la città nel 2011 teatro di proteste popolari contro Assad), della città drusa di Suwayda e del valico di confine con la Giordania.

IN SIRIA chi si oppone ad Hts e al suo comandante Abu Mohammad Al Julani – ieri intervistato dalla Cnn, ha confermato che l’obiettivo è di rovesciare il regime di Bashar Assad «con tutti i mezzi disponibili» – guarda con sgomento alla mancanza di azioni significative da parte degli storici alleati iraniani e iracheni, mentre la Russia pur fornendo un importante appoggio dal cielo non vuole o non può offrire un aiuto maggiore militare. Certo, Teheran ribadisce che continuerà a sostenere la Siria «con tutto ciò che è necessario» e promette di inviare missili e droni e di aumentare il numero dei suoi consiglieri nel paese. Allo stesso tempo non preme sulle Forze di Mobilitazione Popolare irachene (Hashd al Shaabi), la coalizione di milizie sciite irachene filo-iraniane, affinché mandino uomini e mezzi a combattere in Siria. Al Fayyad, il capo delle Hashd al Shaabi, detto ieri a Baghdad che quanto sta accadendo in Siria «è una questione interna». Al momento solo 200 sciiti iracheni sono entrati in Siria.

MOLTO in queste ore è legato al destino di Homs e alle residue capacità di ciò che resta delle forze governative, aiutate da Mosca che non vuole perdere le strategiche basi navali ed aeree che mantiene sulla costa siriana. Gli unici combattenti ben addestrati che potrebbero concretamente aiutare Assad sono quelli di Hezbollah. Il movimento sciita libanese sa che la caduta di Homs e la conquista da parte di Hts della vicina cittadina di Qusair, al confine tra Siria e Libano, chiuderebbe la sua principale via d’accesso alla Siria e ai rifornimenti di armi dall’est. Per questo Hezbollah ha inviato forze di élite a Homs dopo l’arrivo a 1 km di avanguardie jihadiste. Troppo poco, ma il suo leader Naim Qassem è stato vago su un coinvolgimento pieno di Hezbollah nella guerra civile siriana come era avvenuto negli anni passati. Il gruppo sciita ha subito perdite pesanti negli attacchi di Israele in Libano del sud e deve riorganizzarsi. Senza dimenticare che il cessate il fuoco con Tel Aviv è solo di 60 giorni e che la guerra potrebbe riprendere se nel frattempo non si raggiungeranno intese più ampie.

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