PROMESSE DI PACE, MONÒPOLI D’AFFARI E GUERRE da IL MANIFESTO e IL FATTO
Promesse di pace, Monòpoli d’affari e guerra
America First L’insediamento di Donald Trump alla Casa bianca a qualcuno è potuto sembrare uno spettacolo euforizzante. Mai si era visto un tale avanspettacolo della politica se non in certe rappresentazioni grottesche […]
Alberto Negri 22/01/2025
L’insediamento di Donald Trump alla Casa bianca a qualcuno è potuto sembrare uno spettacolo euforizzante. Mai si era visto un tale avanspettacolo della politica se non in certe rappresentazioni grottesche del cinema o del teatro, con il braccio teso di Elon Musk che sembrava una parodia di Fascisti su Marte, dove Trump – ci ha avvertito lunedì – vuole piantare la bandiera stelle e strisce.
Ma in un mondo tragico, percorso sempre più da guerre e da miseria, le pagliacciate sono di breve durata e dobbiamo farci una domanda: chi abbiamo davanti e dove vogliono portare il mondo? Su Le Monde Diplomatique (anche nell’edizione italiana del manifesto), prova a dare una risposta il professor Michael Klare dell’Hampshire College.
Mentre Biden e i suoi consiglieri – spiega Klare – immaginavano il mondo come un grande scacchiera, sulla quale le pedine amiche e nemiche cercavano di procurarsi un vantaggio geopolitico nelle regioni contese, Trump considera il pianeta come un grande Monopoli in cui i diversi rivali lottano per il controllo dei beni preziosi, delle tecnologie, dei mercati, delle proprietà immobiliari. Se per Biden il collante ideologico era «l’adesione ai valori occidentali» – visione per altro tragicamente smentita dalle stragi israeliane a Gaza – per Trump la politica estera deve essere mossa dalla sfrenata rincorsa di un primato economico, strategico e, ovviamente, militare.
Hollywood non basta più a rivestire la parte di intrattenimento del complesso militare-industriale come diceva un tempo Frank Zappa. Oggi servono di più i social media: così invece degli attori sono stati invitati i miliardari delle piattaforme digitali, dal fondatore di Amazon Jeff Bezos, al capo di Meta Mark Zuckerberg, fino al Ceo di Apple Tim Cook e l’ad di Google Sundar Pichai. Siamo in pieno Monopoli perché questi signori, insieme a Musk, detengono una ricchezza maggiore del Pil di molti stati. Tutti comunque, nell’ottica trumpiana, sono chiamati a perseguire quattro obiettivi: la supremazia mondiale degli Stati uniti, contenere la Cina, manovrare le alleanze in funzione filo-americana, mettere le mani sulle risorse più importanti anche a spese degli altri stati, che siano alleati o meno.
Lo slogan “America First” sul piano internazionale significa questo. A partire dal Medio Oriente dove Trump è intervenuto direttamente nell’accordo di tregua ancora prima di insediarsi alla Casa Bianca e Netanyahu ha appena lanciato l’operazione Muro di Ferro a Jenin. Il suo entourage è stato il primo a esserne informato. Il cessate il fuoco non era ancora firmato che il genero Jared Kushner aveva subito raddoppiato la sua quota nella società immobiliare Phoenix, diventandone il maggiore azionista insieme ai fondi sauditi. La società, che ha già finanziato insediamenti illegali dei coloni in Cisgiordania, punta a partecipare da protagonista agli affari dell’eventuale ricostruzione di Gaza. Il percorso è quello di portare l’Arabia Saudita nel patto di Abramo, nonostante Riad continui a insistere su una soluzione della questione palestinese. Ma Trump e il principe Mohammed bin Salman sono sempre più vicini.
Durante la prima presidenza Trump, il cerchio magico del presidente si era già aggiudicato affari lucrosi con i sauditi. E ora i legami si stringono sempre di più perché il presidente appena in carica e i sauditi condividono la comune determinazione a confermare il primato dei combustibili fossili. «Perforeremo, tesoro, perforeremo», ha esclamato Trump e nei suoi primi minuti in carica ha proclamato che avrebbe dichiarato una «emergenza energetica nazionale» per contribuire ad abbassare i prezzi. Insomma musica per le orecchie degli sceicchi petroliferi del Golfo. E questo non esclude – anzi indica come possibile – che il nuovo presidente voglia intavolare qualche trattativa con gli altri grandi produttori di petrolio e di gas naturale, come Russia, Iran e Venezuela. Non è detto che questo porterà nel breve a un alleggerimento delle sanzioni contro l’Iran, visto che Trump sostiene Netanyahu nella sua ossessione anti-Teheran, ma è chiaro che il nuovo presidente ha una spiccata predilezione per gli accordi con i Paesi petroliferi.
All’orizzonte c’è anche l’accordo con Putin. «Il nostro potere fermerà tutte le guerre e porterà un nuovo spirito di unità in un mondo», ha detto Trump, secondo il quale gli ucraini continueranno a ricevere aiuto militare solo se accetteranno di negoziare un accordo di pace con la Russia che prevede la cessione di territori. E qui si lega il discorso anche con gli europei e la Nato. Trump ha minacciato che se gli stati europei dell’Alleanza non aumenteranno i propri fondi per la difesa, gli Usa ridurranno drasticamente i loro aiuti militari. L’obiettivo è di portare al 3-3,5% del Pil le spese militari europee: una manna per le industria bellica americana. Una pressione sull’Europa che include anche la negoziazione di dazi doganali: gli Usa hanno un deficit commerciale con la Ue di 240miliardi di dollari.
Con Trump le cose andranno meglio o peggio che con Biden? Il nuovo presidente non è certo uno che si diffonde in temi come la “democrazia”, il “rispetto delle regole” o dei “diritti umani”. Argomenti che disprezza, come l’Onu, il diritto internazionale e le politiche di genere. È sostanzialmente un uomo d’affari – per altro dal carattere imprevedibile – che guarda al tornaconto suo, dei suoi amici e degli Usa. Ma Biden, che faceva tutti quei discorsi alati sui “valori occidentali”, non era poi così affidabile. Basta chiedere ai palestinesi massacrati a Gaza.
Già prima di Trump il mondo ha respinto l’unipolarismo Usa
Francesco Sylos Labini 22 Gennaio 2025
L’amministrazione Biden sarà ricordata per aver posto le condizioni per il ritorno di una guerra devastante nel cuore dell’Europa, per il suo supporto incondizionato a Israele e, in ultimo ma non meno importante, per l’acuirsi della guerra economica con la Cina. Il Doomsday clock, l’orologio controllato dagli scienziati atomici che simbolicamente conta il tempo che ci separa dalla mezzanotte dell’apocalisse nucleare è passato da 100 a 90 secondi dall’insediamento di Biden. La catastrofe climatica procede inarrestabile, gli Stati Uniti hanno incrementato la produzione di petrolio e gas, ma il fronte più critico è sempre quello ucraino dove si fronteggiano due potenze nucleari. La guerra provocata dall’avanzamento verso Est della Nato, come ora risulta evidente a chiunque, sembra avviarsi alla sua fase terminale. L’amministrazione Trump si troverà a gestire una sconfitta epocale, questa volta non contro un nemico asimmetrico come nel caso del Vietnam o dell’Afghanistan, ma contro una grande potenza.
La guerra in Ucraina ha prodotto una delle svolte geopolitiche più impreviste e sorprendenti della storia moderna. La Russia non ha subito una sconfitta strategica decisiva grazie al differenziale di potere e ricchezza tra questa e i paesi Nato come era stato preventivato dai supposti grandi strateghi occidentali, come Draghi. La guerra per procura degli Usa contro la Russia attraverso l’Ucraina ha mostrato che un’economia basata sulla finanziarizzazione non è più forte di un’economia basata sulle risorse naturali e sulla produzione effettiva di merci. Un conflitto ad alta intensità durato tre anni ha rivelato in termini inequivocabili che le nazioni deindustrializzate occidentali sono del tutto incapaci di vincere le guerre come anche il nuovo segretario della Nato Rutte oggi riconosce. La guerra economica, che si intravedeva all’inizio del conflitto in Ucraina, è ora il principale attore sulla scena che ha messo a nudo le debolezze non solo strutturali ma anche intellettuali, oltre che etiche e morali, dei Paesi occidentali. Trump dice che vuole trovare un’intesa con la Russia e ritirarsi dall’Europa. Non sarà così facile passare dalle dichiarazioni ai fatti, perché i russi non sembrano nella situazione di fare concessioni particolari e certamente non potranno cedere sull’ammissione dell’Ucraina nella Nato e sull’annessione dei quattro Oblast, più la Crimea, già avvenuta (ma non riconosciuta). Si tratterebbe di una débâcle militare e una catastrofe politica non facili da accettare né per l’establishment americano né per quello europeo. Purtroppo, oggi, chi vuole continuare la guerra a oltranza sembrano essere gli europei (con le eccezioni di Ungheria, Slovacchia e, in teoria, Romania!) piuttosto che la nuova amministrazione americana. L’Europa non ha mai ipotizzato una via diplomatica e il fatto che Trump metta sul tavolo questa eventualità spinge in un angolo angusto e claustrofobico le cosiddette élite europee.
Per vincere la Guerra Fredda è stato fondamentale convincere una parte significativa del mondo che la propria causa fosse legittima. Tuttavia, il mondo ha già visto cosa accade quando gli Stati Uniti raggiungono l’unipolarità: una politica estera arrogante sotto ogni amministrazione. La maggior parte dei paesi non desidera tornare a questa situazione: mentre l’Occidente ha cercato di isolare la Russia, la maggioranza del Sud Globale simpatizza con essa. La transizione verso un ordine mondiale multipolare è dunque inevitabile ed è già in essere. La guerra in Ucraina ha avuto la funzione di volano spingendo la Russia e la Cina a formare una partnership strategica apparentemente indissolubile per una convergenza di interessi: contrastare l’onnipresente minaccia americana. La domanda è quando gli Stati Uniti, e l’Europa al seguito, smetteranno di resistere a questa realtà e inizieranno a essere attori costruttivi di un nuovo mondo.
No Comments