NELL’EGITTO LIBERTICIDA, LE MANCATE PROMESSE DEL NORD DEL MONDO da IL MANIFESTO
Il clima a Sharm el-Sheikh: ong escluse, proteste vietate, arresti preventivi
COP 27. Il regime di al-Sisi, forte della legittimità garantita dall’Onu e dai governi occidentali, approfitta della conferenza sul clima per un’altra ondata repressiva, dal Cairo alla città ospite militarizzata. Greta Thunberg:«È greenwashing».
Chiara Cruciati 06/11/2022
Lunedì scorso l’attivista svedese Greta Thunberg aveva giustificato la sua assenza alla Cop 27 che si apre oggi in Egitto con quella che ha definito una politica di greenwashing: ospitare la Conferenza Onu sul clima per ripulirsi l’immagine.
Un’operazione riuscita, quella del regime di Abdel Fattah al-Sisi (le uniche voci di protesta a levarsi sono quelle delle società civili e delle ong): Nazioni unite e governi hanno così scelto di riconoscere legittimità internazionale a un regime notoriamente liberticida.
EPPURE LA COP 27 è stata ulteriore motivo di repressione in Egitto: Sharm el-Sheikh è stata militarizzata, un centinaio di attivisti già arrestati e le ong egiziane escluse dal dibattito Onu. Una «pulizia» necessaria al Cairo in vista dell’annunciata protesta egiziana che si terrà l’11 novembre, in piena conferenza.
Mercoledì l’Egyptian Commission for Rights and Freedoms ha denunciato almeno 93 arresti negli ultimi giorni, dopo fermi ai checkpoint volanti apparsi per le strade del Cairo e utili alla polizia per perquisizioni illegittime e controllo degli smartphone.
Tutti accusati di aver chiamato alla protesta via social e di diffusione di notizie false. In alcuni casi anche di appartenenza a organizzazione terroristica.
Il regime ha così provveduto a chiudere il tradizionale spazio di dissenso e partecipazione che negli anni passati ha accompagnato le Cop: vietato manifestare in strada (il governo egiziano avrebbe autorizzato solo proteste in «zone speciali» della città sul Mar Rosso, lontano dal luogo del summit) e vietato anche prendere parte ai lavori per le tante ong egiziane che si occupano di giustizia sociale e ambientale in un paese che soffre di povertà crescente, diseguaglianze strutturali, desertificazione e siccità, megaprogetti infrastrutturali che stravolgono il volto delle città e devastano parchi e spazi verdi.
A quelle che hanno chiesto di partecipare, l’adesione è stata rigettata: un semplice «no, richiesta negata» come risposta, senza alcuna motivazione nonostante abbiano trascorso mesi per prepararsi alla Cop 27, come già fatto con le conferenze precedenti.
«Le autorità egiziane stanno mandando un chiaro messaggio alle ong egiziane – ha detto a Equal Times Azza Soliman, direttrice dell’ong Cewla – Ovvero che quello che accade in Egitto deve essere tenuto nascosto al mondo. Ong da tutto il pianeta potranno partecipazione ma quelle egiziane non sono le benvenute».
TANTE ASSOCIAZIONI non ci hanno nemmeno provato ad aderire per timore di rappresaglie successive, quando i riflettori internazionali non saranno più accesi sul Sinai e su Sharm. Come l’Egyptian Centre for Economic and Social Rights, da oltre un decennio impegnato a difesa dell’ambiente e di lavoratori e cittadini esposti agli effetti delle poco controllate attività industriali.
A nulla sono serviti gli appelli internazionali, da quello dell’Un Committee of Experts che il 7 ottobre ha chiesto al Cairo di cancellare ogni restrizione all’associazionismo egiziano e la liberazione dei prigionieri politici al rapporto di fine settembre di Amnesty International che ha denunciato l’uso politico fatto dall’Egitto della Cop 27.
Intanto Sharm el-Sheikh è stata militarizzata: una «zona di guerra», così la descrivono all’agenzia Middle East Eye alcuni residenti. Ancora più di prima. Già normalmente la città tanto ambita dal turismo di massa è un percorso a ostacoli tra checkpoint e controlli approfonditi su ogni auto che passa.
Ora la moltiplicazione di poliziotti e soldati, la pesante sorveglianza di ogni entrata e uscita e la presenza soffocante di agenti in borghese hanno costretto tanti pendolari egiziani a evitare Sharm, perdendo intere giornate di lavoro. Tanti negozi, invece, hanno dovuto chiudere su ordine del governo, perdendo così profitti importanti visto il «traffico» di turisti e conferenzieri.
Nell’Egitto liberticida, le mancate promesse del nord del mondo
COP27. Oggi al via nel paese nordafricano la Conferenza Onu sul clima: si apre con i (pochi) soldi mai erogati dai paesi ricchi per frenare i cambiamenti climatici. Divisioni anche dentro la Ue
Daniela Passeri 06/11/2022
Responsabilità, giustizia climatica e soldi (pochi) promessi e mai erogati. Al tavolo della Cop 27, la Conferenza delle parti delle Nazioni unite sul clima in programma da oggi al 18 novembre a Sharm el-Sheikh (Egitto), i paesi ricchi e industrializzati siedono sapendo di non aver onorato le promesse di finanza climatica nei confronti del Sud del mondo.
Di fronte, avranno paesi in via di sviluppo che nutrono la legittima aspettativa di farsi aiutare ad affrontare gli impatti di una crisi di cui non sono affatto responsabili.
SULLA DISCUSSIONE pesano i quattromila miliardi di dollari di profitti (stima del Guardian) incassati in questo 2022 dall’industria fossile globale, che fanno sembrare briciole i 100 miliardi di dollari l’anno di finanza climatica per investimenti in energie rinnovabili e per affrontare gli impatti del clima, fondi promessi alla Cop 15 di Copenaghen nel 2009 (una delle più fallimentari nella storia della diplomazia climatica) e solo parzialmente arrivati a destinazione nel 2020, per lo più in forma di prestiti invece che a fondo perduto, aggravando il debito dei paesi più poveri.
Oggi scopriamo che 100 miliardi l’anno non bastano: secondo un rapporto Unep (programma ambientale dell’Onu) pubblicato nei giorni scorsi, ai paesi in via di sviluppo di miliardi ne servirebbero almeno 340 ogni anno per affrontare il clima impazzito.
AL VERTICE di Sharm el-Sheikh Giorgia Meloni presenterà lunedì 7 il Fondo italiano sul clima, dotazione di 840 milioni di euro l’anno per cinque anni, messa a disposizione a Glasgow lo scorso anno e ora inserita nella legge di bilancio 2022.
Secondo l’inviato speciale per il clima Alessandro Modiano, nominato nel gennaio scorso dai ministri Di Maio e Cingolani, «il governo italiano è deciso a mantenere gli impegni di mitigazione che invece vengono messi in discussione in ambito G20». Dunque, è più al G20 di Bali in programma il 15/16 novembre che bisognerà guardare per capire che clima farà.
QUEL TETTO DI 1,5° C di aumento della temperatura media globale da non sforare, messo nero su bianco nell’Accordo di Parigi nel 2015, non è ancora un dato assodato, ma oggetto continuo di pericolose negoziazioni al rialzo.
«Questa Cop deve salvaguardare i risultati ottenuti lo scorso anno a Glasgow, su questo l’Ue non intende arretrare: vista la situazione, sarebbe già un successo. Certo è che il rispetto di questi vincoli implica trasformazioni profonde», ha ammesso Modiano.
Il primo sforzo negoziale della Cop 27 sarà quello di «ricostruire la fiducia – come sottolinea un documento di Greenpeace – tra tutti i governi che devono cooperare e trovare un terreno comune per affrontare l’emergenza climatica che minaccia l’esistenza stessa dell’umanità».
SE IL MULTILATERALISMO sul clima arranca, quando si affronta il capitolo perdite e danni (loss & damage), cioè strumenti finanziari di compensazione in caso di disastri climatici richiesti dal gruppo G77+Cina, le divisioni emergono anche a livello dei paesi Ue che alla Cop 27 negoziano con un vincolo comune, ma con un fronte per niente compatto e per di più con il pacchetto Fit for 55% ancora da approvare nel merito.
Entro il 2050, i danni da mettere in relazione al clima stravolto e in conto ai paesi che ne sono più responsabili, potrebbero ammontare a mille miliardi di dollari, cifra che spiega lo stallo dei negoziati.
Intanto, la comunità scientifica non si stanca di ripetere che ogni decimo di grado può fare la differenza per minimizzare i rischi peggiori, visto che il cambiamento climatico è già una realtà, in particolare in Europa dove le temperature sono aumentate il doppio della media globale, come certificato dal sistema satellitare Copernicus dell’Ue.
PER STABILIZZARE l’aumento della temperatura entro 1,5°C, i grandi emettitori di gas serra dovrebbero presentarsi alla Cop 27 con nuovi impegni di riduzione delle emissioni e la rinuncia a nuovi investimenti nell’estrazione dei combustibili fossili, come indicato anche dall’Agenzia internazionale per l’energia nel suo scenario per la decarbonizzazione.
Con gli impegni espressi finora dagli stati, e solo se venissero effettivamente tutti rispettati, la temperatura media globale aumenterebbe di 2,5°C entro la fine del secolo, una catastrofe secondo i climatologi.
Il metodo «più veloce, più fattibile e più conveniente per limitare il cambiamento climatico e i suoi effetti» sarebbe puntare alla riduzione delle emissioni di metano, come veniva riconosciuto nella dichiarazione finale del G20 di Roma dello scorso anno, a guida di Mario Draghi.
Di quell’impegno preso in un primo tempo da Ue e Usa, poi formalizzato a Glasgow e sottoscritto da 125 paesi, noto come methane pledge (impegno per il metano), che comporta il taglio del 30% delle emissioni entro il 2030, non si parla più («Dobbiamo discuterne con il nuovo ministro», si è limitato a dire Modiano), mentre fonti Ue ammettono che sarà un obiettivo difficilmente raggiungibile, non solo per il maggiore utilizzo del gas naturale liquido (Gnl) che implica maggiori emissioni, ma anche perché nulla ancora è stato deciso sul fronte della limitazione degli allevamenti che sono tra le maggiori fonti di metano in Europa.
UN ULTERIORE GRANDE interrogativo sulla Cop egiziana riguarda la possibilità per la società civile di parteciparvi ed esercitare il suo ruolo di pressione. Il rischio di tensioni e violazioni di diritti umani è alto: lo sponsor della Cop 27, Coca-Cola, doveva tenerne conto.
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