“MELONI, IL PATRIARCATO ESISTE”. ALLE ORIGINI DEL DOMINIO MASCHILE da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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“MELONI, IL PATRIARCATO ESISTE”. ALLE ORIGINI DEL DOMINIO MASCHILE da IL MANIFESTO e IL FATTO

«Meloni, il patriarcato esiste». 200 mila al corteo femminista

Contaci Nella Capitale una marea fucsia contro i femminicidi e il genocidio e per il welfare

Luciana Cimino   24/11/2024

Resisteva un sospetto. L’enorme successo della manifestazione contro la violenza sulle donne dello scorso anno era forse dovuto esclusivamente all’ondata di emozione per il femminicidio di Giiulia Cecchettin? Era un sospetto sbagliato. Un anno dopo il corteo transfemminista convocato a Roma da Non una di meno ha visto sfilare almeno 200 mila persone con una piattaforma politica ed economica che prescinde, travalica e restituisce senso ai fatti di cronaca. «La violenza è politica e questo è un governo patriarcale, non basta una premier donna», spiegano le attiviste Nudm alla partenza, davanti la Piramide Cestia.

ALLA SPICCIOLATA arrivano donne e uomini di tutte le età, bambini e bambine: la piazza che all’inizio sembra troppo vasta, si riempie. Di certo un assist fortissimo per la partecipazione lo hanno dato, loro malgrado, il ministro all’Istruzione (e merito) Valditara e la presidente del Consiglio Meloni che ne ha rivendicato le frasi inopportune, xenofobe e negazioniste pronunciate alla presentazione della Fondazione Cecchettin solo lunedì scorso. Naturale quindi che la gran parte dei cartelli, ironici e irriverenti, fosse dedicata a loro. «Il patriarcato esiste, il razzismo istituzionale non è la risposta» è il coro di risposta unanime a Valditara. Ma c’è anche altro: «manifestiamo contro l’orbanizzazione della società, contro il Ddl sicurezza che si realizza nella criminalizzazione delle scelte di vita e del dissenso e nella militarizzazione del territorio mentre la crisi economica morde, contro il lavoro povero e il part time obbligatorio femminile che è un record di Meloni – spiegano dalla piazza – contro il governo che taglia welfare, sanità e scuola per finanziare il riarmo».

«104 morti di Stato. Non è l’immigrazione ma la vostra educazione», recita lo striscione dei collettivi degli studenti medi che arrivano in massa dopo aver fatto un flash mob davanti al ministero dell’Istruzione di Viale Trastevere. Lì hanno anche bruciato una foto del ministro leghista: gesto preso subito a pretesto dalla maggioranza per tentare di descrivere anche questo corteo come violento e per chiedere ai partiti di centrosinistra di prenderne le distanze. Altro segnale che al governo sfugge il senso di una mobilitazione femminista che non è convocata da nessun partito ma da una rete composita di associazioni, centri anti violenza, collettivi, centri di aggregazione giovanile.

Ci sono gli striscioni di Be Free, Differenza Donna, Lucha y Siesta, Giuridicamente Libera. Quelli della Casa Internazionale delle Donne, di Scosse della Rete degli studenti medi, di Aracne. C’è la Cgil e Nonna Roma. Ci sono anche diversi esponenti del centro sinistra ma senza alcun simbolo di partito. «È una manifestazione di tutti», spiega la senatrice dem Cecilia d’Elia.

IL CORTEO COMINCIA a muoversi dietro il primo camion avvolto in un gigantesco striscione che recita una frase di Gisèle Pélicot, il cui marito è sotto processo in Francia per averla violentata e fatta violentare da decine di altri uomini: «La vergogna deve cambiare lato». Mara, insegnante in pensione, si nasconde dietro un albero per sbirciare la nipote, al corteo con le compagne di classe, «se mi vede si potrebbe imbarazzare – dice – ma io sono tanto orgogliosa e vorrei farle una foto». Un gruppo di uomini si affaccia da un palazzo in piazzale Ostiense sventolando cartelli femministi tra gli applausi delle persone in strada. Arrivano anche le attrici della fondazione Una Nessuna e Centomila: Paola Cortellesi, Vittoria Puccini, Maria Chiara Giannetta, tra le altre.

AVANZA UN GRUPPO di scout portando bandiere della Palestina. Vengono da una parrocchia capitolina, dicono, per manifestare anche contro il genocidio. Il tema, come lo scorso anno, è fra i punti centrali della piattaforma di convocazione della giornata di lotta. Per tutto il serpentone che si snoda lungo il centro di Roma, i colori della bandiera della Palestina si mischiano con il fucsia e il viola delle femministe. Arrivati davanti alla sede della Fao sale il rumore dei mazzi di chiavi, usati non solo come segno del fatto che l’assassino ha spesso le chiavi di casa ma anche contro il «silenzio complice dei governi occidentali sul massacro della popolazione palestinese. Le donne sono un bersaglio privilegiato».

Fiamma e le amiche sono dipendenti statali, ognuna indossa una kefiah, «ma la mia è originale- sottolinea lei – la portavo già negli anni ‘70». Commenta che queste ragazze hanno ragione perché «la guerra è frutto del patriarcato». La seconda tappa è al Colosseo dove viene srotolato un enorme elenco con i nomi delle 106 vittime di femminicidio, lesbicidio e transicidio dell’ultimo anno. «L’informazione è parziale perché derubrica i casi quando le vittime sono donne anziane, trans o migranti – dice un attivista al megafono – chiediamo di smetterla con questa selezione feroce». Valentina si è portata il figlio di 5 anni, si accosta per cercare le amiche che arrivano da Pisa, con le bambine. Rimangono anche quando sembra ci sia un momento di tensione con le forze dell’ordine, all’altezza della sede dei Pro Vita. «Non siamo preoccupate, è una bella festa», dicono avviandosi verso Piazza Vittorio, dove il corteo, dopo ore, finalmente riesce ad arrivare.

Proprietà e potere, alle origini del dominio maschile

Opinioni Due pilastri di un ordine sociale secolare sono stati certo rimessi in discussione e profondamente modificati nel corso di una stagione di grande cambiamento ascrivibile a pieno titolo al movimento femminista, che in Italia è stato diffuso, capillare, di massa

Vinzia Fiorino*  24/11/2024

Parole stonate, fuori luogo, inopportune quelle del ministro Valditara in occasione della presentazione ufficiale della Fondazione intitolata a Giulia Cecchettin. A noi non interessa seguirlo per la sua strada, quella della presunta responsabilità dei migranti «irregolari» delle violenze sulle donne, peraltro smentita dai dati. Interessa invece ribadire con forza e con semplicità che questo tipo di violenza è commessa da uomini sulle donne e che dunque è inequivocabilmente il genere – non il colore della pelle né lo status sociale e lavorativo – il fulcro del problema.

Interveniamo come studiose che negli ultimi decenni hanno prodotto numerose, rigorose e preziose ricerche che hanno individuato nell’antico (ed europeo) ius corrigendi uno degli incipit di questa storia: abolito solo nel 1956, esso consisteva nel diritto dell’uomo di «educare e correggere», anche con l’uso della forza, la moglie e i figli e rappresenterà uno dei tanti luoghi della costruzione del dominio maschile. Altrettanto cruciale è quello che, con Carla Lonzi, possiamo continuare a chiamare l’«archetipo della proprietà», ossia il corpo delle donne come oggetto sessuale e di esclusivo possesso del pater familias. Un tipo di proprietà e una forma di potere, che tradizionalmente i mariti hanno esercitato sulle mogli, così profondo e originario da sopravvivere a molte cesure rivoluzionarie – da quella francese del 1789 a quella russa del 1917 – e a qualsiasi ipotesi di teorie filosofiche contrattualistiche che rivendicavano i diritti civili e politici, non a caso a lungo riconosciuti solo agli uomini.

Questi due pilastri di un ordine sociale secolare sono stati certo rimessi in discussione e profondamente modificati nel corso di una stagione di grande cambiamento ascrivibile a pieno titolo al movimento femminista, che in Italia è stato diffuso, capillare, di massa. E che proprio sulla dinamica potere/sessualità ha incentrato la sua riflessione, il suo interesse teorico e le principali rivendicazioni politiche. È tuttavia evidente che la lunga serie di riforme giuridiche che ne sono scaturite – pur nella loro imprescindibile importanza – mai avrebbero potuto cambiare l’ordine simbolico legato al patriarcato.

È complice, pertanto, continuare a derubricare la violenza maschile come fenomeno residuale e in esaurimento, come flebile lascito di un passato destinato fisiologicamente ad esaurirsi. Anche perché il numero dei femminicidi non accenna a diminuire: altre 120 donne sono state uccise dai loro partner dopo l’assassinio di Giulia Cecchettin, ha ricordato il padre Gino.

Il fenomeno ci interroga e rivela cambiamenti sociali più recenti: a dispetto di un’idea, purtroppo sempre attiva, che vede la storia come una linea evolutiva e progressiva, il fenomeno si intensifica in rapporto ad una crescita sistemica della violenza che riguarda l’incremento dei conflitti armati, la dimensione cruenta di una cultura visuale tremendamente pervasiva e anestetizzante soprattutto per i più giovani, una profonda trasformazione antropologica che rende sempre meno distinguibili i regimi di realtà da quelli dell’immaginario e del falso. Eppure, rispetto a tutte queste più recenti trasformazioni, si riattiva fortemente l’antico desiderio di un modello femminile presidio del legame sociale, garante di un ordine nazionale sovranista, divenuto essenzialmente corpo silenziato e assoggettabile. Fenomeni complessi e in parte contraddittori dei tempi che attraversiamo.

Noi continueremo ad approfondire il tema, anche a partire da una nuova prospettiva: quella che indaga sulle tante strategie attuate dai soggetti troppo semplicisticamente rappresentati come vittime, come prede prive di difesa e invece protagonisti di storie di resistenza e di autodifesa sul piano dell’immaginario e dei saperi.

*L’autrice è presidente della Società italiana delle storiche. Di questo tema si parlerà oggi alle 16:30 alla Casa Internazionale delle donne a Roma, in un dibattito a partire dal nuovo libro curato da Simona Feci e Laura Schettini, L’autodifesa delle donne. Pratiche, diritto, immaginari nella storia.

Istat I numeri di omicidi e violenze smentiscono il ministero della Paura

PAOLO MOCCHI  22/11/2024

VIVIAMO TEMPI IN CUI LA MENZOGNA viene ripetuta un milione di volte fino a quando diventa la verità, non la verità vera ma quella costruita a tavolino dal Miniver, il ministero della Verità di George Orwell, che in questo contesto potremmo ribattezzare Minipa (ministero della Paura). Molti politici e schierati mezzi d’informazione quotidianamente ripetono che in Italia c’è violenza e omicidi a ogni angolo di strada e che questi sono sicuramente imputabili agli immigrati. In questo modo si trova il nemico, si fomenta la diffidenza, quando questa non sfocia addirittura nell’odio verso i diversi da sé. Mettiamo in fila i numeri che è preferibile analizzare, piuttosto che darli. L’Italia è un Paese insicuro? Falso. L’Italia è il Paese più sicuro dell’Unione europea, quello con il minor tasso di omicidi: 0,55 per 100.000 abitanti. Il maggior numero di omicidi della Ue si verifica nelle Repubbliche Baltiche di Lettonia, Estonia, Lituania, che hanno valori 8, 10 volte superiori rispetto a quelli dell’Italia. Nel 2022 in Italia ci sono stati 322 omicidi. Questo dato è crollato dell’83% rispetto al 1991 quando gli omicidi furono 1.916. Al Minipa si afferma che gli stranieri uccidono gli italiani. Falso. Il 92,7% degli italiani è ucciso da italiani. La vulgata afferma che gli uomini stranieri uccidono di più le donne rispetto agli uomini italiani. Falso. Come ampiamente riportato in letteratura, gli omicidi –e molti tipi di reato – sono prevalentemente interetnici: il 70,9% degli omicidi di cui si conosce l’autore avviene tra italiani e il 16,8% tra stranieri (non necessariamente della stessa nazionalità). Inoltre gli italiani uccidono di più gli stranieri (6,7%) di quanto gli stranieri uccidano gli italiani (5,6%). Gli uomini italiani uccidono poi con più frequenza le donne (44,3%) rispetto a quanto facciano agli uomini stranieri (37,9%). Parliamo ora dei femminicidi partendo dalla propaganda del ministero della Paura secondo il quale le donne devono temere gli sconosciuti (soprattutto se stranieri). Falso. Dei 106 femminicidi 61 sono di donne uccise nell’ambito della coppia, 43 da un altro parente, 1 da un conoscente con motivi passionali, 1 da sconosciuti. Questi numeri – dedotti dai report statistici dell’Istat pubblicati il 23 novembre 2023 – sono come pietre che inchiodano i rappresentanti del Minipa alla falsità delle loro affermazioni. In Italia non viviamo in un mondo perfetto ma, confrontato con gli altri Paesi della Ue, nel migliore dei mondi possibili e gli stranieri sono una ricchezza, non un pericolo.

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