L’INTERNAZIONALE PACIFISTA C’È: PRESTO LA MOBILITAZIONE MONDIALE da IL FATTO
“Triste che il popolo pacifista abbia paura di parlare”. Chomsky, Sachs, i giovani attivisti, le ong: l’internazionale pacifista ora c’è
BOMBE E DIPLOMAZIA – Il summit di Vienna. Presente una delegazione italiana con Cgil, Acli, Un ponte per, Sant’Egidio: “È tempo di mediazioni”
LORENZO GIARELLI 11 GIUGNO 2023
“Per la prima volta siamo riusciti a coinvolgere ucraini, russi e bielorussi. Siamo qui per farci domande, non per dare risposte”. Uno dei promotori racconta così l’International summit for peace in Ukraine, la due giorni che raduna a Vienna un centinaio di relatori, almeno 40 Paesi e decine di sigle pacifiste di tutto il mondo, compresa una vasta rappresentanza italiana: “Noi abbiamo una grande tradizione – dice Fabio Alberti, fondatore di Un ponte per –. Non a caso nel 2003 la manifestazione più grossa contro la guerra in Iraq ci fu a Roma”.
E qui fin dalle 10 del mattino arrivano i rappresentanti di Acli, Sant’Egidio, Emergency, Cgil, Rete Pace e Disarmo, che si uniscono alla rete internazionale di enti che in questi mesi ha già condiviso campagne comuni. Noam Chomsky e Jeffrey Sachs, intellettuali americani tra i più feroci contro le politiche estere del proprio Paese, intervengono in apertura. Chomsky è netto: “È improbabile la sconfitta sul campo della Russia, invece è molto probabile che Putin reagisca con l’escalation. La posizione degli Usa è che la guerra debba continuare, perché l’Ucraina deve essere messa in una condizione migliore per negoziare. La verità è che sarà in una condizione sempre peggiore, perché di questo passo arriverà ai negoziati distrutta”. Sachs inchioda gli Usa a 30 anni di errori: “Ero consulente di Gorbaciov quando gli Usa si impegnarono a non allargare la Nato. Due anni dopo, Washington programmava l’estensione a Ucraina e Georgia”. Poi “il disastro del rovesciamo di Yanukovich” nel 2014 e il “costante rifiuto di ogni mediazione”. Per Sachs “la Nato dovrebbe promettere di non allargarsi per ottenere il ritiro dei russi”, andando verso “l’unica soluzione possibile”: “L’Ucraina Stato neutrale”.
Ma nei due piani del centro congressi c’è molto altro. Passeggiano e si confrontano obiettori di coscienza russi (anche grazie all’attività dell’italiana Zaira Zafarana), pacifisti ucraini, veterani americani, sindacalisti, attivisti. E tanti giovani. Massimiliano Franco è coordinatore dei Giovani delle Acli: “Vorrei far capire che anche se la guerra sembra lontana a noi giovani privilegiati, ha enormi impatti sociali, ambientali, economici, culturali”. Mattia Donati, 26 anni di cui 11 in Sant’Egidio: “Se non tocchi con mano certi temi, li senti lontani. Per questo ho portato la testimonianza della Comunità”.
Nelle pause dai panel ci si organizza in otto gruppi di lavoro, ciascuno da 20-30 persone. “Siamo qui con posizioni diverse – spiega Sergio Bassoli, coordinatore di Europe for Peace – anche se ci descrivono sempre come dei fanatici”. E in effetti le posizioni sono sfumate, talvolta divergenti. Bassoli, per esempio, coordina un tavolo portando la sua netta contrarierà all’invio di armi a Kiev, ma tra i relatori c’è anche Karyna Radchenko, donna ucraina che porta nella voce spezzata la sofferenza del suo popolo: “Per me è difficile chiedere di interrompere gli aiuti”. Per più di un’ora condivide il palco con il russo Oleg Bodrov e la bielorussa Olga Karatch. Da remoto interviene Yuri Sheliazenko, dissidente ucraino e riferimento dei non violenti a Kiev. Condanna la “macchina da guerra di Putin”, ma supplica di “trovare una soluzione, perché la soluzione non può essere la guerra in eterno”. E pazienza se anche stavolta si rischia di passare da filorussi se si azzarda a parlare di negoziato. Sean Conner, direttore esecutivo dell’International Peace Bureau – il più antico istituto per la pace al mondo, promotore della Conferenza – cammina nervoso per i corridoi. Nei giorni scorsi s’è sentito dare del putiniano: si è scatenata una violenta polemica contro il convegno e i suoi protagonisti, spacciati per fiancheggiatori russi; il principale sindacato locale, che aveva sostenuto la conferenza, si è tirato indietro a tre giorni dall’evento e così pure la sala prenotata. Gli organizzatori hanno dovuto fare tutto daccapo in un clima da caccia alle streghe: “Qualcuno crede che la fine della guerra passi solo dal campo – dice Conner – ma la storia ci insegna che non è così”. Rosa Logar (Women’s International League for Peace and Freedom) non nasconde l’amarezza: “È triste che il popolo della pace debba aver paura di parlare”. Alla fine, il primo giorno convince i relatori. Con una certezza: l’internazionale pacifista dovrà ritrovarsi presto.
Da Vienna parte un grido di pace: presto la mobilitazione mondiale
SUMMIT RIUSCITO – Dal 30 settembre all’8 ottobre iniziative in tutti i Paesi per chiedere il cessate il fuoco e un negoziato autentico
LORENZO GIARELLI 12 GIUGNO 2023
Inviato a Vienna
Dalla conferenza alla grande mobilitazione di piazza. Il secondo giorno dell’International Summit for Peace in Ukraine si chiude con un messaggio che, al netto di qualche sfumatura, mette tutti d’accordo: l’internazionale pacifista che si è riunita a Vienna in questi due giorni deve trasformare il dibattito in manifestazioni, cortei, proteste nelle piazze. Una “call to action” esplicitata nella dichiarazione condivisa al termine dei lavori: “Invitiamo la società civile di tutti i Paesi a unirsi a noi per una settimana di mobilitazione globale dal 30 settembre all’8 ottobre, per chiedere il cessate il fuoco e negoziati di pace”.
Tre mesi non sono pochi, ma i promotori – una rete vastissima che riunisce tra gli altri l’Internation Peace Bureau (Ipb), Europe for Peace e la Wilpf – spiegano che non si poteva fare altrimenti, dovendo dare tempo alle associazioni di ciascun Paese di costruire al meglio, con l’estate di mezzo, la propria iniziativa.
Ma poco cambia. La dichiarazione finale premette “la condanna all’invasione illegale dell’Ucraina da parte della Russia”, ricordando che “le istituzioni create per assicurare la pace e la sicurezza in Europa non sono state all’altezza e il fallimento della diplomazia ha portato alla guerra”. Ora invece “c’è urgente bisogno della diplomazia” e la conferenza “sostiene tutti i negoziati che seguono la logica della pace invece della illogica della guerra”. All’ultimo momento salta l’intervento video del presidente brasiliano Lula, ma si capisce che gli organizzatori credono molto in una iniziativa di pace che possa nascere fuori dai due blocchi Nato-Russia. Il Vaticano, certo, ma appunto anche poli diversi come l’Africa o il Brasile: “Siamo da mesi in contatto con Lula – dice al Fatto Sean William Conner, direttore dell’Ipb – e abbiamo seguito il suo lavoro per un negoziato. Siamo convinti sia necessaria una connessione tra la società civile e la politica e Lula è in grado di interpretare alla perfezione questo collegamento”.
Anche domenica, nel secondo giorno di panel, la conferenza mette insieme associazioni cattoliche (dall’Italia ci sono le Acli e Sant’Egidio), movimenti pacifisti (come l’Ifor rappresentato da Zaira Zafarana, protagonista della Object War Campaign per gli obiettori di coscienza), sigle sindacali e centri di ricerca. Parlano relatori da oltre 40 Paesi, inclusi Russia, Ucraina, Bielorussia. Tra gli speaker del mattino c’è l’attivista cinese Wang Danning dell’Istituto Charhar: “Molti Paesi sono ormai entusiasti di mandare armi. Mi meraviglia vedere l’Europa trasformare la sua immagine di pace in una immagine di guerra”. Michael von der Schulenberg, già diplomatico tedesco, critica il bellicismo dell’Unione: “I nostri leader dicono che si deve aiutare l’Ucraina. Ma finora l’hanno davvero aiutata? È un Paese sempre più distrutto e più povero”. C’è anche l’eurodeputata irlandese Clare Daly, esponente della sinistra: “L’ultima follia Ue è il piano Asap, con cui si possono spostare fondi dal sociale e dal Pnrr per pagare nuove munizioni. È incredibile, per me che provengo dalla sinistra, dover riconoscere che l’unico ad aver provato a fare qualcosa per la pace è stato Macron. Il che dice tutto”.
Fuori dal teatro Lorely, nella parte ovest della città, c’è qualche contestatore. Due ragazzi si presentano di buon mattino e espongono uno striscione: “Russia=Stato terrorista”. Negli ultimi giorni la stampa austriaca ha ferocemente criticato la conferenza e alcuni relatori, tra cui Noeam Chomsky e Jeffrey Sachs, riproponendo le accuse di filo-putinismo. A fine giornata una donna russa prende la parola dal pubblico e chiede un giudizio sul rapporto tra Putin e l’Occidente. Qualcuno si agita, prendendola come una provocazione, e i toni si alzano. Pessimo episodio in un contesto in cui si sono confrontate posizioni anche molto diverse: “Abbiamo avuto persone favorevoli agli aiuti militari a Kiev – spiega ancora Conner – ma il nostro obiettivo era dialogare con loro. Rispetto la loro posizione, ma personalmente sono scettico pensando che l’obiettivo dichiarato degli Usa è indebolire la Russia. Mi preoccupa che non sia solo una questione di auto-difesa”. Adesso ci sono tre mesi per organizzare le piazze, poi non si esclude di replicare una conferenza internazionale. Magari in Italia.
No Comments