L’AZZARDO DELLA BANCA CENTRALE da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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L’AZZARDO DELLA BANCA CENTRALE da IL MANIFESTO

L’azzardo della Banca centrale

TASSI. La mossa, già battezzata come «storica», arriva dopo lo stop «a tempo indefinito» del gasdotto North Stream1, i cui effetti sul Pil europeo sono del resto prevedibili (per la Bce solo lo scenario «più negativo»).

Luigi Pandolfi

La Bce ha deciso di alzare di altri 75 punti il tasso guida (l’«architrave» di tutti gli altri tassi), incurante delle nubi che si stanno addensando sull’Europa. È il maggior rialzo dalla nascita dell’euro, che peraltro scende di nuovo sotto la parità col dollaro (importazioni di materie prime più care). Meno credito, meno investimenti e consumi, tassi sui mutui più alti, aumento del costo di rifinanziamento degli Stati. Con ironia, potremmo parlare di contropartita per un surriscaldamento dell’economia che non c’è.

La mossa, già battezzata come «storica», arriva dopo lo stop «a tempo indefinito» del gasdotto North Stream1, i cui effetti sul Pil europeo sono del resto prevedibili (per la Bce solo lo scenario «più negativo»). Standard & Poor’s, nel suo ultimo report dedicato alle utilities europee, ha stimato che in Germana le aziende manifatturiere potrebbero essere costrette a tagliare del 25% la produzione. Di «150 miliardi di danni» per le imprese ha invece parlato il Kiel Institute for the World Economy (IfW) in un rapporto pubblicato la scorsa settimana. Guai seri, se si tiene conto del livello di integrazione della manifattura europea. E molti osservatori già evocano «l’errore di Trichet», il capo della Bce che nel 2011 alzò i tassi per due volte consecutive nel momento in cui l’economia dell’eurozona iniziava a contrarsi, con effetti pro-ciclici per i Paesi della periferia.

Bisogna chiedersi, ad ogni modo, se per un’inflazione spinta anzitutto dai costi dell’energia, la politica monetaria restrittiva sia la medicina adatta. È la stessa Bce, d’altronde, che parla di «rapida riapertura delle attività economiche, rincaro dei beni energetici ed “effetto base” (il rialzo appare tanto più marcato perché confrontato con il livello troppo basso del periodo preso a riferimento)», quali cause principali di quest’ultimi. Un quadro diverso da quello che fa da sfondo alle scelte della Fed negli Usa, dove gli occhi sono puntati essenzialmente sulla crescita dei consumi e sulla forza del mercato del lavoro. Lo dimostra anche il divario tra i prezzi alla produzione (quello delle vendite all’ingrosso) e i prezzi al consumo che si è venuto a determinare nella zona euro. Su base annua, i primi sono aumentati del 37,2%, mentre i secondi del 8,9%. Un differenziale di 28 punti che nei prossimi mesi, per una buona parte, sarà scaricato inevitabilmente sui consumatori finali.

Nello statuto del Sistema europeo delle banche centrali, all’articolo 2, si legge che «l’obiettivo principale del Sebc è il mantenimento della stabilità dei prezzi». Il che lascerebbe intendere che la banca centrale abbia a disposizione ogni mezzo per tenere a bada l’inflazione (negarlo sarebbe un’ammissione di impotenza). Invero, sarebbe così se l’inflazione fosse solo un fenomeno monetario. Una tesi che ci perseguita da almeno cinquecento anni. Molto prima di Milton Friedman, già nel XVI secolo, Jean Bodin asseriva che la causa dell’aumento dei prezzi era sempre «l’abbondanza di ciò che governa la valutazione e il prezzo delle cose». Un abbozzo di «teoria quantitativa della moneta».

Ma la storia, su questo punto, ha dato torto ai monetaristi. Non tutte le inflazioni sono uguali. «La politica dei tassi alti serve per un’inflazione da domanda, non quando questa è dal lato dell’offerta», aveva ammonito solo pochi giorni fa il premio Nobel Joseph Stiglitz a Cernobbio. Come a dire che di fronte ad un’inflazione da costi, come quella europea, un repentino rialzo dei tassi può solo fare danni all’economia.

Più o meno quello che ha lasciato intendere due settimane fa il membro italiano del Comitato esecutivo della Bce Fabio Panetta, una delle «colombe» del board di Francoforte: «Aggiustamenti della politica monetaria sono possibili, ma l’evoluzione più recente dell’economia dovrebbe indurci a esercitare una delle caratteristiche principali dei banchieri centrali, ovvero la prudenza». Insomma, sarebbe necessaria una politica di «controllo dei prezzi», più che un intervento volto a deprimere la domanda, peraltro già insufficiente. A cominciare dai prezzi dell’energia. Il che, nell’immediato, significherebbe bloccare la speculazione e fissare alcuni tetti per legge.

La corsa della Bce verso la stagflazione continua

IL CASO. Aumento dei tassi di interesse di75 punti base. Nel 2023 crollo dell’economia dal 3,1 allo 0,9%. La presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde: «Lo stop di gas e petrolio russo porteranno a una recessione. Ci siamo quasi». Acerbo (Rifondazione-Unione Popolare): «La Bce fa pagare le conseguenze della guerra ai popoli». E il prossimo governo italiano può trovarsi nella tenaglia di una policrisi mentre le classi dirigenti suonano lo spartito sbagliato. L'”età dell’abbondanza”, quella dei bassi salari, è finita. Può iniziare una peggiore

Roberto Ciccarelli

Nel tentativo di bloccare la crescita dell’inflazione (al 9,1% ad agosto), e riportarla sotto il 2%, ieri la Banca Centrale Europea ha dato un altro contributo alla corsa dei paesi dell’Eurozona verso la stagflazione o, peggio, la recessione. Spinta dalla stessa politica della Federal Reserve americana, Francoforte ha inasprito ancora la politica monetaria e ha alzato i tassi di interesse di 75 punti base, la prima volta in due decenni di esistenza dell’istituto, a parte un aggiustamento tecnico nel 1999. Gli altri due tassi di riferimento, quello applicato alle banche sulle operazioni di rifinanziamento a più settimane e quello sulle operazioni di rifinanziamento marginale sono saliti rispettivamente all’1,25% e all’1,50%.

GLI AUMENTI avrebbero lo scopo di incoraggiare il risparmio, ridurre i consumi e diminuire la pressione sui prezzi. Ciò implica però l’aumento dei mutui, l’abbassamento dei salari che in Italia sono già bloccati da decenni, la crescita della disoccupazione e dell’impoverimento. Sono i costi sociali già dichiarati dal presidente della Fed Jerome Powell a Jackson Hole: «Pensiamo di poter evitare il tipo di costi sociali molto elevati». Gli stessi che sono stati ammessi a mezza bocca ieri dalla sua omologa alla Bce Christine Lagarde. Non senza ipocrisia, ha detto che «Il rallentamento economia porterà a un certo aumento della disoccupazione»; «Le dinamiche salariali resteranno contenute»; «Il rallentamento delle forniture del gas rafforzano i venti contrari».

E NON È FINITA QUI. Lagarde ha confermato che nei prossimi incontri del consiglio direttivo la Bce potrebbe aumentare ancora i tassi di interesse. Questo perché deve pensare di rimediare al disallineamento con la Fed che, dopo le incertezze iniziali, sta procedendo in questa direzione con più decisione. Ciò però rischia di aggravare la salute dell’Euro sul dollaro e, soprattutto, di rincarare ancora il costo del debito pubblico che in Italia è stratosferico. Chiudendo i rubinetti delle politiche monetarie espansive la Bce ha complicato la situazione.

LA STRATEGIA CONFERMA l’intenzione di accelerare la crisi per evitare guai peggiori. Sull’esempio degli americani, ma in un contesto economico diverso, gli europei temono una recessione accompagnata da un’inflazione senza controllo. Così facendo, a loro dire, la crisi sarebbe limitata al 2023 quando si prevede un crollo del Pil dell’Eurozona dal 3,1% allo 0,9% (dal 3,6% allo 0,9% in Italia) con la speranza di riportarlo al 2,3% nel 2024. Con un’inflazione di tutt’altra natura, tra il 1980-1981 negli Stati Uniti questa politica comportò una doppia recessione e una politica lacrime e sangue. Non è escluso che, per ragioni legate alla crisi del Covid, alla guerra russa e alle sanzioni europee, sia questo il destino che si prepara per l’Europa e per il suo anello debole: l’Italia. «Nello scenario base – ha detto Lagarde – vediamo una stagnazione nel quarto trimestre 2022 e nel primo trimestre 2023 ma nello scenario peggiore, che prevede uno stop totale alle esportazioni di gas e petrolio russo, vediamo una recessione. Ci siamo quasi».

IL PROSSIMO GOVERNO italiano potrebbe essere stritolato nella tenaglia. Ieri se ne è accorta l’estrema destra di Giorgia Meloni che, muovendosi tronfia da presidente del Consiglio in pectore, ha detto però di «essere perplessa per la decisione della Bce». Da un punto di vista opposto, più netto è stato Maurizio Acerbo di Rifondazione Comunista: «Invece di imporre regole alla speculazione finanziaria la Bce decide di far pagare le conseguenze della guerra ai popoli».

STIAMO OSSERVANDO un terremoto. Anche le dimissioni di Draghi vanno inquadrate nel drastico cambio di congiuntura e nella policrisi capitalista. La confusione delle banche centrali, e dei governi, è massima. Ieri Lagarde ha fatto mea culpa per non avere compreso la natura dell’inflazione, ma sta suonando lo spartito sbagliato. I costi li pagheranno ancora i lavoratori, e non. Per loro è finita l’«era dell’abbondanza», quella dei bassi salari. Potrebbe iniziare una peggiore.

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