ESISTE ANCORA UNA GIUSTIZIA INTERNAZIONALE da IL MANIFESTO
Esiste ancora una giustizia internazionale
Opinioni Le reazioni stupefatte e indignate al mandato d’arresto della Cpi per Netanyahu e Gallant ci dicono che il diritto c’è ancora, ma i potenti non sono disposti a sopportarlo
Luigi Ferrajoli 23/11/2024
Il mandato di arresto per crimini contro l’umanità e per crimini di guerra, emesso dalla Corte penale internazionale contro il premier israeliano Benjamin Netanyahu, l’ex ministro della difesa Yoaf Gallant e il capo militare di Hamas Mohammed Deif, ci dice una cosa elementare ma inaccettabile per gli odierni poteri selvaggi. Ci dice che esiste ancora un diritto internazionale; che c’è un giudice all’Aja; che all’esercizio sregolato della forza ci sono ancora limiti giuridici. Le motivazioni del mandato informano i governanti di Israele e l’intera comunità internazionale che i palestinesi sono esseri umani.
Che perciò non è lecito usare la fame come un’arma di guerra, privando «intenzionalmente la popolazione civile di Gaza di beni indispensabili alla loro sopravvivenza, tra cui cibo, acqua, medicine e forniture mediche, nonché carburante ed elettricità»; che è un crimine contro l’umanità ostacolare gli aiuti provenienti dall’estero e costringere i medici a operare i feriti e a eseguire amputazioni senza anestesie; che è un crimine di guerra attaccare intenzionalmente le popolazioni civili e bombardare ospedali e scuole provocando decine di morti – sette donne e bambini su ogni dieci civili uccisi – solo per colpire un capo nemico. In questi tempi tristi e crudeli, nei quali l’Onu viene insultata, le sue risoluzioni sono ignorate e le sue forze di interposizione Unifil sono bombardate, gli organi giurisdizionali di garanzia, grazie alla loro indipendenza, hanno dato un segno di vitalità, affermando il diritto contro l’uso illimitato della forza.
Naturalmente i potenti hanno reagito con durezza. Pronuncia “antisemita”, “oltraggiosa”, “assurda e falsa”, hanno dichiarato i governanti israeliani. Una decisione viziata dall’assenza di giurisdizione della Corte, hanno affermato gli Stati Uniti, rilevando che Israele non ha ratificato lo statuto della Corte: circostanza questa, hanno precisato i giudici dell’Aja, che non toglie la loro competenza, dato che tale statuto è stato ratificato nel 2015 dalla Palestina e il suo art. 12 la prevede per i crimini commessi nel territorio di uno Stato-parte. Il nuovo leader dei repubblicani al Senato John Thune, è giunto a minacciare misure contro i giudici dell’Aja “in segno di ritorsione”. “E’ una vergogna”, ha detto a sua volta il premier ungherese Victor Orbán. Analoga reazione ha avuto il presidente argentino Javier Milei. “Sentenza assurda e filo islamica” ha infine dichiarato, in Italia, la Lega di Matteo Salvini. Evidentemente, per tutti questi potenti, grandi e piccoli, è impensabile che ci sia un giudice che ricordi che il loro potere non è assoluto e che alcune cose non si possono fare.
Le reazioni stupefatte e indignate provocate da questo mandato d’arresto ci dicono perciò un’altra cosa, anch’essa semplice ed elementare: che se è vero che ancora il diritto esiste, i potenti non lo sopportano, né sono disposti a sopportarlo. Esse ci fanno capire il senso dell’intolleranza che rivestono, in tutto il mondo, gli attacchi ai controlli giurisdizionali di qualunque tipo: la riforma giudiziaria voluta dalla destra israeliana nel gennaio 2023 e consistente nella neutralizzazione della Corte suprema e nella sostanziale subordinazione della giurisdizione al potere politico; la recente riforma giudiziaria in Messico, che integra tutti i giudici nel potere politico rendendoli elettivi; la pretesa avanzata dal multi-miliardario Elon Musk che i giudici italiani che non hanno convalidato le deportazioni dei migranti in Albania «se ne devono andare»; lo stupore espresso dalla nostra presidentessa Giorgia Meloni per la non collaborazione di tali giudici con il governo; in breve, l’irritazione stupefatta dei potenti per non poter fare, indisturbati, tutto ciò che vogliono.
È questa la nuova e purtroppo antica ideologia di tutti gli autocrati del mondo. Diritti fondamentali e separazione dei poteri – i due elementi senza i quali, dice l’articolo 16 della Dichiarazione del 1789, non c’è Costituzione – per costoro non contano. Non ne comprendono neppure il senso. Democrazia e libertà sono le parole, da essi sottratte al lessico progressista, con le quali chiamano e legittimano i loro arbitrii e le loro illegalità. L’aspetto allarmante di questo disprezzo del diritto e di questa aggressione ai diritti è il loro carattere globale. Globale è la logica del nemico che legittima guerre e massacri di massa indiscriminati. Globale è il disprezzo suprematista per i popoli e le persone che non appartengono al nostro nobile Occidente. Globale è l’attacco alla sfera pubblica, la devastazione della natura e la guerra contro i poveri e contro i deboli.
Per questo l’opposizione a questi attacchi non può che essere a sua volta globale. Per questo l’alternativa ai sempre più potenti poteri selvaggi degli Stati sovrani e dei mercati globali non può che essere l’allargamento alla loro altezza delle garanzie costituzionali: non solo la difesa e il rafforzamento dell’ancora imperfetta giustizia internazionale, ma anche il disarmo globale e totale a garanzia della pace e della sicurezza, un demanio planetario che sottragga i beni comuni della natura all’attuale mercificazione e devastazione, servizi sanitari e scolastici globali a garanzia dei diritti alla salute e all’istruzione. Solo grazie a queste garanzie globali, pace e uguaglianza cesseranno di essere promesse non mantenute. Sembra un sogno. E invece è la sola alternativa razionale e realistica a un futuro di catastrofi planetarie.
Dalla Corte penale un test politico-legale storico: «Rispettate l’Aja o crolla tutto»
Arrestateli I giuristi spiegano la decisione sui mandati d’arresto per Netanyahu e Gallant: poche ripercussioni, chi non aderisce può essere deferito dalla Corte o denunciato dai propri cittadini. Ma le tre ordinanze delle Corti in 11 mesi rendono «ormai chiara l’illegalità del dominio israeliano sui palestinesi»
Chiara Cruciati 23/11/2024
In undici mesi i più alti tribunali del pianeta hanno terremotato decenni di apatia internazionale sul colonialismo d’insediamento israeliano e le sue pratiche. A gennaio il primo ordine della Corte internazionale di Giustizia (Cig) ha accolto l’accusa di genocidio mossa a Israele dal Sudafrica (ne sarebbero seguiti altri due); a luglio la stessa Corte ha definito illegale l’occupazione militare dei Territori palestinesi e l’ha designata come annessione di fatto e regime di apartheid. Infine, due giorni fa, l’emissione da parte della Corte penale internazionale (Cpi) di mandati d’arresto per crimini di guerra e contro l’umanità per il premier israeliano Benyamin Netanyahu e l’ex ministro della difesa Yoav Gallant.
«LE DUE CORTI sono il più grande test politico-legale dall’era della decolonizzazione. Con chi stiamo? Con la giustizia universale anche per il mondo non bianco, o con i crimini e il genocidio coloniali? – si chiede Nicola Perugini, docente di diritto internazionale a Edimburgo – I due procedimenti sono un chiaro segnale che l’umanità, in senso prettamente giuridico, non può tollerare la violenza messa in gioco da Israele negli ultimi 14 mesi per eliminare la popolazione palestinese dopo averla accusata di responsabilità in quanto gruppo nazionale per gli eventi del 7 ottobre».
«Quella violenza contro il gruppo colonizzato – ci spiega Perugini – ha come scopo la sostituzione della popolazione palestinese con coloni israeliani. Dalle due corti, messe insieme, emerge il repertorio del crimine dei crimini per mettere in atto, come la maggioranza dei ministri di Netanyahu dichiara alla luce del sole, quella che nel suo ultimo report la relatrice speciale Francesca Albanese chiama la “cancellazione coloniale”».
E lei, la relatrice Onu che fin da ottobre 2023 avvertiva del rischio di genocidio, insiste nel suonare il campanello d’allarme globale: «È fondamentale rispettare il diritto internazionale che obbliga tutti gli stati a eseguire i mandati d’arresto – spiega al manifesto – Il sistema scricchiola. O lo si rafforza o ciò che è stato costruito negli ultimi 76 anni a protezione degli esseri umani – e soprattutto, negli ultimi 25 anni sotto l’egida dello Statuto di Roma, la possibilità di prevenire e punire crimini internazionali – evaporerà definitivamente». «Sono anni – continua Albanese – che lo Stato di Israele ha reso la vita un inferno su terra per milioni di palestinesi. Gli ultimi 14 mesi non sono che un’escalation sterminatoria che io ho chiamato genocidio».
Da due giorni giuristi di tutto il mondo avvertono della necessità di rispettare quanto deciso dalla Corte, che di suo non ha poteri coercitivi: è sugli stati firmatari dello Statuto di Roma che pesa l’obbligo di agire, arrestando e trasferendo all’Aja l’individuo sottoposto a mandato di cattura. L’obbligo cade in un unico caso: se esiste già un procedimento penale aperto a carico dello stesso soggetto per gli stessi crimini, la giurisdizione nazionale prevale.
COSA ACCADE nel caso di mancata cooperazione? Di ripercussioni dirette non ce ne sono. Ce ne sono di indirette, e possono far male. Le elenca al manifesto Nimer Sultany, giurista palestinese e docente di diritto all’Università Soas di Londra: «Alcuni stati hanno una giurisdizione universale: autorizzano cittadini e organizzazioni a rivolgersi alle corti nazionali nel caso in cui il proprio paese non proceda all’arresto di un ricercato dalla Cpi».
La stessa Corte penale ha qualche strumento, seppur colpisca solo la reputazione dei paesi refrattari. È successo con la Mongolia, che non cooperò con l’arresto di Vladimir Putin: il 24 ottobre la camera preliminare della Cpi ha deferito la Mongolia all’Assemblea dei paesi membri a cui spetta il potere di censurare Ulan Bator.
Sullo sfondo stanno i danni collettivi: «Se dopo aver sostenuto l’arresto di Putin – continua Sultany – i paesi occidentali non faranno lo stesso con Israele, l’intero ordine legale internazionale ne uscirà indebolito: nessuno stato avrà incentivi a rispettarlo. È interessante vedere cosa farà la Germania: è dai crimini tedeschi commessi nella Seconda guerra mondiale che è nato in buona parte l’attuale diritto internazionale».
«Oggi gli stati hanno tanti obblighi: primo, prevenire il genocidio come stabilito dalla Cig; secondo, non contribuire all’occupazione illegale dei Territori palestinesi occupati, di nuovo una sentenza della Cig; e terzo, i mandati d’arresto – conclude Sultany – L’importanza delle tre decisioni sta nel rendere chiara la criminalità del dominio israeliano sui palestinesi. L’Occidente non può più spacciare l’immagine di Israele come pacifica e vibrante democrazia».
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