DOVE VA IL M5S “PROGRESSISTA E INDIPENDENTE” da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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DOVE VA IL M5S “PROGRESSISTA E INDIPENDENTE” da IL MANIFESTO

Dove va il M5S «progressista e indipendente»

Il Conte 2 Dopo l’assemblea costituente parlano Stefano Patuanelli, Francesco Silvestri, Pasquale Tridico, Alessandra Maiorino e Anna Laura Orrico

Giuliano Santoro  26/11/2024

Passata l’«assemblea costituente» indetta da Giuseppe Conte, e al netto delle mosse del padre-padrone disarcionato Grillo, viene in mente quando, qualche anno fa, di fronte al ginepraio legale che si era generato attorno alle mutevoli vesti formali del Movimento 5 Stelle, l’allora parlamentare Roberta Lombardi fornì una curiosa versione: disse che la creatura di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio correva troppo veloce per potere essere ingabbiata in formule legali e cavilli giuridici. Adesso ci troviamo di fronte a una nuova evoluzione.

Quello di Lombardi era un modo per descrivere la natura liquida dell’organismo pentastellato e per sfilarsi dalle controversie che già lo inseguivano. Dunque, quale forma prenderà il M5S e quale mutazione bisogna aspettarsi dopo l’archiviazione del ruolo del garante, il superamento del tetto dei due mandati, la scelta della collocazione nel campo progressista, sebbene da «indipendenti»?

Lo abbiamo chiesto ad alcuni dei protagonisti di questa vicenda, a cominciare dai capogruppo alla camera e al senato Francesco Silvestri e Stefano Patuanelli. «Banalmente, adesso potremo costruire nei territori e attivare una progettualità, a ogni livello istituzionale, che prima nasceva già con una scadenza sulla schiena – dice Silvestri – In più ora sappiamo che ogni passo delle nostre scelte, compresa quella di essere progressisti indipendenti, ha il sostegno della nostra comunità». Quanto alle coalizioni, Silvestri precisa che l’esito delle votazioni «non significa che la nostra appartenenza a una coalizione si possa dare per scontata. Per noi ci sono valori e temi non negoziabili. La giustizia, così come il sostegno ai salari e la salvaguardia dell’ambiente, sono argomenti sui quali non faremo mai un passo indietro. Il progressismo non è solo un’etichetta. È un involucro pieno di contenuti». Per Patuanelli «da Nova in poi cambia tutto». «La nostra collocazione è stata finalmente chiarita con un processo nato dalla base, chiesto dalla base e votato dalla base – aggiunge l’ex ministro – È chiaro che su questo punto non si scenderà più ad alcun compromesso e nessuno ci potrà più accusare di essere ondivaghi». Quando chiediamo a Patuanelli cosa significhi essere «progressisti» e «indipendenti», risponde con un esempio: «Ci chiediamo come sia possibile votare la commissione Von Der Leyen bis: parla di austerità, di armi e guerra, allontana la transizione green e digitale, abbandona la prospettiva di un piano di debito comune europeo. Per noi è invotabile, e dovrebbe esserlo per tutti i progressisti. Specialmente perché dentro quella commissione ci sarà anche la destra estrema».

In viaggio proprio verso Strasburgo, il capodelegazione M5S Pasquale Tridico traccia il suo bilancio. «Ora potremo valorizzare le competenze e le esperienza – sostiene – E si favoriscono le alleanze nel campo progressista». Tridico valuta positivamente anche «l’obbligo, scelto a larga maggioranza, per chi propone la propria auto-candidatura di aver frequentato corsi della scuola di formazione che dirigo e che, voglio ricordarlo, non prevede alcun costo di iscrizione. Costituisce, insieme al requisito di aver svolto attivismo, un processo di maturità e di evoluzione. Per le autocandidature mi pare una cosa buona anche il passaggio sulla scala comunale». Per Tridico, «sarà più facile battere le destre con le alleanze. E sarà più facile, nelle competizioni in cui è prevista la preferenza, presentare volti noti, competenti, e poter vincere».
Anna Laura Orrico, deputata calabrese, parla della sua esperienza di coordinatrice regionale: «Adesso i gruppi territoriali avranno maggiore autonomia e responsabilità. Sia per quanto riguarda l’azione politica locale, sia per ciò che concerne la possibilità di ricevere risorse. Proprio come ci chiedevano, da tempo, i nostri attivisti». Quando le chiediamo se la scelta della collocazione impedisce nuovi accordi a destra dice: «Sì, certo». Poi aggiunge: «Abbiamo governato con la Lega, c’era un apposito contratto di fine, ma non ci siamo mai presentati con le destre. Quanto alle alleanze nell’alveo progressista aggiungo che in Calabria, alle ultime amministrative, abbiamo già sostenuto due candidati sindaci, a Vibo Valentia e Corigliano Rossano, e vinto, sulla base di programmi condivisi».

La senatrice Alessandra Maiorino tira fuori i dati della consultazione digitale dei giorni scorsi: «Il 32,70% ha scelto la definizione di ‘progressisti indipendenti’, il 22,09 solo ‘progressisti’, il 11,53 ha optato per ‘di sinistra’ – riassume – L’indicazione mi sembra chiarissima, la sintesi migliore è probabilmente quella di progressisti, contrariamente a quanto molti analisti stanno sintetizzando oggi, dato che la somma dei voti tra progressisti e di sinistra è superiore». Impossibile pensare a cambi di campo? «Allearsi con questa destraccia è da escludersi – afferma – totalmente incompatibile con il sentimento della nostra base. Noi siamo e rappresentiamo le fasce più fragili, i dimenticati, i sommersi. L’assemblea ci ha dato un mandato chiaro: opporci a questa destra e farlo nel loro nome, con orgoglio. Noto che restiamo di difficile decifrazione per gli osservatori tradizionali legati a vecchi schemi, e questo era e resta un nostro punto di forza. Sfuggiamo alle definizioni, perché anche se siamo diventati formalmente un partito, restiamo una forza di popolo».

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