CONSIDERAZIONI E RIFLESSIONI SUL VOTO da OFFICINA DEI SAPERI e IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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CONSIDERAZIONI E RIFLESSIONI SUL VOTO da OFFICINA DEI SAPERI e IL MANIFESTO

CONSIDERAZIONI E RIFLESSIONI SUL VOTO

PIERO Bevilacqua  26/09/2022

Care e cari, le note che seguono non sono un’analisi del risultato elettorale – per la quale ci vorranno più dati e più tempo – ma un insieme di considerazioni che spero utili in un momento di delusione e amarezza.

I dati sono al di sotto delle nostre aspettative e si inscrivono peraltro in un contesto di grave arretramento del quadro politico generale. Il successo elettorale di un esponente della destra ex-fascista, candidata addirittura a diventare presidente del Consiglio è l’ultimo segnale del grave processo di declino non solo politico, ma anche culturale e direi di civiltà del nostro Paese.

Ma su questo torneremo. In questo momento l’errore che noi di Unione Popolare non dobbiamo commettere è di andare a caccia dei nostri errori. L’unica cosa che possiamo rimproverarci è che avremmo potuto anticipare di qualche mese la nostra uscita pubblica e forse avremmo avuto qualche punto in più. Ma per il resto , se siamo intelligenti e realisti, dobbiamo interpretare la nostra campagna elettorale come un episodio di eroismo civile, un impegno generoso e senza risparmio di migliaia di compagne e compagni che hanno lottato contro il tempo, il caldo, la burocrazia, la mancanza di soldi, la latitanza spudorata dei media, la malafede di giornalisti e politici che hanno cercato di cancellarci. La mia campagna elettorale, tra Roma e Catanzaro – ma posso parlare anche a nome di altri candidati – è stata una delle più belle esperienze politiche della mia vita , per il calore umano, l’altruismo, la generosità da cui sono stato circondato in questi due mesi.

Come spiegare il risultato deludente? Non pretendo di rispondere esaurientemente, ma svolgo un paio di considerazioni. Siamo onesti.

Noi, Unione Popolare, presentandoci alle elezioni, non abbiamo fatto altro che ripetere quello che la sinistra radicale non fa che tentare da 20 anni. Sonnecchia per 4, 5 anni e si desta ogni volta al momento delle elezioni con un nome sempre nuovo, Arcobaleno, Alba, ecc.

Bisogna averlo chiare in testa: nella situazione che si è determinata nel nostro Paese non è possibile conseguire un risultato soddisfacente se ci si fa vivi solo per chiedere il voto. In una parola per domandare al cittadino elettore di darci la possibilità di entrare in Parlamento in cambio delle nostre promesse elettorali. Vale a dire senza prima aver conosciuto quel cittadino negli anni precedenti, aveva ascoltato i suoi bisogni, averlo incontrato in quartiere o davanti al luogo di lavoro.

Ai compagni che dicono:” non abbiamo saputo comunicare il nostro messaggio”, dico che non è così. Questa volta avevamo un comunicatore eccellente come Luigi De Magistris e non ha funzionato lo stesso. Non si tratta di capacità comunicativa. L’elettore non si limita a giudicare la qualità della proposta politica, valuta anche la forza e la capacità di realizzarla effettivamente. Se chi formula il messaggio è debole non viene creduto, pure nel caso che l’elettore apprezzi la qualità intrinseca delle proposte. Bisogna che tutti capiamo una cosa

fondamentale: la sinistra radicale è intrappolata in un circolo

vizioso: si presenta alle elezioni sempre debole, piccola e minoritaria e non viene creduta nonostante la nobiltà dei suoi programmi, anche perché in Italia sulle elezioni domina sempre la logica del voto utile.

Dunque, nessun errore di linea, di proposta, di progetto. Non autoflagelliamoci, non è qui il punto. La nostra brevissima vita di soggetto politico ha patito moltissimo la grave faziosità dei media e soprattutto della TV. Un uomo come Calenda, un senza partito, senza storia, con quattro idee in testa è stato tutti i giorni nelle nostre case e ha avuto il risultato di un partito (insieme al suo degno compare). Quello della TV e dell’informazione è una grave questione nazionale. Noi abbiamo assistito per giorni e giorni alle pompose cerimonie dei funerali della regina Elisabetta, senza che si levasse una sola voce che gridasse al carattere culturalmente e politicamente oltraggioso di quella ossessionante esibizione. Chi era Elisabetta, Einstein, Picasso, Fleming, Touring, Marcel Proust? Quale contributo ha dato all’umanità? Era stata solo il simbolo sopravvissuto al medioevo di un ex impero coloniale, che aveva sfruttato per quasi quattro secoli gran parte del globo terraqueo. Quelle parate televisive sono state un indegno inno al potere più assoluto, quello ereditato, un relitto del passato che suona come un’onta alla democrazia del ‘900.

E’ riflettendo sul ruolo della TV e dei grandi giornali che si comprende anche il successo della Meloni. Questi media per anni hanno accreditato il PD come La Sinistra e hanno finito così con lo screditare perfino la parola, dal momento che quel partito e i suoi satelliti hanno di fatto condotto una politica antipopolare, che ha creato marginalità e povertà in tanti strati, finendo così col mostrare nella destra estrema l’alternativa illusoria di un possibile cambiamento.

Non so cosa possiamo fare contro questa TV. Ne parleremo. Ma è certo che dovremo al più presto dotarci di uno strumento alternativo di comunicazione. Dobbiamo screditare la TV come luogo di menzogne pubblicitarie, creare un canale di informazione e di circolazione delle nostre elaborazioni che giunga a centinaia di migliaia di persone.

Care campagne e compagni, non scherzavamo quando dichiaravamo che le elezioni erano solo un inizio. Plaudo all’incoraggiamento di Maurizio Acerbo a nome di Rifondazione Comunista che ci esorta a continuare. Ci aspetta un lavoro di lunga lena. Io personalmente sono pronto con tanti altri studiosi ad avviare una Scuola di cultura politica e ambientale on line per parlare alle migliaia di giovani che cercano una parola di orientamento in una fase di gravissima quanto sottovalutata crisi ambientale. Attendo che qualcuno realizzi una piattaforma unitaria per tutta l’Unione.

Ma termino dicendo che tutti e tutte sentono l’esigenza di confrontarsi, di scambiarsi le esperienze di questi due mesi, le critiche, le proposte sul da farsi. Perciò inviterei Luigi a prendere al più presto l’iniziativa di una “Assemblea costituente”, come lui l’immaginava prima che la situazione precipitasse con la caduta del governo.

La sinistra impari la lezione

C’è una radicale, profonda iniquità in questa nuova fotografia elettorale del Paese: è la legge con la quale sono stati chiamati al voto oltre 50 milioni di italiani. È utile ripeterlo finché non ci sarà modo di cambiarla

Norma Rangeri  27/09/2022

C’è una radicale, profonda iniquità in questa nuova fotografia elettorale del Paese: è la legge con la quale sono stati chiamati al voto oltre 50 milioni di italiani. È utile ripeterlo finché non ci sarà modo di cambiarla. Intanto perché è sfacciatamente antidemocratica visto che cancella dal panorama istituzionale chi non raggiunge il 3 per cento dei suffragi, e visto che premia, oltre ogni giusta misura, chi riesce ad ottenere anche un solo consenso in più dell’avversario. Uno specchio deformante che ingigantisce o assottiglia le formazioni politiche senza curarsi delle loro reali dimensioni.

Per di più, ironia della sorte, va detto che proprio chi l’ha voluta, anzi imposta, il Partito democratico (all’epoca renziano), è stato severamente e meritatamente punito per non averla neppure saputa usare contro la vittoria annunciata della destra.

Tuttavia sarebbe riduttivo pensare di trovarci semplicemente di fronte ad un errore tattico, perché, al contrario, la crisi del Pd è figlia di pesante miopia politica, frutto della stupefacente sopravalutazione, fino all’identificazione, con il “sistema Draghi”, fino a scambiare il prestigio internazionale del capo del governo con l’identificazione programmatica tout court del partito.

Di conseguenza, il muro anti 5Stelle, lungi dal penalizzarli per lesa maestà draghiana, non solo li ha premiati ma ha regalato all’Italia la svolta storica di una larga maggioranza di estrema destra, spianando così la strada verso il potere a un avversario molto pericoloso sul piano dei diritti, delle libertà personali, dello schieramento europeo. Eppure Letta ieri, nello sprofondo del day after, presentandosi al rendiconto con gli elettori, ha rivendica questo perentorio vade retro verso i 5S, non ha fatto cenno all’intenzione di dimettersi subito, annunciando che al prossimo congresso del Pd, fissato a marzo, non si ricandiderà come segretario, per lasciare spazio ai più giovani. C’è da chiedersi perché aspettare sei mesi di fronte ad un cambio della guardia annunciato.

In ogni caso “dimissioni” è una parola sconosciuta anche per Salvini, l’altro perdente del 25 Settembre, apparso in tv come se il crollo leghista non lo riguardasse, anzi presentandolo come un generoso tributo pagato al governo di unità nazionale. Un sacrificio del quale sembra voler essere ricompensato con qualche ministero pesante. In realtà Salvini ora è il capo traballante di un partito prosciugato, persino umiliato da Meloni, (Fratelli d’Italia ha clamorosamente doppiato la Lega nelle sue roccaforti regionali, dal Veneto, alla Lombardia).

Letta e Salvini non sono certo i soli leader azzoppati. Questo spartiacque elettorale mette anche altre leadership di fronte alle rispettive responsabilità. Come quelle che navigano nel vasto, e non popoloso, mare della sinistra non tradizionale. Un arcipelago verso il quale le urne sono state più che impietose. Come nel caso di Unione Popolare, guidata da Luigi De Magistris, e composta da Rifondazione Comunista e Potere al Popolo, che ha raccolto appena l’1,5 per cento dei consensi: mancando il quorum per entrare in Parlamento.

A che serve presentarsi, anche in gruppo, quando non si riesce ad avere neppure la metà dei voti necessari per eleggere un senatore? Forse in questi casi, anziché ridurre il voto ad una conta, sarebbe più importante l’esclusivo impegno politico nel territorio, evitando di puntare ad una improbabile presenza nelle istituzioni.

Questo flop è un risultato negativo soprattutto per l’ex sindaco di Napoli. Forse indotto a sperare in un esito diverso dopo il successo raccolto nelle elezioni regionali in Calabria, senza considerare che nella competizione nazionale non bastano i successi personali per ottenere una buona risposta dalle urne. Per non parlare di Italia Sovrana, di Rizzo e Ingroia, un’ammucchiata poco comprensibile e respinta al mittente dagli elettori. Sta di fatto che queste due formazioni hanno disperso oltre 700 mila voti. Di sinistra.

Certamente meno demoralizzante, ma tutt’altro che entusiasmante, è il 3,5 per cento conquistato dal tandem Sinistra Italiana-Verdi. Sappiamo che avevano messo l’asticella del successo oltre il 5 per cento. Senza riuscirci. E c’è da chiedersi perché i voti in fuga dal Pd non siano andati a questa recente alleanza che, almeno potenzialmente, potrebbe avere più seguito grazie alla sua vocazione sociale e ambientalista. Forse aveva, ha, bisogno di più tempo per raggiungere la visibilità necessaria per crescere.

Comunque l’impressione generale è che le formazioni a sinistra del Pd, non siano in grado di conquistare un ampio seguito tra le generazioni più giovani, nonostante il bacino nel quale pescare dovrebbe essere proprio il mondo giovanile. Ma per farlo, così come per altre forze tradizionali, serve un nuovo linguaggio, nuovi riferimenti mediatici. E anche gruppi dirigenti, meno legati alla storia della sinistra del secolo scorso.

È del tutto comprensibile il desiderio di essere presenti nelle istituzioni, tuttavia, da adesso in avanti, è forse più importante concentrarsi sulla battaglia nel Paese. A fianco dei lavoratori, dei non garantiti, di chi è senza diritti o di chi li ha duramente conquistati (come l’aborto per le donne) e rischia di vederseli cancellare dalle nuove ancelle del buon costume. È in questo impegno sociale che la nostra sinistra può ritrovare la spinta necessaria alla costruzione di un’opposizione, forte e duratura.

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