AUTONOMIA, LA CORTE SMONTA LO “SPACCA ITALIA” DI CALDEROLI da IL MANIFESTO e IL FATTO
Autonomia, la Corte smonta lo «spacca Italia» di Calderoli
La decisione Censurati i due pilastri della legge: la cessione alle regioni di tutte le materie previste nel Titolo V, l’esclusione del Parlamento sui Lep. La devoluzione, in particolare, deve riguardare «specifiche funzioni» e deve anche essere giustificata. La Corte resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione, qualora venissero censurate con ricorso da altre regioni
Kaspar Hauser 15/11/2024
La legge Calderoli sull’autonomia differenziata è incostituzionale nei suoi due cardini: la devolvibilità alle regioni di tutte le materie previste dal Titolo V della Carta, nonché le modalità di determinazione dei Lep che escludono il Parlamento dalle decisioni in materia. In più altre norme vanno «interpretate» e attuate in una direzione diversa da quella su cui si stava muovendo il governo. Lo ha detto la Corte costituzionale in un lungo e articolato comunicato in cui ha annunciato le proprie decisioni, che saranno motivate sul piano giuridico nella sentenza che verrà pubblicata ai primi di dicembre.
Una sentenza che «smonta» la contestata legge targata Lega e apre scenari politici ancora da decriptare. Questioni inedite si aprono anche per la Cassazione, chiamata a decidere se vi siano ancora gli estremi per celebrare il referendum abrogativo della legge e, se sì, come riformulare il quesito.
IL COMUNICATO, diffuso ieri nel tardo pomeriggio, spiega che la Consulta «ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata», cosa che permette al governo di salvare la faccia. Tuttavia la Corte, dopo un preambolo sui principi solidaristici e unitari della Costituzione repubblicana, spiega che «ha ravvisato l’incostituzionalità dei seguenti profili della legge», con un elenco impietoso, visto che riguarda i cardini del provvedimento.
In primis il fatto che possano essere devolute intere materie o anche tutte e 23 le materie previste dall’articolo 117 della Carta, «laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata». In effetti l’articolo 116 comma 3 parla di «forme e condizioni particolari» di autonomia di competenze.
IN SECONDO LUOGO il fatto che in tutti i suoi passaggi la legge Calderoli abbia messo nelle mani del solo governo la determinazione dei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) che, insiste il comunicato, «concernono i diritti civili e sociali». In particolare la legge Calderoli affida a uno o più decreti legislativi la determinazione dei Lep, sui quali il Parlamento può solo esprimere un parere; a ciò si aggiunge che la legge delega sia «priva di idonei criteri direttivi». In più, le successive modifiche ai Lep sono affidate a dei semplici dpcm, decreti della presidenza del Consiglio – di pandemica memoria – su cui le Camere non possono nemmeno dare un parere.
GIÀ L’ABBATTIMENTO dei due pilastri della legge Calderoli è una Caporetto per il governo Meloni; come se non bastasse i giudici hanno indicato che vanno interpretate in modo costituzionalmente orientato altre previsioni della legge: l’escamotage per evitare la bocciatura dell’intera legge, ma che dovrebbe consentire alla Consulta di aprire la strada al referendum abrogativo. «L’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al governo» afferma il comunicato.
Infatti la legge Calderoli prevede che una volta approvata l’Intesa tra il governo e la regione, le Camere possano solo approvare o respingere la legge che la recepisce, come avviene oggi per le Intese con le religioni. «La legge di differenziazione – spiegano invece i giudici – non è di mera approvazione dell’Intesa (“prendere o lasciare”) ma implica il potere di emendamento delle Camere; in tal caso l’Intesa potrà essere eventualmente rinegoziata».
FURBESCAMENTE la legge Calderoli, per poter devolvere subito alcune materie a Veneto o Lombardia, prevede che alcune di esse non necessitino di avere dei Lep; ebbene, spiega la Consulta, «se il legislatore qualifica una materia come “no-Lep”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali», interpretazione che impedisce la devoluzione disinvolta di molti ambiti di materia.
Dopo aver indicato altri due punti della legge riguardanti la finanza pubblica che vanno interpretati in senso solidaristico e dell’unità nazionale, i giudici concludono con una doccia fredda per i leghisti: «La Corte resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione, qualora venissero censurate con ricorso in via principale da altre regioni o in via incidentale». L’opposto di quanto i governatori Luca Zaia e Attilio Fontana e il ministro Calderoli avevano sempre sostenuto, ritenendo le Intese svincolate dal vaglio di legittimità costituzionale.
“Il ddl ora è uno zombie E l’abrogazione totale resta ancora possibile”
M. Ainis – “L’intervento della Consulta non è da poco, tocca i principi fondamentali.”
Lorenzo Giarelli 15 Novembre 2024
“La legge Calderoli è uno zombie. Resta in piedi, ma è una scatola vuota”. E il peggio potrebbe arrivare col referendum abrogativo, non del tutto superato dalla decisione della Corte costituzionale (ma di questo si occuperà la Cassazione). Michele Ainis, costituzionalista tra i più noti e professore emerito all’Università Roma Tre, premette che per valutazioni definitive sul ddl Autonomia bisognerà leggere la sentenza della Consulta, ma la nota diffusa dalla Corte costituzionale contiene già alcune indicazioni definitive.
Professor Ainis, come ne esce la legge Calderoli? La Lega esulta, le opposizioni pure.
La Corte ha reso la legge sull’autonomia uno zombie: formalmente è viva, ma non può più operare, è stata amputata di parti senza le quali non può essere operativa. La legge è una scatola vuota, così com’è non funziona.
Quindi, due strade: o il Parlamento corregge gli errori o il referendum la seppellisce del tutto.
La Corte spiega che cosa non va in questa legge. Sulla base di questo – e sarà necessario leggere bene la sentenza – e secondo i principi che la Consulta ha messo in chiaro, sta al Parlamento intervenire, se lo ritiene, per correggere le storture.
I referendum restano in piedi?
Di solito funziona così: nel caso in cui, dopo aver raccolto le firme per un referendum, il Parlamento interviene modificando la legge oggetto del quesito, allora la Cassazione procede con un ulteriore esame per verificare se, con le modifiche apportate, il referendum resta valido. Se il Parlamento cambia una virgola della legge, per intenderci, è ovvio che non cambia nulla. In questo caso non interviene il Parlamento, ma la Consulta. Ma sarà necessario lo stesso passaggio, al netto poi di eventuali decisioni politiche dei promotori. Io credo che almeno il quesito che abroga la legge per intero possa restare in piedi, mentre per quelli parziali la sentenza aiuterà a farsi un’idea.
Su che cosa dovrebbe intervenire il Parlamento?
L’intervento della Consulta non è da poco, tocca i principi fondamentali. Alla base della decisione c’è il concetto dell’interpretazione sistematica delle norme, e in particolare dell’articolo 116 della Costituzione, quello che consente il trasferimento di alcune competenze. Lo consente, ma non è un liberi tutti.
Si è esagerato?
La sentenza credo operi una interpretazione restrittiva di quell’articolo 116, che descrive un’eccezione rispetto a una regola. L’eccezione garantita dalla Costituzione è che esistono delle competenze che possono essere trasferite, ma la legge Calderoli trasformava l’eccezione in regola, con intere materie trasferite in blocco. La Consulta invita a stare attenti su questo: l’articolo 116 va interpretato in modo sistemico, ovvero tenendo conto del sistema costituzionale di cui fa parte. Puoi trasferire alcune funzioni alle Regioni, ma sempre tenendo conto alcuni principi come la sussidiarietà, l’uguaglianza, l’unità della Repubblica, eccetera.
Concetti che stridono con l’attuale iter di determinazione dei Lep, per esempio.
Si tratta di fare ordine nel sistema delle fonti. Non si possono determinare i Lep con un Dpcm. Le leggi sono fatte dal Parlamento, i Dpcm no. Non ci può essere un esproprio del ruolo del Parlamento, scavalcato con deleghe in bianco al governo e con atti ministeriali o della Presidenza del Consiglio.
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