A ROMA LA PIAZZA ANTIRAZZISTA. A FIRENZE QUELLA ANTIFASCISTA da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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A ROMA LA PIAZZA ANTIRAZZISTA. A FIRENZE QUELLA ANTIFASCISTA da IL MANIFESTO e IL FATTO

A Roma la piazza antirazzista. «Basta stragi, governo responsabile»

RELITTO DI STATO. La manifestazione per le dimissioni di Piantedosi lancia un ponte alle mobilitazioni di studenti, Friday for Future e all’8 marzo di Non una di Meno

Guliano Santoro, ROMA  02/03/2023

La manifestazione che chiede le dimissioni di Matteo Piantedosi si ritrova a Roma, a piazzale Esquilino. Cioè esattamente a metà strada tra il Viminale, la sede del ministero dell’interno, e la stazione Termini, dove da poche ore sono stati sgomberati senza tanti complimenti diversi profughi accampati. La legge del decoro urbano e quella del sovranismo si sposano, e le centinaia di persone che si ritrovano in piazza, convocate appena il giorno prima, sono il segnale che per molti e molte la misura è davvero colma. «Siamo qui contro Piantedosi e contro il governo Meloni – spiegano – Siamo contro l’Europa che paga Erdogan per chiudere le frontiere invece di organizzare flussi regolari e dare protezione a chi scappa da guerre. Se non la fate voi l’Europa, la facciamo noi: in questo momento l’Unione europea è vittima di Visegrad, garantisce i sovranismi invece di garantire il diritto alla fuga dei migranti».

E ancora: «Quella calabrese era una strage prevedibile ed evitabile. Sono morti i nostri fratelli che scappavano dall’Afghanistan dei Talebani, dall’Iran del regime, dalla Siria di Assad che bombarda anche dopo il terremoto. Le destre si fanno forti dell’indifferenza per questo bisogna unire le lotte e parlare con le persone».

Ci sono anche il presidente dell’ottavo municipio Amedeo Ciaccheri, la consigliera regionale civica (appena rieletta) Marta Bonafoni, l’ex segretario del Pd romano e oggi sostenitore di Elly Schlein Marco Miccoli. C’è Enrico Calamai, il diplomatico che al tempo del golpe in Argentina fece letteralmente carte false per mettere al sicuro centinaia di dissidenti. «Il neoliberismo non accetta persone che non portano ricchezza ma solo umanità – dice Calamai – Possibile che con una guerra in corso non i mari non venissero controllati? Li hanno lasciati morire per dare una lezione agli altri. Dobbiamo portare i responsabili davanti alla Corte penale internazionale». Calamai lancia un appuntamento fisso: ogni giovedì con le mani dipinte di rosso davanti al Viminale.

Questo è uno degli elementi che fa be sperare: da questo luogo si connettono diverse lotte. Lo spiega bene Enrica Rigo, docente di filosofia del diritto e attivista. «Questa piazza ha a che fare con lo sciopero dei Fridays for future – dice Rigo – perché i migranti sono legati il modo in cui gestiscono le crisi energetiche. Ma ci sarà anche l’8 marzo di Non una di meno, contro la violenza che attraversa i confini, perché non esiste femminismo che non sia anche antirazzista. E poi gli studenti a Firenze sabato prossimo, perché è una lotta antifascista che ci appartiene». «O iniziamo a disobbedire a questo governo o saremo condannati a manifestazioni inerti» dice Andrea Alzetta di SpinTime, che lunedì sera ha ospitato la grande assemblea che ha deciso di organizzare questa manifestazione.

Tornano alla mente altre stragi in mare e le lotte fondative della Rete antirazzista di Dino Frisullo: quest’anno è il ventennale della sua scomparsa. «In un momento così anche lui avrebbe organizzato una manifestazione – fa notare Gianluca Peciola- Nei prossimi anni un miliardo di persone si sposeranno per il riscaldamento globale. È impossibile che i governi locali riescano a gestire questi processi: serve la connessione globale dei movimenti».

Il contrammiraglio Alessandro: «C’è una distorsione del soccorso in mare. Possibili altre tragedie»

MEDITERRANEO. L’allarme dell’esponente della guardia costiera in congedo: «Si stanno rafforzando da tempo procedure e prassi che inquinano le vicende dei soccorsi di grandi numeri di persone, come quelli dei migranti, trascinandole in logiche di polizia»

Giansandro Merli  02/03/2023

Il contrammiraglio Vittorio Alessandro, adesso in congedo, ha trascorso 31 anni nella guardia costiera. Lancia l’allarme sulle procedure applicate al salvataggio dei migranti nel Mediterraneo.

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi parla di «apparente sovrapposizione» tra eventi di immigrazione clandestina ed eventi di ricerca e soccorso (Sar). Com’è possibile che per casi di emergenza non esistano norme e procedure chiare?

Può succedere che, non da un giorno all’altro ma in un arco di tempo abbastanza lungo, si rafforzino procedure e prassi che inquinano le vicende dei soccorsi di grandi numeri di persone, come quelli dei migranti, e le trascinino verso logiche e prassi di polizia. Prima gli interventi erano esclusivamente ispirati al salvataggio. Ovviamente anche la polizia veniva chiamata in causa, ma per aspetti logistici e di ordine pubblico. Allo sbarco.

Quando tutto va bene cambia qualcosa tra l’esito di un’operazione di polizia e una Sar rispetto all’ingresso di migranti sul territorio?

Alla fine non cambia granché. Sbarcano comunque. Ma durante l’intervento in mare si realizzano procedimenti e passaggi diversi.

Un paradosso.

Credo che molto sia concesso all’opinione pubblica, elargito come notizia per cercare di far tornare i conti. Ma i conti non tornano: ci sono tanti sbarchi e tanti morti.

Frontex ha avvistato il caicco a 40 miglia e sono partiti due mezzi della Guardia di Finanza (GdF). Le fiamme gialle hanno giurisdizione per un’operazione di polizia fuori dalle 12 miglia di acque territoriali e dalle 24 di «zona contigua»?

Le attività di polizia si possono svolgere nelle acque territoriali salvo, prevedono le norme internazionali, in caso di inseguimento. Cioè quando una nave sospetta dalle acque territoriali si sposta verso l’esterno.

Se due navi della GdF escono a cercare una barca e non la trovano il caso finisce lì?

Se si è ritenuto che ci sia un reato da perseguire e dei responsabili da individuare la situazione non può concludersi in questo modo. Neanche da un profilo di polizia. Soprattutto, però, se è in corso un evento che ha già le caratteristiche del pericolo il fatto che le motovedette rientrino per il mare estremo deve spingere a tenere aperta la strada del meccanismo di soccorso.

Quindi il caso Sar si sarebbe potuto aprire anche a quel punto?

Sì, l’evento Sar è la formalizzazione di una situazione di pericolo che consente di tracciare una barca e non mollarla mai un minuto. In mare conta proteggere le vite, non si può tralasciare alcuna tappa.

Torniamo all’avvistamento di Frontex. Gli elementi comunicati configurano una situazione di pericolo?

Chiunque aveva quelle informazioni poteva ritenere che con un mare fortemente avverso ci sarebbero state le condizioni per aprire un soccorso. Se un lettore termico rileva presenze sottocoperta, a prescindere dal numero esatto, si può capire che quell’imbarcazione da sola e lontana dalla costa è in pericolo. Se non viene aperto un procedimento di soccorso significa che è in atto una grave distorsione delle cose. Si ritiene che in primo piano vada l’attività di polizia, il contenimento degli arrivi e la persecuzione degli scafisti. Ma quando ci sono situazioni di grave pericolo, di emergenza come gli incendi, non è che si manda soltanto la polizia a vedere chi è stato il piromane. Prima si mandano i vigili del fuoco a spegnere le fiamme.

Il comandante della capitaneria di porto di Crotone Vittorio Aloi ha detto che spesso le regole di ingaggio non vengono dal ministero delle Infrastrutture, ma da quello dell’Interno. Il Viminale ha un ruolo ufficiale nelle attività di rintraccio delle imbarcazioni?

No, le leggi assegnano solo alle capitanerie di porto della guardia costiera il ruolo di referente nazionale per il soccorso marittimo, in attuazione della convenzione di Amburgo. Di fatto, però, da qualche anno si è affermato sempre di più il ruolo del ministero dell’Interno rispetto alle attività di soccorso riferite ai fenomeni migratori. In particolare per l’assegnazione dei porti, ma non solo.

Questa vicenda crea rischi per l’immagine e le competenze del corpo della guardia costiera?

Credo di sì e me ne dispiace molto. Ma non è la cosa più grave. La cosa più grave è che un naufragio come quello di Steccato di Cutro poteva accadere anche prima, tra le tante barche arrivate senza che venisse decretata l’azione Sar. E potrà accadere anche dopo se non correggiamo la grave distorsione di vedere il mare come una campagna per le attività di polizia.

Il meloniano al Tg2: “È colpa dei migranti”

To. Ro.   2 MARZO 2023

Ore 13, Tg2, servizio sulla tragedia di Cutro. Di fronte al microfono si presenta, serissimo, un deputato di Fratelli d’Italia, Manlio Messina: “La trasparenza è certamente la cosa migliore – dice – soprattutto quando viene strumentalizzata una situazione come quella di questi giorni dalle sinistre e dalle opposizioni, che invece di attaccare i migranti attaccano il governo”. Dice davvero così, testuale: “Invece di attaccare i migranti”… Ora, il dubbio è angosciante: si tratta di un tremendo lapsus freudiano o intendeva davvero una bestialità del genere? Il sospetto è fondato: l’intervista è registrata, possibile che Messina non se ne sia accorto? E possibile che non se ne sia accorto chi ha realizzato il servizio, oppure chi l’ha montato, chi doveva controllarlo, chi conduce il tg? Nessuno ha fatto una piega. In fondo, a ben vedere, la folle dichiarazione del meloniano non è poi tanto diversa da quelle del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi: “L’unica cosa che va affermata è che (i migranti) non devono partire”, ha detto. E ancora: “La disperazione non giustifica viaggi che mettono in pericolo i figli”. È stato lui il primo a dare la colpa ai migranti. Messina ripete, il Tg2 manda in onda.

È l’occasione migliore per l’esordio dei due leader

 

TOMASO MONTANARI  2 MARZO 2023

È davvero un segno carico di futuro che il primo luogo in cui si incontreranno la nuova segretaria del Pd e il presidente del Movimento 5 Stelle (due outsider rispetto alle logiche tribali della politica italiana) non sarà nel chiuso di una stanza romana, ma nella piazza della manifestazione antifascista per la scuola convocata a Firenze, per sabato prossimo, da sindacati e associazioni. Un pestaggio squadrista contro alcuni studenti, la copertura e il depistaggio da parte del partito di maggioranza relativa al governo, l’indecente minaccia di sanzioni del ministro della Scuola contro una dirigente che si era limitata a ricordare l’ovvio, e cioè che il fascismo è fuori dall’orizzonte della Costituzione: è da tutto questo che nasce l’esigenza di non far sentire soli ragazzi, insegnanti, famiglie.

L’innesco è dunque occasionale, ma il tema no: è centrale. Perché se Elly Schlein e Giuseppe Conte sapranno collaborare nella costruzione di una piattaforma politica credibile per la difesa e il rilancio della scuola pubblica, vorrà dire che ci sarà speranza di liberarci da questa destra terribile. “Il presidio della nazione non è più nell’esercito, ma nella scuola”, si disse nell’Assemblea costituente: e ancora oggi questa visione è una buona cartina di tornasole per distinguere tra una sinistra (che ci creda, e lavori perché sia vero) e una destra (che palesemente crede nel contrario). Pd e 5 Stelle hanno oggi lo stesso nemico: l’astensionismo, la profonda disillusione dei loro elettori. Sono tra quelli che credono che entrambi ne possano uscire meglio insieme, che non uno contro l’altro. Per farlo, è necessario passare dalle sterili e alienanti narrazioni sui leader, all’articolazione di un progetto di società alternativo a quello, terribile, della destra: la scuola è proprio il posto giusto per cominciare a farlo.

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