300.000 FIRME: SEGNALE POTENTE PER LA POLITICA da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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300.000 FIRME: SEGNALE POTENTE PER LA POLITICA da IL FATTO

300 mila firme: segnale potente per la politica

Massimo Villone  31 Luglio 2024

In cinque giorni più di 300.000 hanno firmato online per il quesito totalmente abrogativo della legge Calderoli (86/2024). Dopo un rush iniziale c’è stato un parziale e fisiologico rallentamento, ma nessuno stop. Vanno anche aggiunte le firme ai banchetti. Un risultato clamoroso e un potente segnale alla politica e al Paese. Non si diminuisca ora – anzi, si accresca – l’impegno ai banchetti. Che sono indispensabili per discutere, convincere, mobilitare chi ancora non sa o non ha un’opinione. Quindi, contribuiscono a costruire il contesto per raggiungere domani nel voto il quorum della partecipazione della maggioranza di aventi diritto.

Certo, il quorum è ostacolo difficile, in specie perché l’avversario inviterà ad andare al mare. Ma nel referendum del 2016 sulla riforma Renzi-Boschi – legge costituzionale e per l’art. 138 senza quorum strutturale – andò alle urne oltre il 65% degli aventi diritto, con circa il 60% di no. È vero che contribuì l’intento di colpire Renzi, con una quota di votanti ascrivibile alla destra. Ma anche per la legge Calderoli potrà confluire nel voto chi non si allinea alle politiche di Meloni, o comunque dissente sull’autonomia. Quando Occhiuto chiede una moratoria e avverte che in Calabria il voto sarà 90 a 10 o 80 a 20 per l’abrogazione non pensa certo che i calabresi orientati a destra andranno tutti al mare. Se Calderoli insisterà sulla regionalizzazione del commercio con l’estero, cosa farà Tajani, che dice un chiaro “no” chiedendo un generale ripensamento? Ed è peregrina l’idea che vedere le opposizioni unite possa recuperare al voto una quota significativa dall’astensione? Magari per la speranza che un sì di massa abbrevi il tempo della destra a Palazzo Chigi?

Inoltre, non si dia per certa una dichiarazione di inammissibilità della Consulta. Gli argomenti in tal senso sono essenzialmente tre. Il primo: inammissibilità perché il governo ha collegato la legge Calderoli al bilancio. Contro si argomenta la strumentalità, visto che la legge contestualmente prescrive l’invarianza di spesa. Dunque, la stessa legge esclude che vi sia una incidenza sul bilancio. Se la Corte dichiarasse inammissibile il quesito referendario in base a una dichiarazione puramente strumentale di collegamento, consegnerebbe al governo uno strumento per azzerare a sua discrezione il diritto all’opzione referendaria. Un vulnus alla democrazia.

Il secondo: la legge è in diretta attuazione dell’autonomia prevista in Costituzione dall’art. 116.3 ed è quindi “costituzionalmente necessaria”, come tale non interamente abrogabile. Si oppone in senso contrario che cancellare la legge Calderoli non lede in alcun modo l’autonomia ex art. 116.3, che può essere attuata anche in assenza della legge 86/2024. Come è provato dal fatto che la ministra leghista Stefani portò fino alla porta del Consiglio dei ministri bozze di intesa poi fermate da dissensi politici, non dalla mancanza di una legge-quadro. Il terzo: il quesito interamente abrogativo è – a causa dei molteplici contenuti della legge – intrinsecamente disomogeneo, e quindi inammissibile. Si risponde che tutte le leggi presentano contenuti molteplici, e dunque l’abrogazione totale – pur prevista dall’art. 75 – non sarebbe di fatto mai ammissibile. Al tempo stesso, per la Consulta i quesiti parziali devono mantenersi nell’ambito di limitate correzioni che non alterino in profondità o rovescino l’impianto legislativo. In caso contrario, sarebbero inammissibili perché troppo manipolativi.

La Corte ha alzato molti e ripidi argini intorno al referendum. Ma confidiamo nella sua saggezza. Nel caso specifico la voce del popolo sovrano è in assoluto quella più legittimata su scelte che radicalmente investono la politica, le istituzioni, il futuro del paese. Da anni Zaia conciona sul voto di 2.200.000 veneti nel referendum del 2017, ora persino celebrato in una “Giornata dell’autonomia”. Vogliamo davvero negare ai restanti 48 milioni un pari diritto di pronunciarsi? Se questo referendum spacca l’Italia, (Zaia, Stampa 29.07) quello veneto del 2017 no? Peraltro, un rischio di inammissibilità esiste. Essenziale è il ricorso in via principale alla stessa Corte. A quanto si sa, Campania e Toscana hanno già deliberato di ricorrere, Puglia e Sardegna stanno valutando. È d’obbligo vigilare. E in parlamento le opposizioni pretendano da Calderoli e dal governo di vedere le carte. Cosa chiedono Lombardia, Veneto, Piemonte e Liguria, già alla porta di Palazzo Chigi? Come, quando e su cosa parte il negoziato? La Lega è in fibrillazione, e non mancano toni minacciosi. Chissà che le firme referendarie non siano i primi mattoni del monumento funebre per il governo in carica. Potete aggiungere il vostro mattone su https://pnri.firmereferendum.giustizia.it/referendum/open/dettaglio-open/500020.

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