L’ILLUSIONE DEL CAPITALISMO DAL VOLTO UMANO da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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L’ILLUSIONE DEL CAPITALISMO DAL VOLTO UMANO da IL MANIFESTO

L’illusione del capitalismo dal volto umano

Nuova Finanza pubblica La rubrica settimanale di politica economica. A cura di autori vari

Marco Bertorello, Danilo Corradi  18/01/2025

Proviamo a guardare quel che sta accadendo da un punto focale distante sulla linea del tempo. Negli anni Ottanta, con la fine del modello keynesiano-fordista il pendolo della storia riprendeva a oscillare verso il liberal-liberismo. Una parte delle forze progressiste pensò di poter padroneggiare il nuovo modello, da un lato cercando di contenerlo nei suoi aspetti peggiori e dall’altro confidando che la spinta liberista avrebbe garantito un rilancio della crescita economica.

Libertà d’impresa e destrutturazione del mercato del lavoro. Come l’alta marea fa salire tutte le barche, la crescita avrebbe aumentato il benessere per tutti, seppur distribuito in proporzioni sempre più diseguali. Arrivarono i tempi di Clinton e dell’Europa a trazione New Labour, le illusioni della società della conoscenza e della responsabilità sociale delle aziende. Diritti, woke, ambiente. Larry Fink, Ceo di BlackRock, ancora qualche anno fa, parlando di questa inedita tendenza, affermava che «noi siamo per la sostenibilità proprio perché siamo capitalisti».

Una sorta di comunione d’intenti naturale, iscritta nel nuovo modello di sviluppo. Il quadro si è iniziato a incrinare dopo la crisi del 2007-2009, quando l’orizzonte di una forte crescita svaniva ed emergevano contraddizioni importanti sul piano sociale e globale. Oggi il quadro sembra repentinamente precipitare.

La presidenza Trump di ritorno ha rotto gli argini, in un contesto decisamente schiacciato a destra, spingendo quella parte del mondo imprenditoriale che aveva costruito la propria identità sull’innovazione e l’inclusione a un cambio repentino di linea contro ambiente e diritti.

Proprio la BlackRock di Fink (uno dei più importanti fondi finanziari) abbandona l’alleanza di imprese che si sarebbe dovuta impegnare per l’azzeramento delle emissioni di gas serra. Una scelta preceduta da Goldman Sachs, JP Morgan, Morgan Stanley, Citigroup, e da diverse altre banche statunitensi. Contemporaneamente Mark Zuckerberg cambia le regole in Meta (società che include Facebook, Instagram e Whatsapp), decidendo di eliminare i controlli sulla veridicità delle notizie e i programmi impegnati su temi quali tutela della diversità, equità e inclusione.

Impressionanti anche le donazioni spropositate per la cerimonia d’insediamento di Trump da parte di aziende del calibro di Google, Microsoft e non solo, che avrebbero totalizzato fino a 170 milioni. Insomma, un riposizionamento repentino e diffuso. Si ha la sensazione che le imprese della new economy abbiano ritrovato una convergenza con quelle della old economy, tradizionalmente repubblicane, rimettendo al centro la nuda logica del profitto con un trasformistico dietrofront al limite dell’imbarazzante quanto a tempistiche.

Come se per un certo periodo avessero dovuto indossare la maschera dei diritti e della difesa dell’ambiente a fronte di una crescente consapevolezza che diseguaglianze e inquinamento fossero problemi reali, ma appena il quadro politico è mutato, si torna tutti alle vecchie credenze e consuetudini.

Non è la prima volta che accade questo riposizionamento dell’impresa per tutelare i propri espliciti e unici interessi, venendo meno qualsivoglia ambizione di ordine generale e sociale. Non è l’impresa che si deve occupare della società, a essa spetta solo il compito di fare profitti, diceva Milton Friedmann.

In questi decenni di destrutturazione della sfera pubblica, l’impresa, nell’illusione del capitalismo dal volto umano, aveva persino assunto il compito di fare donazioni, impegnarsi nel sociale, ricomporre fratture che lei stessa produceva. Peccato che senza nessuna regolazione, legge impositiva, a partire da un equo sistema fiscale, per non dire i rapporti di forza sociali e politici, le buone intenzioni restano arbitrariamente in capo unicamente a una buona volontà strumentale e interessata, quanto transitoria. Una lezione che dovremmo imparare una volta per tutte.

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