“IL QUORUM PER DARE DIRITTI A CHI NON LI HA FA PAURA ALLE DESTRE” da IL MANIFESTO e IL FATTO
«Il quorum per dare diritti a chi non li ha fa paura alle destre»
8 e 9 giugno Landini attacca il governo che boicotta i referendum. E i riformisti Pd sostengono solo due sì: cittadinanza e responsabilità d’impresa: la lotta per l’affluenza. Buona la propensione al voto tra i fuori sede.
Roberto Ciccarelli 07/05/2025
Sono due le risposte dei promotori dei 4 referendum sul lavoro e quello sulla cittadinanza dell’8 e 9 giugno al boicottaggio lanciato da Forza Italia e da Fratelli d’Italia a nome del governo Meloni. La prima è del segretario della Cgil Maurizio Landini: «Invitare a non andare a votare significa che va bene la precarietà che c’è e che va bene morire sul lavoro- ha detto ieri in un’iniziativa a Pescara – L’astensione è un grave errore politico e porta a un autoritarismo inaccettabile».
LA SECONDA RISPOSTA è arrivata da Emma Bonino di +Europa che sostengono le ragioni della cittadinanza a chi vive e lavora in Italia: «Il vicepremier Antonio Tajani che invita all’astensione definiva “urgente” una legge sulla cittadinanza – ha osservato Bonino – Il Parlamento ha proposto tantissime volte una riforma senza mai trovare il coraggio di farla davvero. Chi parla italiano, lavora e manda i figli a scuola perché dovrebbe essere trattato come straniero quando ha scelto il nostro paese? I referendum servono quando il parlamento non trova il coraggio».
LA BATTAGLIA è sul raggiungimento del quorum. Se ci fosse, allora sarebbe un segnale forte nella palude italiana. Ma sono in molti ad escludere tale possibilità e a speculare sul voto in più da prendere rispetto a quelli ricevuto dall’attuale maggioranza di destra o alla somma del campo semi-largo del «centro-sinistra» nel 2022. Landini sostiene invece che il «quorum è assolutamente raggiungibile» e che «il voto non è per un partito ma per dare diritti a chi non ce l’ha».
«C’È UN SONDAGGIO che dà in questo momento una propensione al voto poco al di sotto del 40% – ha detto Riccardo Magi di + Europa – È un dato straordinario. Se questo mese la campagna referendaria cresce davvero, potrebbero esserci delle sorprese, come con la raccolta di firme».
ALTRI DATI sono interessanti in questa lotta per aumentare l’affluenza. Li ha forniti ieri Natale Di Cola, il segretario della Cgil di Roma e del Lazio: «Le richieste per il voto dei fuori sede hanno superato di gran lunga quelle per le elezioni europee del 2024. Non è un confronto, ma è un punto di riferimento che ci incoraggia. C’è una voglia che fa paura solo ai partiti di governo».
LA STRADA DEI REFERENDUM è imboccata quando è palese la volontà dei governi, e del parlamento, di non risolvere i problemi, e rendere un inferno la vita delle persone. In sé questo tipo di voto polarizza le posizioni, affronta questioni specifiche e spesso non risolve tutti i problemi. Solo restando nel campo del sindacalismo confederale si conferma una spaccatura tra la Cgil e la Cisl. «Non è uno strumento adeguato – ha detto ieri la segretaria Cisl Daniela Fumarola – Bisogna confrontarsi». Sono noti gli esiti nulli dei «confronti» con i governi. La Uil di Pierpaolo Bombardieri, con qualche distinguo, invece voterà ai referendum.
«I PARTITI DELLA DESTRA boicottano i referendum sul lavoro e intanto i lavoratori continuano a morire. L’ultimo era un muratore di 24 anni caduto dal ponteggio in un cantiere» ha detto Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione Comunista. Secondo la Cgil, una delle cause di questa strage che non conosce fine sono i subappalti. Servirebbe un «Sì» al quesito sulla responsabilità legale alle aziende che indicono un appalto, e non solo a quelle che lavorano in subappalto, in caso di morte o infortunio sul lavoro. Altre tre vittime del lavoro ci sono state ieri. Per l’Inail, da gennaio a marzo 2025, ci sono stati 210 morti. Nel 2024 erano 191.
SOSPESI TRA IL QUORUM e un passaggio a vuoto anche nei partiti dell’opposizione ci si schiera. I Cinque Stelle di Conte voteranno 4 Sì sul lavoro e un «Boh» sulla cittadinanza. Avs voterà «Sì» a tutto. Poi c’è lo scontro: Ieri la «minoranza» del Pd, i cosiddetti «riformisti», ha allontanato il sempiterno dilemma della guerra intestina e ha annunciato due Sì al referendum: cittadinanza e responsabilità dell’impresa committente, e il non voto sul Jobs Act. In realtà è chiaro il braccio di ferro con la segretaria Elly Schlein che voterà «Sì» ai 5 quesiti. Ed è un segnale degli orfani a Matteo Renzi. L’ospite ingrato di coalizioni sghembe a venire sa che i referendum sono contro di lui. «Votano contro singole norme del Jobs Act, ma non dicono che l’articolo 18 non torna, ma la legge Monti. Voterò No. Il Pd vota Sì: è la prova che non è più quello di prima». Non è la notizia peggiore della giornata.
Referendum, i beni comuni contrastino la coalizione Ursula
Ugo Mattei 7 Maggio 2025
Pochi giorni fa ho constatato, volantinando in un parco torinese, quanto poche persone sappiano, a cinque settimane dal voto, della splendida opportunità che l’8 e 9 giugno si apre per infliggere una sconfitta alla maggioranza Ursula. I quattro referendum promossi dalla Cgil tentano una marcia indietro rispetto alla mercificazione del lavoro e alla precarietà della vita, restituendo la parola, 14 anni dopo, al popolo dei beni comuni, vittorioso nei referendum su servizi pubblici, acqua e nucleare, e leggi ad personam del 2011.
Riuscendo nella difficilissima impresa di raggiungere il quorum del 50%, si può riprendere quella trama, interrotta con brutalità quasi tre lustri orsono, che lega indissolubilmente lavoro, beni comuni e solidarietà intergenerazionale in una piattaforma “francescana”, proprio l’opposto del neoliberismo guerrafondaio di Ursula. Per questo tutti i movimenti devono impegnarsi. L’8 e 9 giugno può ribadire la volontà sovrana di invertire la rotta rispetto alla folle direzione in cui ci sprona gran parte dell’élite capitalista, indicando nella direzione di dignità, solidarietà e legalità costituzionale “la via maestra” che va ripresa senza ritardo. Infatti, appena un mese dopo il pronunciamento di 27 milioni di Italiani nei referendum di giugno 2011, il sistema reagì con brutalità. È di luglio la famigerata lettera di Trichet e Draghi che intimava a Berlusconi di ignorare la volontà popolare. Poche settimane dopo Napolitano, a quel punto tutore di B. per conto dei poteri forti, inizia un impressionante attivismo (in)costituzionale, agli ordini di Francoforte, godendo di piena copertura e santificazione mediatica. Prima firma il famigerato decreto di Ferragosto (pi annullato dalla sentenza 199/2012 della Corte costituzionale); poi conferisce, completamente al di fuori dei parametri costituzionali, a Monti il titolo di senatore a vita al fine di garantirlo come presidente del Consiglio. Sostenendo il suo governo tecnico con la stessa maggioranza che sarà di Draghi e di Ursula, il Parlamento in stato ipnotico, stupra la Costituzione, inserendovi quel pareggio di bilancio che rende impossibile ogni politica di solidarietà e governo democratico dell’economia. Napolitano, infine, con abile regia, e siamo già nel 2013, umilia il tentativo dal basso dell’elezione di Stefano Rodotà alla Presidenza della Repubblica, indicando la via (incostituzionale) della rielezione, poi seguita con diversa, ma non minore, ipocrisia (nel caso di Napolitano fu la manfrina del voto a Prodi, in quello di Mattarella il finto trasloco) dall’attuale inquilino del Quirinale.
Come nella Grecia del 2014, la restaurazione post-referendum 2011 ci ha dimostrato come il “draghismo” bipartisan, iniziato in Italia con le privatizzazioni degli anni Novanta del secolo scorso, di cui il Jobs Act renziano che dobbiamo abrogare il prossimo 9 giugno è il frutto avvelenato, non tolleri la democrazia. Nella sua attuale forma, il potere se non bara perde, perché sempre umilia le masse a favore delle élite. Di fronte a un quorum del 50%, che ormai si raggiunge a stento pure in elezioni politiche e amministrative, il silenzio dei media asserviti è il trucco più efficace. Da sola la Cgil non può farcela. Nel 2011 riuscimmo a creare quella che, si potrebbe definire “maggioranza Francesco”, proprio l’opposto della “maggioranza Ursula”. Parlammo al popolo, in modo semplice e chiaro di acqua come bene comune, proprio come oggi gli dobbiamo parlare di lavoro come bene comune. Chiunque sia informato capirà l’importanza di non fallire. Distribuendo i volantini anonimi generosamente messi a disposizione, possiamo politicamente far vincere Francesco su Ursula. È una sola trama quella dei beni comuni: la pace, l’ecologismo autentico, la solidarietà devono vincere sulla guerra, il greenwashing, l’ideologia competitiva. C’è solo un mese! Non parliamoci addosso. Mobilitiamoci verso chi ancora non sa.
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