COME CRESCONO I GIOVANI “ROSSI” ALLA SCUOLA DI MELENCHON da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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COME CRESCONO I GIOVANI “ROSSI” ALLA SCUOLA DI MELENCHON da IL FATTO

Come crescono i giovani “rossi” alla scuola di Mélenchon

OPPOSIZIONI CHE FUNZIONANO – Tra ostacoli, divisioni e incomprensioni la nuova generazione d’oltralpe degli “indomiti” nel primo anno di parlamento ha dimostrato che difendendo temi e posizioni progressiste non si perde terreno alle elezioni

MATHIEU DEJEAN  7 AGOSTO 2023

La nuova generazione di deputati di La France insoumise (Lfi) ricorda con un misto di amarezza e orgoglio il giorno in cui – era il 16 marzo – la premier Élisabeth Borne ha fatto approvare la riforma delle pensioni aggirando il voto dell’Assemblea (facendo ricorso all’articolo 49-3 della Costituzione) e loro si erano alzati in piedi cantando La Marsigliese, sotto gli occhi meravigliati dei colleghi della Nupes (la “Nuova unione popolare, ecologica e sociale” è il nome della coalizione della sinistra radicale di cui Lfi fa parte) e dei responsabili degli altri partiti politici. “L’inno nazionale ha il merito di essere lungo”, ironizza Florian Chauche, 39 anni, deputato Lfi. “Quando facciamo nostri i simboli della République, troppo spesso recuperati dall’estrema destra – aggiunge la collega Élise Leboucher, 40 anni – è il popolo stesso che li rivendica attraverso di noi”. Entrambi i deputati hanno battuto il candidato del Rassemblement National al secondo turno delle legislative del giugno 2022, nelle circoscrizioni rispettivamente di Belfort e della Sarthe. Prima di approdare a Parigi, non conoscevano i dirigenti di Lfi e, come decine di loro colleghi eletti lo stesso anno, erano novizi in politica.

Se lo scenario all’italiana – con una sinistra ormai residuale – è stato sventato, almeno temporaneamente, il rischio di una vittoria di Marine Le Pen nel 2027 è reale. Dopo il 22% realizzato da Jean-Luc Mélenchon alle ultime presidenziali e il successo alle legislative – il gruppo Lfi è passato da 17 a 75 seggi e in tutto la Nupes ne ha totalizzati 151 –, il partito si è rapidamente scontrato con la realtà: una legislatura inflessibile e un potere senza scrupoli. Sono svaniti i sogni di riparlamentarizzare la vita politica. “Pensavo che con un’opposizione forte, il governo avrebbe dovuto ascoltare di più le nostre proposte, ma la macronia non fa concessioni”, riassume Florian Chauche. In un anno, e undici ricorsi all’articolo 49-3 più tardi, gli indomiti di Mélenchon, oltre alle crisi interne, hanno subito la sconfitta sociale sulle pensioni, la “normalizzazione” dell’estrema destra e il tentativo di essere esclusi dall’“arco repubblicano” da parte di una maggioranza (relativa) che riprende le parole proprio dell’estrema destra (parlando per esempio di “Francia incendiaria”).

La nuova legislatura è politicamente feroce. Quel 16 marzo, impotente di fronte al 49-3, il gruppo Lfi si è mostrato unito (finendo anche sulla prima pagina del New York Times) dando di sé un’immagine positiva dopo mesi di divisioni interne. Se i rapporti tra la cerchia ristretta di Mélenchon e alcune figure storiche di Lfi (Clémentine Autain, François Ruffin, Alexis Corbière e Raquel Garrido) si sono raffreddati, la stampa si interessa sempre di più al ruolo dei deputati neo eletti ancora semi sconosciuti. A Mediapart alcuni di loro si sono detti preoccupati per le difficoltà a cui il movimento deve far fronte, restando legati all’unione delle sinistre e fedeli a Mélenchon. È stato soprattutto un episodio a scuotere il partito: lo scandalo che ha coinvolto Adrien Quatennens, il deputato del Nord che Mélenchon aveva scelto come erede politico, condannato a quattro mesi per violenze coniugali. La vicenda “ci ha destabilizzato tutti, soprattutto umanamente”, osserva Sébastien Rome. La deputata Pascale Martin, attivista femminista che ha disapprovato il tweet in cui Mélenchon “ignorava” la moglie di Quatennens, ha lasciato il gruppo. Il deputato Sylvain Carrière, 32 anni, che come altri giovani colleghi fa parte della “generazione Mélenchon”, conferma che il partito ha attraversato un momento difficile: “Avremmo dovuto gestire meglio la situazione, ma abbiamo avuto il merito di non nascondere il problema sotto il tappeto”. Sul caso Quatennens, così come nella battaglia per le pensioni, i giovani deputati ritengono che il gruppo abbia guadagnato in sovranità e esperienza nella gestione dei conflitti. Ricordano per esempio di aver potuto votare per decidere che sanzione applicare a Quatennens e se permettere il dibattito in Assemblea dell’articolo 7 della riforma delle pensioni, quello più contestato sui 64 anni.

Nel primo caso, Mélenchon non voleva che ci fosse il voto. Nel secondo, la posizione di Mélenchon – di ostacolare il dibattito dell’articolo 7 in Assemblea – ha vinto di poco (26 contrari, 25 a favore). Per diversi deputati è il segno che il legame tra l’ex deputato di Marsiglia e il gruppo Lfi si sta allentando. “Alla fine è il gruppo che decide”, spiega Maxime Laisney. I nuovi insiders di Lfi devono molto all’uomo che a volte chiamano “tonton” (“zio”): “Avrebbe potuto diventare presidente, è riuscito a dare alla sinistra una dinamica senza precedenti in Europa, nonostante la sua cultura del conflitto”, osserva il deputato Jean -François Coulomme, che alle legislative ha battuto Patrick Mignola, il numero due del MoDem, il partito centrista alleato di Macron. Se i giovani deputati ritengono che Mélenchon svolga ora soprattutto il ruolo di “filosofo politico”, piuttosto che di leader, considerano anche che, se le elezioni presidenziali si svolgessero domani, sarebbe ancora il miglior candidato. “Molti giovani si sono interessati alla politica grazie a lui, come dimostra l’età media del gruppo”, osserva Sylvain Carrière. Il deputato Andy Kerbrat, anche lui di 32 anni, queer e attivista lgbt, ex dipendente di un call center per una società di assicurazioni, condivide: “Mélenchon è stato un insegnante di politica appassionante e di facile accesso, molto avanti sulle questioni di genere. Le sue interviste, il suo blog, i suoi video, erano come dei corsi a distanza”.

Maxime Laisney riferisce di una recente discussione che ha avuto con un attivista comunista, che si diceva dispiaciuto che “Jean-Luc” non fosse più in Assemblea. Ma la nuova generazione di deputati Lfi, messa alle strette dal ritmo delle riforme e dalle crisi a catena, non ha avuto il tempo di emanciparsi. Hanno “fatto gruppo”, come voleva Mélenchon, ma si definiscono comunque “deputati-militanti”: “Poiché i macronisti non possono contraddirci sulla sostanza, lo fanno sulla forma dando di noi una doppia immagine, quella di ragazzini e di violenti”, osserva Sébastien Rome. Ma questi giovani deputati non hanno voglia di passare sempre e solo per “quelli che gridano”. Dalla morte di Nahel, il diciassettenne ucciso da un poliziotto a fine giugno, sono preoccupati per l’efficacia dell’offensiva reazionaria: “L’estrema destra incalza, e non solo nell’Assemblea nazionale. La sfida per noi è di non venire demonizzati, altrimenti rischiamo di portarci dietro la nomea per i prossimi 30 anni”, sottolinea il deputato Damien Maudet, 26 anni, che sta leggendo la biografia di Léon Blum, il leader del Fronte popolare.

II giovane ribelle,
vicino a François Ruffin, vorrebbe vedere la sinistra più unita: “Mentre il blocco liberale sta crollando, il discorso mediatico dominante tende a presentarci come complici delle violenze urbane… gli elettori avranno meno paura di votare per Le Pen che per noi”. Se la nuova generazione di indomiti fatica a imporsi, la sua visione strategica si afferma un po’ alla volta. Alcuni neo deputati provengono da quelle piccole città e paesi che Ruffin aveva definito i “buchi nella racchetta” di Lfi alle ultime elezioni. Per Damien Maudet, riuscire a radicarsi in certi territori è essenziale per bloccare la crescente influenza culturale del Rassemblement National: “Non possiamo aspettare il 2027 per combattere contro l’ascesa dell’estrema destra. Non possiamo più restare fermi ad una strategia giacobina”. È quello che sta tentando di fare Sylvain Carrière nel dipartimento dell’Hérault, dove ha vinto contro il candidato Rn al secondo turno delle legislative, facendosi vedere in ognuno dei quattordici comuni vicino a Montpellier dove Lfi era più debole: “Le persone, che avevano una pessima immagine di Lfi, stanno cambiando idea. Mi dicono di aver votato Rn per opporsi a Macron ma di essersi pentiti”, dice. Per Sébastien Rome “qualcosa si sta rinnovando all’interno di Lfi”: “I deputati prima provenivano essenzialmente da contesti urbani. Ora, molti di noi vengono da piccoli centri di provincia. La nostra parola saprà emergere e raggiungerà le classi popolari, nelle grandi e piccole città e nelle zone rurali”.

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