“BISOGNA UNIRE PARTITI, SINDACATI, ASSOCIAZIONI CONTRO le POLITICHE NEOLIBERALI” da IL MANIFESTO
Manon Aubry: «Bisogna unire partiti, sindacati, associazioni contro le politiche neoliberali»
INTERVISTA . Parla l’europarlamentare di France Insoumise
Paolo Vittoria 29/07/2022
L’esperienza della sinistra radicale in Francia ha aperto un dialogo con i giovani delle periferie, i lavoratori, i settori popolari. Manon Aubry, europarlamentare ed esponente di primo piano di Union Populaire, mostra come un’agenda su pensioni, salario minimo ed ecologia sia stata vincente in questo senso. Un esempio da seguire, ma in Italia la situazione sembra essere più complessa.
Alle ultime elezioni legislative, Union Populaire di Jean-Luc Mélenchon con oltre il 25% di voti, ha avuto ampio consenso tra i lavoratori e i giovani delle periferie sotto i 30 anni: proprio quelle fasce sociali con cui la sinistra in Italia fa più fatica.
Molti giovani vivono le incertezze del futuro e non riescono a mantenere gli studi. Spesso per ragioni familiari sono costretti ad abbandonare scuola o università. Non è una questione individuale, va affrontata a livello sociale anche mediante borse di studio a giovani in difficoltà: questa è una nostra proposta. D’altra parte, i giovani hanno molta più sensibilità sui cambiamenti climatici, la vivibilità delle città e trovano fiducia in una forza autenticamente ecologista. Molti partiti di centrosinistra dicono di essere a favore della transizione ecologica, ma fanno gli interessi del grande capitale che sta distruggendo il pianeta. Diritto allo studio, diritto della terra e diritto al lavoro si intersecano e sono la base della nostra politica. Lottiamo anche per rivendicare il salario minimo di 1400 euro, pensioni dignitose a 60 anni e portiamo avanti un programma politico-culturale di rottura facendo assemblee con i lavoratori, nelle periferie ed è in questo processo che abbiamo trovato unità popolare.
In Italia hai recentemente partecipato a iniziative di varie forze di sinistra: dall’Unione Popolare che sostiene de Magistris alla lista comune di Sinistra italiana ed Europa Verde. Che idea ti sei fatta?
L’obiettivo è simile: unire le persone attraverso un programma contro le politiche neoliberali. Per questo obiettivo bisogna mettere insieme partiti, movimenti sociali, sindacati, associazioni civiche, i popoli del sud del mondo. Il contesto è differente. Prima delle elezioni ci dicevano «farete la fine dell’Italia, tutti divisi…». Invece con le presidenziali abbiamo fatto vincere una linea di rottura in un accordo tra La France Insoumise, i socialisti (che stavano intorno al 1,7%) e i Verdi (sotto il 5%), invertendo i rapporti di potere nella sinistra. In Italia così come da noi, c’è un «centrosinistra» che va sempre più a destra: il Partito democratico è stato protagonista di tagli alla spesa pubblica, continue privatizzazioni, attacchi ai diritti dei lavoratori, tagli alle pensioni. Quindi la sinistra deve tornare alle proprie radici, di rivendicazione dei diritti sociali: le strategie possono essere diverse, ma gli obiettivi sono gli stessi e il metodo è connettersi con le persone, con la società dal basso.
Come costruire un’agenda comune, e internazionale, delle sinistre antiliberiste?
Partendo dalle realtà locali. Invitando sindacati, movimenti sociali, associazioni civiche, intellettuali, economisti, sociologi, a discutere insieme. Nella sfera della sinistra, ma non necessariamente attivisti politici. Bisogna entrare in dialogo, trarne ispirazioni per ragionamenti politici e grandi mobilitazioni, nel rispetto delle singole autonomie. Il capitale lavora a livello globale e usa strategicamente le crisi per imporre il consenso. Dovremmo offrire delle soluzioni a livello internazionale e di cambiamento delle relazioni di potere. Bisogna lavorare insieme per avere un impatto concreto, capendo che le ingiustizie sociali e i cambiamenti climatici sono indistinguibili: se lavori sulle diseguaglianze hai un impatto sul clima, e viceversa. La sinistra del ventunesimo secolo deve essere in grado di unire, aggregare, articolare esperienze positive a livello locale e globale e non limitarsi alla teoria. Costruire progetti a lungo termine è l’unico cammino possibile, altrimenti si scatena solo il rancore. E sappiamo bene quali sono le conseguenze.
Gli effetti negativi di allearsi con il partito di Letta
STRATEGIE ELETTORALI. Syriza, Podemos e France Insoumise non avrebbero mai raggiunto le loro dimensioni competitive senza una netta critica delle politiche pregresse di centrosinistra
Salvatore Cingari 29/07/2022
Con le elezioni ormai vicine, un nuovo soggetto non può non nascere da una critica senza sconti alla politica del Pd e del centrosinistra degli ultimi decenni. Nella seconda Repubblica le riforme che si sono abbattute sulle spalle dei più deboli sono state amaro frutto non solo del centrodestra ma anche del centrosinistra e il Pd è nato proprio per farla finita con una sinistra ancorata a insediamenti sociali e culture critiche con i processi globali del neocapitalismo.
L’attuale consenso elettorale delle destre neo-nazionaliste, in Europa e negli Usa, è anche un contraccolpo del cedimento dei soggetti di sinistra alle politiche neo-liberali, che hanno spinto le classi popolari, prive di un sistema di produzione aggregante e di direzione politica, nell’astensionismo oppure anche nelle braccia della destra, lasciando il centrosinistra ad egemonizzare i quartieri alti della società.
Alimentare ancora le politiche neoliberali del centrosinistra significa favorire il populismo di destra, anche perché l’allargarsi delle diseguaglianze e l’abbandono dei ceti meno abbienti ai problemi di sussistenza, oltre ad impedire il pieno godimento dei diritti politici e civili, incoraggia lo sviluppo di sentimenti diffusi di intolleranza, xenofobia ed egoismo, che si diffondono quando arretra la possibilità di coltivare i valori post-materiali: attraverso l’enfasi regressiva sull’appartenenza le destre possono così agitare la rivoluzione passiva e surrogatoria dell’identitarismo e del sovranismo. L’erosione dei diritti sociali determina una crisi di fatto anche di quelli civili e politici.
Di conseguenza ritengo che sia vantaggioso rischiare di perdere il bacino di voti garantito dal Pd, dato che qualsiasi sentore di relazione della sinistra con questo partito è annusato da quelle persone che non solo ne hanno patito le politiche antipopolari (per questo credo che Sinistra italiana e Articolo uno non siano mai decollati elettoralmente nonostante la bontà dei loro programmi), ma le hanno viste ammantarsi di retoriche e simbologie democratiche.
Questo è anche il caso del recente coinvolgimento nella guerra che ha messo in forse persino l’unico dovere del Leviatano hobbesiano verso i suoi sudditi e cioè la tutela della vita, seminando disagio economico fra lavoratori, disoccupati e pensionati e disperazione nelle piccole e medie imprese.
Svincolarsi da un falso arco costituzionale (falso perché il neoliberalismo non è costituzionale), evitando di circoscrivere il proprio consenso allo “zoccolo duro”, significa poter sperare di tornare a parlare a chi si astiene o addirittura ai diseredati che han votato per le destre pensando che esse fossero dalla loro parte.
Continuare invece a cercare un’immaginaria e depistante unità nell’antifascismo, che espunga l’originario carattere popolare di quest’ultimo, significa parlare soltanto ad un cerchio magico distaccato dalla realtà, convinto – a differenza della base sociale – che Mario Draghi sia un santo e un eroe e che la guerra presente sia in difesa della democrazia.
Significa perpetuare l’errore del ceto medio riflessivo anti-berlusconiano, che denunciava ignoranza ed edonismo anziché diseguaglianza e sfruttamento.
Syriza, Podemos e soprattutto la France Insoumise non avrebbero mai raggiunto le loro dimensioni competitive senza una netta critica delle politiche pregresse di centrosinistra, né – in contesti con tradizioni politiche differenti – Corbyn avrebbe conquistato la leadership del suo partito o Sanders legittimato negli Stati Uniti i valori del socialismo.
L’interlocuzione con il Pd può essere pensata solo a partire da una reale autonomia e accumulazione di forza politica e radicamento sociale di un soggetto di sinistra alternativo. Si rischia di facilitare la vittoria dei neo-nazionalisti? Ma sostenendo coalizioni liberal-progressiste, inevitabilmente costrette a politiche anti-popolari dagli interessi che le dominano, non si prepara altro che il futuro definitivo consolidarsi di una reazione sempre più autoritaria e conservatrice (Trump presuppone Clinton e Obama). Semmai il problema è un altro: esiste oggi una prassi sociale alternativa al mondo dei banchieri, della finanza e dell’impresa postfordista, che possa risultare esemplare e attrattiva? Da qui bisogna soprattutto ricominciare.
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