Lametia 2.XII | Osservatorio per il Sud. Lettera programmatica di Piero Bevilacqua
Care e cari,
alcuni amici che parteciperanno all’assemblea del 2 dicembre mi sollecitano di predisporre un canovaccio preparatorio del documento finale che dovrebbe sintetizzare il senso politico generale del nostro incontro. Io per la verità ci avevo già pensato e avevo chiesto all’amico Cersosimo di abbozzare a qualcosa del genere, da riempire poi con gli spunti e le idee che usciranno dal nostro dibattito. A questo punto però è forse utile che io qui esponga in breve lo schema possibile dei nostri lavori e al tempo stesso le linee generali in cui dovrebbe muoversi la mia relazione. Questo serve anche a togliere qualche involontaria solennità alla mia introduzione. Io non ho in tasca “ la linea”, sono solo un istigatore politico e un temporaneo coordinatore di un progetto che deve avere la sua forza nel lavoro collettivo. Con queste note, inoltre, potrei fare una comunicazione più breve e anche risparmiare inutili sovrapposizioni
1) È ovvio che tanto la mia riflessione, quanto una parte dei primi interventi dovrebbe avere una dimensione storico-analitica. Che cosa è accaduto all’Italia meridionale negli ultimi 20 anni? È evidente, il nostro Sud, tradizionalmente più fragile sotto il profilo delle strutture produttive, ha subìto dei colpi rilevanti per intensità e durata a causa di alcuni fenomeni ormai bel visibili.
a) Il mutamento della funzione dello stato, che ha sempre meno svolto il suo ruolo di redistributore della ricchezza, ha diminuito gli investimenti pubblici in conto capitale, ha ridotto il welfare. Tale mutamento, frutto della potente spinta del capitalismo a livello mondiale, ispirata dal corredo ideologico e culturale del neoliberismo, ha non solo acuito la diseguaglianza tra le classi e gli individui, ma anche tra i territori. In Italia come nel resto del mondo.
b) La grande crisi esplosa nel 2008 ha accelerato un processo di deindustrializzazione, da tempo in atto, che ha colpito molti poli e distretti industriali del Sud, spesso legati a settori del Centro Nord. Così una base produttiva fragile e ristretta si è drammaticamente ridimensionata, generando una disoccupazione di massa, ecc. Fenomeni ben noti.
c) La politica europea di austerità, quale risposta di politica economica legata alla crisi, ha fortemente ridotto le capacità di spesa e di assistenza dei comuni, contribuendo alla diffusione della povertà, relativa ed assoluta, alla disoccupazione soprattutto giovanile, alla dispersione scolastica, alla crescita senza precedenti dei cosiddetti Neet.
Tale quadro sommario può essere arricchito, a mio avviso, dagli interventi di alcuni amici di cui conosco gli studi e gli interessi scientifici. Una delle ragioni della nostra critica di meridionali al potere pubblico è che lo Stato non investe nello stesso modo nei servizi collettivi al Nord e al Sud, che la diseguaglianza tra i territori non è solo frutto della spontanea dinamica del capitalismo, ma anche risultato di scelte della nostra politica governativa. Cersosimo ha analizzato questi aspetti e potrebbe dirci qualcosa in proposito. Naturalmente non è una mia imposizione, può esporre i temi che gli stanno più a cuore. Gianfranco Viesti, che ai suoi studi economici sull’Italia meridionale ha aggiunto ultimamente una vasta ricerca sull’Università italiana potrebbe, se vuole, illuminare questo aspetto di intervento pubblico che penalizza ulteriormente i territori più deboli. Tonino Perna, se crede può intervenire sulla crisi dei poli industriali, anche se forse può utilizzare il tempo del suo intervento per indicare le esperienze positive che si stanno realizzando nella Calabria meridionale e altrove. Ma sul piano economico credo che anche Amedeo di Maio voglia dire qualcosa di specifico.
2) I processi economici a cui ho fatto cenno hanno prodotto uno sbriciolamento delle classi dirigenti meridionali, che si è riflesso gravemente a livello di ceto politico, di rappresentanza parlamentare, ecc. Una élite dirigente tradizionalmente poco autonoma dal punto di vista economico, ma legata allo stato e alla spesa pubblica, ha visto sparire in pochi anni le fonti delle proprie risorse, le ragioni storiche delle proprie funzioni. Un mutamento che ha investito in pieno i vecchi partiti, un tempo impegnati a svolgere una funzione di mediazione e di redistribuzione tra potere centrale e periferia, tra stato e cittadini.
Tale nuovo scenario dà vita a fenomeni culturali, politici, criminali su cui occorrerebbe dire qualcosa di specifico. Penso non solo a contributi sulla dimensione della criminalità organizzata (su cui ci dirà qualcosa Vittorio Mete, penso anche a Enzo Ciconte, che spero qualcuno informi della nostra iniziativa) ma anche al fenomeno inquietante della sempre più limitata libertà di voto, soprattutto nelle elezioni amministrative. La mancanza di lavoro, la disperazione sociale (e anche politica) spinge un numero crescente di cittadini a subordinare le proprie scelte a promesse di impiego, favori, regalie di un ceto politico sempre più debole di mezzi, sempre più subalterno al potere economico-finanziario e perciò sempre più arrogante, intrusivo e privo di visione.
3) In questa pars destruens della nostra discussione occorrerebbe dedicare un po’ di spazio ai problemi ambientali del nostro Sud, troppo, drammaticamente ignorati non solo dal nostro ceto politico, ma anche dai media, dall’opinione pubblica nazionale e locale. Abbiamo un territorio devastato da processi selvaggi di inquinamento e edificazione che hanno distrutto per sempre spazi e paesaggi di grande bellezza. Un territorio che avrebbe bisogno di cure e protezione ed è invece aggredito da un potere economico senza scrupoli e perciò crolla al minimo stormir di vento. La Calabria vanta un terribile primato in materia. Sul tema potrebbero intervenire Massimo Veltri, e altri amici portatori di esperienze di comitati e movimenti.
Qualche proposta
Il nostro incontro non avrebbe alcun senso se volessimo limitarci a una sequela di denunce e di critiche. È evidente che abbiamo l’ambizione di proporre qualcosa per l’avvenire delle regioni meridionali e di tutto il Paese. Cosa, tuttavia, non solo difficile, ma soprattutto non esauribile in una giornata di discussione. Dovremmo però tentare di gettare alcuni semi in grado di fruttificare con un lavoro di lunga lena, tanto più che non abbiamo urgenze di carattere elettorale e siamo proiettati in una dimensione di puro volontariato.
Tutti abbiamo contezza che la grande malata del nostro tempo è la politica e soprattutto i partiti.
Io continuo a considerare questi ultimi una grande conquista popolare della modernità. Sono stati i partiti, nella seconda metà del ‘900, a portare nello Stato i bisogni e gli interessi delle classi popolari, togliendo al potere centrale il suo carattere di “comitato d’affari della borgesia” (Marx),trasformandolo in redistributore di ricchezza, generatore e protettore di nuovi diritti individuali, fattore di emencipazione collettiva. Lo svuotamento dei partiti popolari ha fortemente indebolito tale funzione e con essa le ragioni di fondo dell’agire politico moderno.
Ma quella dei partiti non è l’unica dimensione e ragione della politica. Ognuno di noi può avere il legame e l’opinione che crede nei confronti dei partiti italiani,che certamente continuano a svolgere – nonostante tutto – un ruolo potenzialmente rilevante a livello legislativo ed esecutivo. Questo aspetto non deve dividerci. Ma dobbiamo percorrere , io credo, una strada relativamente autonoma di nuova politica, svolgere il ruolo esaltante di ridare a questa forma speciale dell’agire umano una visione prospettica più ampia e universale e al tempo stesso la capacità quotidiana d’indirizzo e di trasformazione della realtà che essa ha perduto.
Dopo aver rivendicato con forza un mutamento decisivo nel comportamento dello Stato, chiamato a svolgere un ruolo protagonista sul terreno delle infrastrutture, della tutela del paesaggio e dei beni culturali, della bonifica territoriale (la Terra dei fuochi è una ferita intollerabile inferta alla nostra gente più debole), della formazione e della ricerca scientifica, della salute dei cittadini, l’assemblea e soprattutto l’istituendo Osservatorio dovrebbero insistere su due terreni di lavoro.
a) Un terreno ideativo di arricchimento culturale. I partiti si sono svuotati della loro funzione di produttori di cultura, eppure anche nel nostro Sud, pullula una straordinaria creatività culturale, artistica, musicale, scientifica. Abbiamo Università animate da studiosi di grande valore, che danno ricchezza e senso ai territori, giovani di talento (costretti spesso ad emigrare): ma questo patrimonio disperso non riesce a fare massa critica e soprattutto a trasformarsi in fonte di ispirazione di una nuova visione civile dei meridionali, a imprimere nuovi valori, senso, direzione all’agire politico.
b) L’altro terreno è quello della pratica politica, quella che i vecchi partiti popolari hanno in gran parte dismesso. Occorre riflettere su un fatto importante dell’agire politico: la nostra lotta ha per fine una società più egualitaria, più solidale, più libera, accogliente e inclusiva. Ha per fine la valorizzazione egalitaria del lavoro delle donne, un rapporto non solo di rispetto ma di riconoscenza nei loro confronti. Ha per scopo la difesa della natura e del mondo vivente, la nostra casa comune. Ebbene tali fini li possiamo perseguire noi stessi, sia pure in dimensioni limitate, con la nostra azione concordata, sul campo, fornendo al nostro agire politico un po’ più di impegno volontario, andando nei quartieri, nelle periferie, in quelli che chiamiamo territori, ascoltando le esigenze di chi ci vive, mettendo a disposizione le nostre conoscenze e reti di relazioni. In tale pratica noi possiamo unificare spesso il mezzo con il fine. Possiamo costruire frammenti di società solidale, di cooperazione, di emancipazione, rendendo già vivo e localmente operante un “nuovo mondo possibile”. Cominciamo a cambiare noi la società, e la nostra stessa soggettività, senza aspettare che siano le leggi a imporci nuove regole. La consapevolezza che anche la nostra azione individuale è parte di un movimento collettivo, dà slancio motivazione ai singoli, voglia di impegnarsi.
Nel nostro incontro io credo che potremmo ospitare soprattutto le voci di chi è impegnato in processi significativi di trasformazione, di riforma, di militanza. Ad es. Angela Barbanente, che è stata vice presidente della Regione Puglia, e che ha realizzato un imponente opera di “rigenerazione urbana” nella sua regione, potrebbe informarci sulla sua esperienza. Potremmo soffermarci sui nuovi valori comunitari da riscoprire nei paesi e nelle nostre aree interne (Franco Arminio, Maria Adele Teti, Vito Teti), su come valorizzare e difendere i nostri paesaggi (Franco Blandi, Saverio Russo) Qualche imprenditrice potrebbe venire a raccontarci la propria storia. Penso a una figura come quella di Sandra Pascali, impegnata in Calabria nel campo dell’agricoltura biologica. Franco Santopolo potrebbe darci una mano a coinvolgere figure impegnate nell’agricoltura alternativa.
Sarebbe interessante che qualcuno ci raccontasse esperienze sul microcredito e sul fenomeno del Sardex, una forma di cooperazione che salta l’intermediazione bancaria e che sostiene con successo un gran numero di imprese. Forse Perna potrebbe intervenire su questo punto. Per le caratteristiche che potrebbe avere l’Osservatorio Battista Sangineto potrebbe offrirci alcuni spunti così come Domenico Fruncillo, un docente dell’Università di Salerno che si è detto interessato a questa istituzione.
Ma penso anche ai tanti movimenti in atto in vari punti dei nostri territori, che da tempo lavorano per combattere la dispersione scolastica dei nostri ragazzi, insegnano l’Italiano ai migranti, danno vita a teatri popolari, lavorano nelle Università della terza età, diffondono culture della legalità, operano nei Gas, creano e suonano musica in quartieri degradati delle nostre città. A tale fine sarebbe per noi molto utile la presenza di qualche sindaco che ci raccontasse non solo i problemi della sua amministrazione, ma anche le iniziative intraprese, le buone pratiche, la cura avviata nel proprio territorio. Non dobbiamo peraltro dimenticare che oggi cultura, musica, cinema, teatro, arte, turismo, gastronomia si configurano come un fronte di nuova economia capace di incrementare l’occupazione.
Riscopriamo, dunque, insieme la gioia di fare politica non per la nostra carriera , ma per il bene comune, rimettiamo in campo l’orgoglio di essere protagonisti e parte di un processo più ampio e generale che vuol cambiare il mondo.
Ecco, io credo che il 2 dicembre noi dovremmo offrire all’opinione pubblica italiana questa immagine di un altro Sud e nello stesso tempo fondare le premesse per renderlo sempre più ampio, attivo, fiducioso delle proprie possibilità.
Piero Bevilacqua
[nell’immagine di apertura: Giovanni Battista Lusieri, Panorama di Palermo e della Conca d’Oro da Monreale]
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