Quale lavoro per quale produzione di beni e servizi? Nebbia risponde a Perna
11 luglio 2017
Seguo con attenzione i lavori e lo scambio di vedute dei membri della “officina dei saperi”. Trovo interessante l’invito a cercare alcune risposte ai cinque temi proposti da Tonino Perna [cfr. sotto], in vista di un possibile programma politico di un centrosinistra. Mi permetto di intervenire sull’unico tema in cui presumo di poter esprimere un’opinione:
(2) Disoccupazione di massa e precarietà crescente
La disoccupazione è la mancanza di lavoro, cioè la mancanza di un salario dato da qualcuno in cambio di qualcosa. Il lavoro “serve” a fare delle cose, principalmente, merci e servizi utili a qualcuno che, a sua volta, è disposto a procurarseli in cambio di denaro. Come è ovvio le merci e i servizi non sono neutrali.
È “lavoro” quello che consente di produrre un paio di scarpe o una mina anti-uomo.
È “lavoro” quello svolto da una badante che pulisce il sedere a un anziano e quello svolto dietro il banco di un centro scommesse.
Non solo: il “lavoro” necessario per fabbricare una merce o per svolgere un servizio comporta, direttamente o indirettamente, l’uso di materiali e la formazione di residui, cioè impoverimento del patrimonio di ”beni comuni” ambientali (acqua, rocce, piante, animali, eccetera), e il peggioramento della qualità di beni comuni ambientali (acqua dei fiumi, aria, suolo, eccetera).
Chi volesse operare pro bono publico dovrebbe, a mio modesto parere, chiedersi che cosa “serve” ai cittadini (quante scarpe, quanti anziani da aiutare) e con quali persone e forme di lavoro è possibile soddisfarli.
Dovrebbe aiutare con qualche soldo pubblico chi lavora per fare cose utili e dovrebbe scoraggiare le forme di lavoro che generano merci e servizi non utili o nocivi sia per la comunità, sia per l’ambiente. Dove e come prendere i soldi per tali incentivi o per acquistare merci e servizi (lo “stato” compra scarpe per i soldati e servizi come l’anagrafe e quello dei professori universitari, e tanta altre cose) è compito dell’economia politica. Come giudicare l’utilità di una merce o di un servizio è compito della sociologia e scienze affini.
La merceologia può al più suggerire quanti chili di pelle e di gomma occorrono per fare un paio di scarpe e quanti rifiuti si generano, quanti grammi di carta igienica e quanta acqua occorrono per aiutare un anziano, e cose simili.
Per concludere: un partito che volesse proporsi al governo di un paese e volesse sconfiggere la “disoccupazione di massa e la precarietà crescente” farebbe bene a chiedersi di quali merci e servizi i cittadini hanno bisogno per riconoscere quali forme di lavoro sono più adatte per soddisfare tali bisogni, possibilmente con il minore “costo” ambientale.
Cordiali saluti,
Giorgio Nebbia
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lunedì 10 luglio 2017
Sono d’accordo per la lista unitaria a sinistra [in riferimento agli articoli di Enzo Scandurra e Piero Bevilacqua circolati e discussi nell’Officina e poi pubblicati su “il manifesto”, risp. 11 e 12 luglio 2017]. Ma, al di là della sfera della rappresentanza vorrei sapere cosa proponiamo per risolvere:
a) questione flussi migratori;
b) disoccupazione di massa e precarietà crescente;
c) misure alternative di risposta ad un debito pubblico crescente e devastante;
d) alienazione di massa via iperconnessione virtuale e perdita di solidarietà/socialità reale;
e) ludopatia e altre droghe (cominciando per esempio a legalizzare la marjuana).
Proviamo a fare un test fra i membri dell’Officina su queste cinque questioni e vediamo se almeno tra di noi si trova un minimo comun denominatore.
Tonino Perna
p.s. La Sinistra è un concetto astratto se non diventa un punto di riferimento per dare risposte concrete a ciò che angoscia le persone nel nostro tempo.
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