“UN’EMERGENZA MA NON TROPPO. COSÌ POLITICA E MEDIA NEL BELPAESE GIUDICANO LA CRISI CLIMATICA da IL FATTO
“Un’emergenza ma non troppo. Così politica e media nel Belpaese considerano la crisi climatica”
Intervista a Riccardo Ladini, autore con Cecilia Biancalana del libro “Emergenza lenta. La questione climatica in Italia tra politica, media e società”. “Anche le scienze sociali se ne occupano poco, come se fosse una questione solo scientifica”.
Elisabetta Ambrosi | 10 Settembre 2024
La crisi climatica? In Italia è ancora considerata dalla politica, dai media e dall’opinione pubblica “come un’emergenza ma non troppo”. La questione è fortemente sotto-rappresentata, marginalizzata da crisi solo in apparenza più gravi, dalla questione energetica alla pandemia. In più, anche le scienze sociali se ne occupano poco, considerandola una questione unicamente scientifica. Sono le tesi di un libro – dal titolo, appunto, “Emergenza lenta. La questione climatica in Italia tra politica, media e società”, appena uscito per Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, scritto da Cecilia Biancalana e Riccardo Ladini, rispettivamente ricercatrice in Scienza politica all’Università di Torino e ricercatore in Sociologia dei fenomeni politici presso l’università di Milano. Un saggio che analizza l’anomalia del nostro paese, caratterizzato, “dall’inattivismo climatico, ovvero dalla strategia di minimizzare o spostare la responsabilità del cambiamento climatico su altri come Cina o India, enfatizzare i costi della transizione energetica o dichiarare che ‘ormai è troppo tardi’”.
La percezione dell’emergenza climatica è ancora flebile nel nostro paese. Perché? Accade lo stesso altrove?
In quasi tutti i paesi – risponde Ladini – esiste una differenza tra gli atteggiamenti generali rispetto al cambiamento climatico – al fatto cioè che si crede che esista e che sia preoccupante – e il supporto alle politiche di mitigazione. Insomma, il consenso si traduce poco in azione, una tendenza molto diffusa e studiata in letteratura. Su questo fronte l’Italia è allineata, quando in poche parole si chiede all’individuo di pagare per la transizione l’appoggio tende a diminuire. Però è chiaro che il ruolo delle élite e delle istituzioni in questo senso è cruciale: se sanno da un lato comunicare l’efficacia di determinate politiche, mentre dall’altra introducono misure di compensazione è più facile ottenere l’assenso dei cittadini. E su questo purtroppo la politica italiana è indietro.
Ci sono partiti, come la Lega, praticamente negazionisti.
Rispetto al negazionismo, in realtà nei Paesi anglosassoni e negli Stati Uniti c’è un livello di polarizzazione molto maggiore ed esiste anche un negazionismo più spiccato. Da noi invece chi non crede nelle cause antropiche del cambiamento climatico o pensa che sia un processo naturale, resta di fatto una minoranza. Però questo vale per il negazionismo in senso stretto, poi magari si pensa che non servano politiche per contrastare la crisi climatica o si parla di “transizione ideologica”. C’è, insomma, una sorta di contraddizione in termini, non si nega ma non si fa nulla. Una contraddizione che viene evidenziata anche dall’analisi dei programma politici che abbiamo fatto.
Che cosa emerge?
Noi abbiamo analizzato i programmi elettorali dal 2008 al 2022 e non abbiamo trovato riferimenti espliciti al negazionismo. Tuttavia, il tema ambientale resta poco presente, anche tra i partiti di sinistra, con la eccezione del Movimento 5Stelle che tuttavia, rispetto alla fase iniziale in cui era caratterizzato da una forte impronta ecologica, è molto cambiato. L’assenza dell’ambiente, ad esempio, si vede dal fatto che nei programmi ci sono pochissimi riferimenti a politiche ambientali, il che indica non un negazionismo, ma una scarsa disponibilità delle diverse forze politiche a voler affrontare in maniera efficace la questione climatica.
In altri Paesi tutti i partiti, anche quelli di destra, ha ormai capito che la crisi climatica distruggerò l’economia e che occorre intervenire.
Osservando la campagna elettorale delle recenti elezioni europee la questione climatica mi sembra entrata maggiormente nel dibattito italiano, ma al tempo stesso abbiamo notato che si sta estremizzando, ovvero c’è una crescente politicizzazione, il che è al tempo stesso positivo e negativo (su questo tema verte l’ultimo numero della rivista Italian Political Science). Quando due schieramenti si polarizzano su un tema saliente, è evidente che è molto difficile trovare un compromesso per l’introduzione di politiche che possano andare in direzione della mitigazione. Tuttavia, è vero che in un contesto polarizzato chi è a favore di politiche climatiche sarà molto più motivato a introdurle. E sappiamo che quando si introducono non si torna indietro.
L’altro problema è senz’altro il fatto che i media in Italia parlano ancora poco e male del tema. Quanta responsabilità hanno?
Io penso che ci sia una compartecipazione di responsabilità tra partiti e media. I media seguono un po’ le principali posizioni dei partiti, anche se potrebbero indipendentemente portare il tema al centro, renderlo cruciale. Insomma, è un circolo vizioso. Di sicuro, se pensiamo al contesto italiano, facciamo fatica a pensare a delle proposte sulle questione climatica che siano state avanzate e discusse concretamente, anche sui media. In questo quadro, infine, c’è un’ulteriore mancanza.
Quale?
La scarsità di studi sulla percezione del cambiamento climatico nell’opinione pubblica italiana, sulla sua rappresentazione nei media e nella sfera politica. Sono convinto che le scienze politiche e sociali dovrebbero acquisire una maggiore centralità e presidiare gli studi sul cambiamento climatico. Comprendere le credenze, le opinioni e i comportamenti delle persone rispetto al cambiamento climatico, così come comprendere come i media lo rappresentano, è fondamentale per sviluppare strategie di comunicazione efficaci nel profondo coinvolgimento dei cittadini, nonché per contrastare la disinformazione.
Sul clima scienza e religione convergono. Purtroppo però la politica non ascolta
Ferdinando Boero* 12 Settembre 2024
Papa Francesco, nel viaggio che attraversa due continenti, ribadisce le sue Encicliche Laudato Si’ e Fratelli Tutti, e parla di fratellanza riferendosi alle guerre e ai profughi, e di rispetto per l’ambiente, che va salvaguardato. Giovanni Paolo II, in occasione del Giubileo del Mondo Agricolo, disse: “Da Dio la terra è stata affidata all’uomo ‘perché la coltivasse e la custodisse’. Quando si dimentica questo principio, facendosi tiranni e non custodi della natura, questa prima o poi si ribellerà”.
Benedetto XVI istituì, il primo settembre, la Giornata Mondiale di Preghiera per il Creato e unì la custodia del creato con la possibilità di ottenere la pace: “se vuoi coltivare la pace, coltiva il creato”.
Gran parte dei partiti politici italiani, soprattutto di destra, non condivide queste posizioni, ma anche la “sinistra” non le considera priorità stringenti. Ursula Von Der Leyen ha lanciato il Green Deal, ma ora propone la corsa agli armamenti e diventa più morbida con il Green Deal.
Le posizioni dei tre Papi sono da molti ritenute “ideologiche”, e poco importa che, per la questione ambientale, sia il mondo scientifico a supportare, con i dati, le esortazioni papali. Scienza e religione convergono nell’affrontare argomenti “spinosi” e chiedono un ripensamento del modo in cui gestiamo i rapporti tra noi e con la natura. Francesco parla di terza guerra mondiale “a pezzi”, unendo i puntini che mostrano un pianeta in cui i popoli sono perennemente in guerra tra loro, e anche il cambiamento climatico è “globale”: non si salva nessuno.
Chi non è in guerra direttamente vende armi a chi fa la guerra, e i paesi che non inquinano comprano beni prodotti dai paesi che inquinano. Le proposte papali vanno contro gli interessi di chi produce armi e di chi guadagna “facendosi tiranno” della natura.
I segnali che i comportamenti correnti siano contro gli interessi della nostra specie sono sempre più forti: la natura si ribella a quel che le stiamo facendo e il futuro evocato da Giovanni Paolo II è diventato presente, ma i decisori faticano a prenderne atto, anzi… recedono dal perseguire la sostenibilità e impegnano risorse per costruire armi sempre più potenti, con tecnologie che, se progettate non per uccidere ma per riparare la natura, potrebbero risolvere molti problemi.
Mi sento ridicolo nei miei tentativi, anche in questo blog, di convincere chi non è convinto: non convincono le parole di tre Papi, come posso pensare di riuscirci io? I commenti ai miei interventi mostrano una netta divisione di opinioni. Chi è d’accordo con i Papi si scontra con chi mi contesta con argomenti a cui cerco di controbattere, anche se ho quasi rinunciato a farlo perché il muro di gomma del negazionismo non offre alcun varco ai fatti scientifici e ai ragionamenti.
Poi ci sono i tecnottimisti: potremo continuare a crescere e a saccheggiare la natura grazie a nuove tecnologie. Concordo che la transizione ecologica sarà possibile solo grazie a nuove tecnologie, ma la loro efficacia si misurerà con lo stato dell’ambiente, cioè della biodiversità e degli ecosistemi, recentemente introdotti nella Costituzione (articolo 9); ma anche la Costituzione, come le Encicliche, non riesce ad ispirare chi elabora proposte politiche.
Il Pnrr avrebbe dovuto essere dedicato in gran parte alla transizione ecologica, ma questo non sta avvenendo e chi chiede che si tenga fede agli obiettivi primari del Piano viene accusato di ideologismo. Chi chiede il rispetto degli impegni di sostenibilità presi in innumerevoli Conferenze delle Parti è un ecoterrorista: si prefigurano nuovi reati per chi protesta, mentre i dirigenti che gestiscono aziende senza rispettare l’ambiente e la salute umana godono di scudi penali.
Ogni volta termino i miei pistolotti dicendo che poco importa quel che pensiamo o facciamo: tra noi e la natura sarà sempre la natura a vincere. Ogni ferita che le infliggiamo ci rende più deboli e la rende più forte, favorendo l’evoluzione di nuove soluzioni, con l’avvento di specie più resistenti di noi. Magari saranno batteri e virus, per un po’, come le mucillagini che ora dominano il nord Adriatico, ma poi altri animali e altre piante si adatteranno alle nuove condizioni e la natura continuerà il suo corso. Le cinque estinzioni di massa sono state il trampolino per nuove specie, con nuove soluzioni. Innescando la sesta creiamo i presupposti per la nostra rottamazione e il passaggio a nuovi “modelli” ecologici ed evolutivi.
Gli umani hanno contezza della propria finitezza: sappiamo di dover morire come individui. Ma viviamo dimenticandolo, altrimenti saremmo la specie più depressa del creato. Questo ha permesso la coesistenza tra intelletto e progresso: che senso avrebbe “fare cose” sapendo che scompariremo? Questa difesa psicologica ci è stata favorevole ma, ora, non ci permette di capire che non sono gli individui ma la specie ad essere in pericolo a causa delle “cose che fa”.
Incuranti del ridicolo, continueremo a ribadirlo, anche se la speranza di convincere chi non è convinto è pura illusione. Una flebile speranza consiste nel cercare di “ispirare” proposte politiche che mettano ambiente e pace tra le priorità stringenti. Forse alcuni di quelli che non votano potrebbero tornare a votare, riconoscendosi in valori oggi non perseguiti.
*Zoologo, Federico II Napoli, Cnr e Szad
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