PAC BOCCIATA e AGRICOLTURA BIODINAMICA da IL MANIFESTO
Gli improvvisati esperti di agricoltura biodinamica
Agricoltura. A chi attacca Carlo Petrini, ricordo che l’agricoltura è una pratica produttiva, non un ramo della scienza. Se la biodinamica ha successo conta o no?
Al fine di evitare ulteriori strali premetto subito che io non credo nell’efficacia dei preparati biodinamci. L’ho già dichiarato su questo giornale (La scienza vecchia della senatrice Cattaneo, 2/6). Le formulazioni esoteriche di quella pratica agricola autorizzano infatti anche il passante a lanciarle contro qualche insulto. E difatti, dopo la chiamata eroica e solitaria della senatrice Cattaneo in difesa della Scienza, si è scatenata la caccia all’untore.
Mai si erano visti in Italia tanti improvvisati cultori di scienze agrarie mettere in testa l’elmetto e gettarsi nella mischia. Roberto Fedez su La Stampa(16/6) Enrico Bucci su Il foglio (17/6), Paolo Landoni su Huffigton Post (20/6), perfino (ci credereste?) Paolo Mieli sul Corriere della Sera (21/6) Tutti in difesa della dignità della scienza. Ma non fa parte di un atteggiamento scientifico, come ricordava nel suo Tractatus Wittigenstein, “parlare di ciò che si sa”? E che sanno tutti costoro di agricoltura biodinamica, più in generale di agricoltura e della sua storia? Quali sono i loro scritti in materia, la loro bibliografia?
Allora cominciamo a diradare un po’ di nebbia. In che cosa consistono questi diabolici preparati che attentano alla Scienza? Nella pratica si riducono a pochi rituali. Il corno letame comporta il dissotterramento del corno di vacca e la diluizione del letame in acqua che poi viene spruzzata in dosi omeopatiche sul terreno. Tutto qui. Ammettiamo pure che non funzionino. Che succede al terreno? Niente. Ma l’altra pratica biodinamica di cui nessuno parla è lo spargimento annuale del compost sul suolo.
Il cosiddetto compost da cumulo, cioè la decomposizione controllata degli scarti e rifiuti in cui i biodinamici immettono i cosiddetti inoculi, vale a dire piccole quantità di ortica, camomilla, ecc., e che fornisce agli agricoltori il materiale organico con cui rinnovano continuamente la fertilità della terra. E’ questo il vero centro e il segreto del successo dell’agricoltura biodinamica. La cura quasi maniacale del compost. E’ questo il principio base di una economia circolare di cui tutti si riempiono la bocca, ma non sanno riconoscere per ignoranza quando se la trovano davanti.
Il compost è una pratica millenaria di riciclo dei rifiuti organici (l’ho ricordato anche su Micromega citando addirittura Omero), su cui si è retta l’agricoltura sino alla nascita dei concimi chimici. Le nostre città non avevavo problemi di smaltimento, ma riciclavano i rifiuti nei terreni agricoli (E.Sori, La città e i rifiuti. Ecologia urbana dal Medioevo al primo Novecento, il Mulino Bologna 2001). Ne ho scritto anch’io ne Il cibo e la terra, Donzelli 2018 e almeno Mieli avrebbe dovuto averne sentore visto chi Il Corriere della Sera lo ha ripubblicato nel 2020.
L’agricoltura biodinamica non si rifà direttamente alle lezioni di Steiner del 1924. Dopo il fondatore ci sono stati altri studi e ricerche, soprattutto il lavoro non di un antroposofo, ma di un grande agronomo, Eherenfried Pfeiffer, che per oltre 30 anni ha lavorato in laboratorio e sul campo, in Germania, Svizzera, Olanda, Gran Bretagna e Usa, dove alla fine si è naturalizzato. Le sue ricerche si sono concentrate sullo studio dell’humus, della fertilità del suolo, la sua opera maggiore La fertilità della terra (1938), tradotta in molte lingue è nota in tutto il mondo e continua ad essere rieditata. L’ultima edizione che conosco è del 2009. Il principio di questa agronomia è, testuale, che “il terreno agricolo è un essere vivente”. Mi dimostrino gli scienziati che tale affermazione risalente a oltre 60 anni fa, non abbia oggi una base scientifica.
Falsifichino, come direbbe Popper, il principio di tutta l’agronomia biodinamica, secondo cui “la salute delle piante dipende dalla salute del terreno, dalla sua fertilità”.
A chi sostiene come Bucci, ma anche la Cattaneo, che non esistano prove del valore dell’agricoltura biodinamica rammento la ricerca pubblicata su Science il 31 maggio 2002, che comparava 21 anni di raccolti di aziende biodinamiche, biologiche e convenzionali mostrando un meno 20% di prodotto delle prime, ma meno tra 33% e 53% di consumo di energia e fertilizzanti e meno 97% nell’uso di pesticidi.
Ma esistono risultati più antichi come quelli della comparazione condotta dal ministero dell’Agricoltura della Germania, a Stoccarda, durata diversi decenni e condotta su 9 aziende biodinamiche e 9 convenzionali. Anche in questo caso, a fronte di una minore produttività delle prime risultava una loro netta superiorità biologica e organolettica (H.H.Kopf, Le basi dell’agricoltura biodinamica, in Aa.Vv., (L’agricoltura alle soglie del 2000. Le moderne tecniche chimiche, biologiche e biodinamiche a confronto, Clesav, 1983).
A chi attacca ingenerosamente Carlo Petrini, ricordo che l’agricoltura è una pratica produttiva, non un ramo della scienza. Se quella biodinamica continua ad avere successo è cosa di cui tener conto o no? Conta qualcosa la fedeltà di milioni di consumatori di prodotti biodinamici in tutto il mondo? A Paolo Mieli che in buona fede propone di abolire il termine biodinamico dalla legge in discussione debbo dire che è sommamente ingiusto. I biodinamici sono dei veri sacerdoti della salute del terreno e dell’equilibrio tra economia e natura. Li vogliamo punire per questo? Perché credono in legami astrali tra gli esseri viventi? Ma questo è tornare a bruciare le streghe per le loro credenze misteriche.
La Pac surriscalda il clima, «bruciati»100 miliardi
Clima. La Corte dei Conti europea boccia la politica agricola di Bruxelles
I cento miliardi destinati dalla Pac (Politica Agricola Comune) per mitigare i cambiamenti climatici non hanno sortito alcun effetto: dal 2010, le emissioni di gas climalteranti legate all’agricoltura non sono diminuite, come invece è successo in altri settori dell’economia. A denunciare il fallimento della Pac sul clima è una relazione speciale della Corte dei Conti europea, l’organo che verifica come la Commissione spende i nostri soldi.
Nelle more dell’approvazione definitiva del prossimo budget Pac 2021-27, in una fase di stallo nel negoziato tra Commissione, Parlamento e Consiglio, questa bacchettata sembra provvidenziale a chi sta a cuore una Pac più rispettosa dell’ambiente. La trattativa si è arenata perché il Consiglio (leggi gli Stati membri) vuole mani libere su come spendere i fondi di un piano che considera troppo «verde», mentre per il mondo ambientalista è già disallineato anche rispetto al Green Deal europeo.
Dalla Corte dei Conti del Lussemburgo il segnale è chiaro: c’è ben poco di «verde» nella gestione del piano settennale appena concluso e raramente la Pac ha finanziato misure con un alto potenziale di mitigazione del clima. Dunque, il principio «chi inquina paga» non viene applicato in Ue alle emissioni di gas serra del settore agricolo, precisa la relazione.
«La nuova Pac deve concentrarsi di più sulla riduzione delle emissioni prodotte dall’agricoltura, deve essere più trasparente e rendere meglio conto del contributo fornito alla mitigazione dei cambiamenti climatici – ha dichiarato Viorel Stefan, il membro della Corte dei Conti che ha elaborato la relazione – L’Ue svolge un ruolo fondamentale nella mitigazione dei cambiamenti climatici del settore agricolo, dal momento che elabora la normativa in materia ambientale e co-finanzia la maggior parte della spesa agricola degli Stati membri. Le nostre constatazioni dovrebbero essere utili per raggiungere l’obiettivo Ue delle neutralità climatica entro il 2050».
I 103,2 miliardi spesi tra il 2014 e il 2020 per il clima rappresentano il 26% del budget totale Pac e il 50% della spesa Ue in azioni per il clima. Ai pagamenti diretti sono andati 45,5 miliardi, mentre i restanti 57,7 miliardi sono stati spesi in misure per lo sviluppo rurale. Oggi la Corte ci dice che a poco o nulla sono serviti o che sono finiti nelle tasche sbagliate. Le emissioni che alterano il clima riconducibili all’agricoltura sono il 10,3% del totale delle emissioni misurate nell’Ue: di queste, il 70% provengono dal settore degli allevamenti di animali. «Tuttavia – puntualizza la relazione – la Pac non cerca di limitare il numero degli animali allevati né fornisce incentivi per diminuirli. Le misure di mercato della Pac piuttosto promuovono i prodotti animali, il cui consumo non è calato dal 2014».
Inoltre, la Pac finanzia pratiche non rispettose dell’ambiente, sovvenzionando, ad esempio, gli agricoltori che coltivano le torbiere drenate, che rappresentano meno del 2 % delle superfici agricole dell’Ue, soprattutto nel Nord Europa, ma rilasciano il 20 % delle emissioni di gas a effetto serra dell’agricoltura Ue. I fondi per lo sviluppo rurale avrebbero potuto essere utilizzati per il ripristino di queste torbiere, ma ciò è avvenuto di rado. Inoltre, il sostegno a misure per il sequestro del carbonio, quali l’imboschimento, i sistemi agroforestali e la conversione di seminativi in prato, non è aumentato rispetto al periodo 2007-2013.
Non è andata meglio per i fertilizzanti chimici e l’applicazione di letame sul suolo, le cui emissioni sono aumentate negli ultimi sette anni, né i suoli si sono arricchiti di sostanza organica che aiuta a sequestrare emissioni. «La Pac supporta alcune pratiche che possono ridurre l’uso di fertilizzanti, come l’agricoltura biologica e la coltivazione di leguminose. Tuttavia, riteniamo che queste pratiche abbiano un impatto incerto sulle emissioni», scrive la Corte, a causa delle rese inferiori. Salvo poi elencare, tra le pratiche meritevoli di maggiori incentivi, insieme all’agricoltura di precisione, quella conservativa e varie pratiche agronomiche adottate proprio nell’agricoltura biologica.
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