SUI MIGRANTI LA CASSAZIONE DÀ RAGIONE AI GIUDICI, NON A MELONI da IL MANIFESTO
Sui paesi sicuri la Cassazione dà ragione ai giudici, non a Meloni
Antonio Esposito 2 Gennaio 2025
La proterva abitudine dell’esecutivo e di esponenti dei partiti di maggioranza di alterare, a fini di propaganda, la verità sta raggiungendo limiti non più tollerabili. L’ultima mistificazione riguarda l’ordinanza emessa il 30.12 dalla Cassazione in tema di migranti che viene trionfalmente evocata al fine di divulgare la falsa notizia che avrebbe “dato ragione al governo e torto a quei magistrati che fanno un uso politico della giustizia” (così Gasparri di FI). A sua volta, il noto “gaffeur”, sottosegretario alla Giustizia di FdI Del Mastro, esulta: “La Cassazione pone una pietra tombale sulle speranze immigrazioniste della sinistra italiana: la lista della definizione dei Paesi sicuri spetta al governo, così come le politiche migratorie”.
In realtà, la Cassazione ha detto qualcosa di molto diverso. Vi era da esultare se la Corte avesse accolto il ricorso del governo avverso la sentenza del Tribunale di Roma, ma non è stato così. La Cassazione, con un provvedimento interlocutorio, ha sospeso il giudizio in attesa che si pronunzi (25.2) la Corte europea di giustizia investita della medesima questione da numerosi giudici italiani (Tribunali Firenze, Bologna, Roma), ritenendo tale pronuncia “destinata ad avere effetti sulla decisione che la Cassazione è chiamata a emettere”. Già questo dimostra inequivocabilmente che la Cassazione ha ritenuto corretta la procedura adottata dai predetti magistrati del “rinvio pregiudiziale” alla Corte sovranazionale dell’Aia, procedura che era stata invece contestata dal governo. È vero che la Cassazione ha affermato che “la designazione di Paese sicuro spetta in via generale soltanto al ministro degli Affari esteri e degli altri ministri che intervengono in sede di concerto”, ma anche qui l’esultanza è strumentale perché si tratta di un principio incontestabile dal momento che nessuno ha mai messo in discussione il potere dell’esecutivo di designare i “Paesi sicuri”. Ciò che, invece, era in discussione – e veniva contestato dall’esecutivo che accusava i giudici di non applicare il decreto governativo e di fare così un uso politico della giustizia con provvedimenti “abnormi” (così il ministro di Giustizia Nordio) – era il potere del giudice di disapplicare l’atto normativo. E anche su tale questione, la Cassazione ha dato ragione ai magistrati. Invero, la Corte – dopo aver più volte affermato che “il giudice è garante della effettività del diritto fondamentale alla libertà personale” – aggiunge che egli “non si sostituisce al governo, ma è chiamato a riscontrare nell’ambito del suo potere istituzionale la sussistenza dei presupposti di legittimità della designazione di un certo Paese di origine come sicuro, rappresentando tale designazione uno dei presupposti giustificativi della misura di trattenimento”; e ciò dopo aver affermato che “il giudice ordinario, sebbene non possa sostituirsi all’autorità governativa, ha, non di meno, il potere-dovere di esercitare il sindacato di legittimità del decreto ministeriale nella parte in cui inserisce un certo Paese di origine tra quelli sicuri, ove esso contrasti in modo manifesto con la normativa europea”.
In conclusione, la Cassazione, a differenza di quanto sostenuto dal governo che aveva con forza attaccato i magistrati, ha ribadito il principio che il giudice può disapplicare l’atto normativo e ciò avviene “incidenter tantum” e “in parte qua”, valevole, quindi, non “erga omnes” e, cioè, per la generalità dei casi, ma per il singolo caso previo accertamento della sussistenza di gravi motivi per ritenere che il “Paese di origine non è sicuro per la situazione particolare in cui il richiedente si trova… tenendo conto delle univoche ed evidenti fonti di informazione affidabili e aggiornate sul Paese di origine del richiedente”. Non vi è dubbio che i giudici di legittimità abbiano impartito una severa lezione di diritto a improvvisati giuristi.
Ma quale complotto: i giudici dei migranti non sono di sinistra
Il dossier – Il governo grida alle toghe rosse, però dietro alle firme dei provvedimenti ci sono storie diverse
Antonella Mascali 2 Gennaio 2025
L’anno nuovo si apre, in Italia, ancora sotto il segno dello scontro tra il governo e la magistratura. E non solo per la riforme sulla separazione delle carriere e del Csm ma anche per i provvedimenti sgraditi al centro-destra da parte di giudici di diversi tribunali, che non hanno convalidato i trattenimenti di migranti e in alcuni casi si sono rivolti alla Corte di Giustizia Europea per conoscere la compatibilità dei decreti Cutro e Paesi sicuri con la normativa europea. Ma per la maggioranza si tratta di iniziative di “toghe rosse” per contrastare l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni. In chiusura della campagna elettorale in Umbria, la premier aveva detto: “Non voglio uno scontro con la magistratura” ma “intendo andare avanti e fare tutto il possibile per fermare in Italia l’immigrazione illegale di massa, piaccia o no alla sinistra”. Che sembra sotto intendere un asse magistratura-sinistra. Decisamente più tranchant Matteo Salvini, dopo le mancate convalide di trattenimenti, a novembre: “Quei giudici, pochi per fortuna, che invece di applicare le leggi le stravolgono e boicottano, dovrebbero avere la dignità di dimettersi e di fare politica con Rifondazione Comunista”. Puntuali anche gli attacchi personalizzati, che sono costati alla giudice di Roma Silvia Albano, “toga rossa” in quanto presidente di Md, una tutela per le minacce ricevute; al suo collega di Bologna, anche lui di Md, Marco Gattuso, siluri per la sua legittima vita privata.
Attenendoci ai fatti, in realtà non c’è stato un dilagare di “toghe rosse”. Ad esempio, i giudici che a Roma non hanno convalidato quasi una ventina di trattenimenti, nella quasi totalità dei casi non risultano neppure iscritti a correnti, a eccezione di Antonella Morrone della progressista Area (oltre ad Albano di MD). A Catania la giudice Iolanda Apostolico, ora in pensione e che ha disapplicato il decreto Cutro, non era iscritta neppure all’Anm. Su di lei fu diffuso un video – usato da Salvini per la teoria del complotto – mentre si vede la giudice presente nel porto catanese, molto tempo prima, a una manifestazione a favore dei migranti in cui ci furono tensioni fra alcuni manifestanti e la polizia. Sempre a Catania, a novembre scorso, il giudice Massimo Escher ha disapplicato il decreto Paesi Sicuri. Non è una “toga rossa” ma della centrista Unicost. In ogni caso, forse in pochi sanno che l’ordinamento giudiziario (articolo 47 quater) impone ai presidenti di sezione di riunire i giudici che ne fanno parte per un confronto sull’interpretazione di norme complesse. Nel caso decreto Paesi sicuri le decisioni sono state sì dei giudici monocratici, ma a monte c’è stato anche un confronto tecnico collegiale sulla linea interpretativa.
Ed è ovvio che in una qualsiasi sezione di tribunale non sono tutte “toghe rosse” ma devono pensarla così il governo e il ministro della Giustizia Carlo Nordio, dato che in materia di trattenimenti hanno trasferito la competenza alle ingolfate Corti d’Appello. Quanto alle scelte dei giudici della varie sezioni immigrazioni, si può concordare o meno, ma si tratta di normali provvedimenti presi nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali, contro cui si può ricorrere in Cassazione. Come normali sono le scelte dei giudici di Palermo, Bologna e Roma di rivolgersi a Lussemburgo. Per esempio, secondo la sezione immigrazione del tribunale di Roma, il decreto Paesi sicuri ha “vari profili di dubbia compatibilità con la disciplina sovranazionale” che vanno chiariti. I giudici della sezione specializzata del tribunale di Palermo vogliono chiarimenti, invece, sul decreto “Cutro”, di maggio 2023, in materia di procedura accelerata in frontiera. Quanto alle ultime dichiarazioni del centrodestra sulla Cassazione, che avrebbe dato “ragione al governo” e messo in chiaro che le decisioni dei giudici “erano sbagliate”, si tratta di propaganda politica. È vero che la prima sezione civile ha scritto che spetta ai ministri stabilire l’elenco dei paesi sicuri (cosa che i tribunali non hanno mai contestato) e ai giudici di esprimersi sulla soggettiva insicurezza dei singoli ricorrenti, ma se c’è una “persecuzione generalizzata” gli stessi giudici possono contestare che un tale Paese sia definito sicuro. Inoltre, quanto scritto il 30 dicembre dalla Cassazione è un “contributo” alla Corte di Giustizia Europea che dovrà decidere sui ricorsi dei giudici italiani. Nell’attesa, nessuna decisione nel merito sul ricorso del governo ma sospensione dei provvedimenti dei giudici.
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