REGIONI: LA VERA AUTONOMIA È NON FARE NULLA da IL FATTO
Regioni: la vera autonomia è non fare nulla
Pochissime leggi e tantissime mozioni – Tutto in giunta. Dal Consiglio del Lazio fermo due mesi e mezzo al racconto degli eletti lombardi: “In aula quasi solo odg e interrogazioni”
Lorenzo Giarelli 6 Dicembre 2024
Per dare l’idea della passione civile di un tempo, una volta Roberto Benigni raccontò di certe serate al circolo l’Unione di Vergaio: “Organizzavano i dibattiti: ‘Problema: gli Stati Uniti e la guerra del Vietnam. Ore 20: discussione. Ore 21: soluzione’”. Nell’Italia dove la Lega sogna l’autonomia, forse sarebbe il caso di buttare un occhio a come stanno oggi i Consigli regionali, molti dei quali ridotti a litigare sui massimi sistemi e sulle crisi internazionali (a mo’ di Vergaio, appunto), spesso soffocati da giunte e presidenti plenipotenziari che lasciano loro le briciole, ovvero – a esclusione del bilancio e delle sue variazioni – una manciatina di leggi dal peso trascurabile. Con casi, ormai non più isolati, di Consigli che per un motivo o per l’altro sconvocano sedute per diverse settimane.
In Lombardia, terza assemblea per numero di componenti dopo Camera e Senato, la legislatura è iniziata nel febbraio 2023 col bis di Attilio Fontana. Da allora, l’aula ha approvato otto leggi di iniziativa consiliare, tutto il resto sono provvedimenti voluti dalla giunta. L’elenco include un paio di norme sull’agricoltura, l’istituzione del Garante per gli anziani e il sostegno al turismo ippico (“l’insieme delle attività turistiche, ludiche, ricreative, addestrative e sportive effettuate con l’utilizzo di equidi”). Poi tanti ordini del giorno e mozioni, dalla pace in Medio Oriente alla difesa dei poliziotti accusati di razzismo dal Consiglio d’Europa. È qui che proliferano gli show in aula dell’assessore Romano La Russa, fratello di Ignazio, protagonista di intemerate contro il centrosinistra con continui riferimenti agli Anni di piombo (“la vostra matrice sono gli anni 70, chi tirava pietre”). Roba che quasi finiva in rissa col capogruppo Pd Pierfrancesco Majorino. “Da settimane siamo costretti ad assistere agli show provocatori di La Russa – scuote la testa Nicola Di Marco, capogruppo 5 Stelle – che hanno riportato il dibattito in Consiglio agli anni 70. E intanto nulla viene fatto sulle materie su cui invece la Regione avrebbe la possibilità di intervenire”.
Già, perché pure di fronte allo strapotere delle giunte, un margine ci sarebbe eccome: “Ci sarebbero la sanità, la medicina territoriale, il trasporto pubblico, l’emergenza abitativa. L’unica volta in cui tutti erano d’accordo, tranne noi, a portare avanti in fretta un’iniziativa legislativa è stato quando volevano riprendersi i contributi per il tfr, blitz fortunatamente fallito per eccesso di indecenza quando la notizia è trapelata”.
Quando in aula è arrivata la proposta di legge popolare per dare tempi certi sul suicidio assistito, nonostante la disponibilità di Fontana a un confronto, il Consiglio ha troncato il dibattito, approvando la pregiudiziale sulla legittimità costituzionale avanzata dalla destra. “Io non sono contro l’autonomia – dice Gian Mario Fragomeli, consigliere regionale dem e vicesegretario regionale – ma quella vera, cooperativa, che è ben diversa da quella della Lega. Ma penso che l’autonomia si debba anche meritarla. Se la giunta non fa quasi nulla, il Consiglio fa ancora meno. A parte le leggi obbligatorie, in aula passano quasi solo mozioni e interrogazioni. Fontana teme imboscate dei suoi a voto segreto, e quindi cerca di far passare dal Consiglio il meno possibile. Il risultato è quello che vediamo”.
Non solo in Lombardia. Nel Lazio i numeri delle leggi sono solo leggermente migliori (11 testi approvati dal 2023), ma a raccontare lo stato dell’arte sono soprattutto i 71 giorni senza sedute del Consiglio tra agosto e ottobre per colpa di una lite intestina alla destra ancora non risolta (Forza Italia esige più peso in giunta, il meloniano Francesco Rocca non ci sente). L’altra settimana, i forzisti Roberta Della Casa e Fabio Capolei si sono lamentati in Commissione Sanità: “Abbiamo 17 proposte di legge in attesa di essere calendarizzate in questa commissione”. Lo stallo riguarda tutta la Regione: “Sono mesi che manifestiamo tutto il nostro rammarico – è la versione delle dem Michela Califano ed Emanuela Droghei – per la paralisi che ha colpito l’intera amministrazione regionale. Questa legislatura non è mai partita. Si è bloccata sul nascere”. E in effetti già un anno fa lo denunciava la renziana Marietta Tidei: “Se si escludono i provvedimenti di bilancio, i lavori sono fermi per un evidente lassismo da parte della maggioranza. In sette mesi non è ancora stata portata in aula una proposta di legge della maggioranza degna di questo nome”.
Sono concetti che altri consiglieri ripetono in giro per l’Italia. In Piemonte, per esempio, dove Alberto Cirio è stato riconfermato a giugno. “Più volte sono saltate sedute d’aula perché sembrava non ci fosse nulla da discutere – attacca Sarah Disabato, capogruppo 5 Stelle. “Ora siamo tornati in Consiglio, ma continuiamo a parlare solo di nomine e di ordini del giorno”. Da tempo le opposizioni vorrebbero portare in Regione un confronto con la giunta, Stellantis e i sindacati, tema su cui di certo il Piemonte da solo non può essere risolutivo, ma che è di enorme interesse per il territorio: “Da un mese chiediamo un Consiglio regionale aperto, ma non abbiamo ricevuto risposta”, si è lamentata due giorni fa la dem Elena Pentenero. “Lo abbiamo chiesto ben prima delle dimissioni di Tavares – ricorda Disabato – ma siamo stati ignorati”.
Altri esempi? In Basilicata si è votato il 22 aprile. Ha vinto per la seconda volta il forzista Vito Bardi, il quale però ha impiegato parecchie settimane a completare la giunta nel difficile compito di accontentare tutti gli alleati. Per lo stesso motivo ha passato i guai pure il Consiglio regionale, che ha dovuto aspettare due mesi e mezzo (5 luglio) per eleggere il proprio presidente, Marcello Pittella, ed entrare così in funzione a pieno regime. Va da sé che da allora si contano sulle dita di una mano le leggi di iniziativa consiliare, tra cui però spicca quella approvata ad agosto con insolita fretta e col favore della calura estiva: aumento di 25 mila euro dei fondi per i collaboratori a disposizione di ogni consigliere, che per gli eletti si è tradotto, di fatto, nella possibilità di aumentarsi lo stipendio visto che prima i soldi per lo staff venivano sottratti da un rimborso spese forfettario.
A questi argomenti i Consigli regionali restano parecchio sensibili. Se non toccano palla su provvedimenti delicati, molti eletti finiscono a rosicchiare quel che possono per sé o per i propri collegi elettorali. Come ha raccontato il Fatto nei giorni scorsi, Sicilia e Sardegna sono reduci da assalti alla diligenza da parte dei consiglieri per destinare migliaia di euro ciascuno a sagre, associazioni e fiere di riferimento. Almeno in questo, è bene rendersi utili.
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