QUANTO LA CINA È DAVVERO VICINA da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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QUANTO LA CINA È DAVVERO VICINA da IL MANIFESTO

Quanto la Cina è davvero vicina

NUOVA FINANZA PUBBLICA. La rubrica settimanale di politica economica. A cura di autori vari

Marco Bertorello, Danilo Corradi  26/08/2023

La crisi immobiliare cinese è profonda e potrebbe comportare per il dragone una battuta d’arresto importante. Una crisi che alcuni analisti, con sicurezza, ritengono di carattere locale, per lo scarso legame finanziario tra i colossi immobiliari cinesi e l’Occidente. Sicuramente è difficile fare previsioni anche per le opacità informative, ma consigliamo maggiore cautela. Non ha senso riproporre schematicamente il refrain di una nuova Lehman Brothers, ma un’eventuale crisi della seconda economia mondiale può veramente essere derubricata a problema nazionale?

Il settore immobiliare non è certo al margine dell’economia cinese, alcune stime sostengono che abbia raggiunto persino l’incredibile proporzione del 40% del Pil di Pechino. La dinamica della crisi ricorda in parte quella dei subprime. In Cina la poderosa crescita di questi decenni è stata sostenuta non solo dal manifatturiero e dalle esportazioni, ma anche da una domanda drogata e speculativa di immobili. Pieranni ci ricorda che comprando e vendendo case ci si arricchiva fino a qualche anno fa.

Tra il 2018 e il 2019 i prezzi delle case crescevano anche oltre il 10% l’anno! Le case diventavano un investimento sicuro a cui tutti volevano accedere. Non a caso il debito privato cinese è aumentato rapidamente dal 105,8% del Pil nel 2007 al 193,6 del 2021, così come i mq/pro-capite di spazio abitativo arrivati agli attuali 50 mq.

Ma poteva veramente durare all’infinito? La bolla immobiliare si reggeva sulla continua crescita dei prezzi, che ripagava investimenti a debito dei privati ed effetto leva dei vari istituti finanziari, surriscaldando il settore delle costruzioni. La crescita dei prezzi degli immobili ha frenato progressivamente diventando negativa nel 2022 facendo esplodere la Bolla, scoprendo in ambito finanziario le posizioni speculative e la sovraproduzione nel settore edile.

Non sappiamo se le autorità cinesi riusciranno a tamponare le falle e a prefigurare un atterraggio morbido, ma la dinamica sembra strutturale. Sicuramente serviranno ingenti risorse finanziarie per tamponare le falle, che non a caso stanno già defluendo dai titoli di Stato Usa anche in virtù della crisi politica tra i due giganti. Sicuramente ci sarà un effetto psicologico e un rallentamento del Pil cinese, che condizionerà economie come quella tedesca che esportano molto in direzione Cina. Va anche ricordato che la Cina nella crisi 2007-2009 ha rappresentato una importante ciambella per salvare il sistema a livello mondiale.

La sua solidità ha consentito di assorbire una parte delle difficoltà del fronte occidentale. L’instabilità dei paesi più ricchi coniugata con un eventuale crisi asiatica condurrebbe oggi in terre ulteriormente sconosciute. Ciò che colpisce, inoltre, è la dinamica della crisi cinese che ci parla del modello sottostante. Si è affermata una certa convergenza con il modello occidentale. In questi anni immobiliare e finanziarizzazione sono andati a braccetto aggiungendosi rapidamente alla «fabbrica del mondo», contribuendo a rendere aleatorio il confine tra finanza ed economia reale. Ciò che nei paesi occidentali si è affermato in diversi decenni in Cina si è imposto a tappe forzate, rendendo meno dissimile l’economia fondata sul mercato a livello internazionale.

Certo a Pechino lo Stato è tanto protagonista, una dose di pianificazione permane, la democrazia è assente. Ma sono tutti fattori che, in diversa misura, stanno rispuntando anche nei paesi a capitalismo maturo.

Come se fosse in corso una sorta di ibridazione tra modelli nati distanti, ma che hanno finito per viaggiare sempre più paralleli. Ancora lontani, ma convergenti. Come se il capitalismo fosse in grado di funzionare solo così, attraverso punti di forza e debolezze di un vacillante keynesismo finanziario e privatizzato, fondato su una montagna di debito privato e pubblico che, ad ogni latitudine, più che una soluzione appare come un problema e un vincolo da cui nessuno riesce a emanciparsi.

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