PROVE TECNICHE DI “STATO DI POLIZIA” da IL MANIFESTO e INTERFERENZA
Prove tecniche di Stato di Polizia
Ri-mediamo. La rubrica settimanale sui media a cura di Vincenzo Vita
Vincenzo Vita 07/08/2024
Qualche giorno fa la sede del Corriere fiorentino e l’abitazione del suo giornalista Simone Innocenti sono stati oggetto di perquisizione per un articolo su una vicenda amara e scabrosa. Si tratta del suicidio avvenuto lo scorso marzo della carabiniera Beatrice Belcuore, a causa -aveva denunciato la famiglia – delle vessazioni subite nella Scuola per allievi e marescialli.
Di che si tratta? Rivelazione di segreti di ufficio? Sembra assurdo che si sia ancora a questo punto. Al riguardo vi è, oltre alle prese di posizione delle organizzazioni sindacali, un’interrogazione parlamentare rivolta alla Commissione di un bel gruppo di parlamentari di Strasburgo, a partire dalla vicepresidente Pina Picierno. Tra l’altro, fa giurisprudenza la sentenza del 2018 della Corte di Cassazione su un’omologa vicenda che colpì Marco Lillo del Fatto quotidiano. I giudici ordinarono di restituire tutto quello che era stato sequestrato, vietando di trattenere le copie dei dati acquisiti.
Non solo. Esiste ormai una vasta e chiarissima letteratura nel e del contesto europeo, che supera con nettezza simili pratiche: si legga, al riguardo, il comma 3b dell’articolo 4 dell’European Media Freedom Act. E si consultino le decisioni della Corte Europea per i Diritti umani o della stessa Corte costituzionale italiana.
Per di più, vi è un flusso univoco sulla materia della libertà di informazione e di cronaca. Basti pensare al Documento di Bruxelles (quello che ha irritato Giorgia Meloni) sullo stato di diritto, ai contributi univoci del Consiglio d’Europa, nonché del Media Freedom Rapid Response o dell’European University Institute redatto insieme al Robert Schuman Centre for Advanced Studies. Il capitolo cruciale del diritto dei diritti è salito finalmente nelle priorità dell’agenda. Come mai, quindi, accadono vicende come quella di Firenze, su cui ha alzato la voce anche l’Ordine professionale?
La risposta è elementare, per citare il famoso investigatore. Il clima culturale è profondamente cambiato. Intendiamoci. Non che le cose andassero benissimo pure in precedenza. Ma la parabola negativa ha aumentato velocità e potenza.
L’ accurata pubblicazione proprio dell’Ordine «Informazione e giustizia» passa in rassegna i punti dolorosi che incidono sull’autonomia e sull’indipendenza di coloro che operano nel sistema mediale. Si va dal D.Lgs del 2021 (decreto Cartabia) che limita la conoscenza dei procedimenti penali e dall’ampliamento del cosiddetto diritto all’oblio (con discutibili automatismi una storia viene deindicizzata), alla pericolosa permanenza nell’ordinamento del reato della diffamazione con inclusa pena del carcere, al ricorso abnorme al ricatto delle querele temerarie, ai vincoli posti all’utilizzo delle intercettazioni e alle costanti minacce verso chi mette il naso in faccende di potere, all’oscuramento dei nomi e delle sentenze, alla corretta rappresentazione delle materie giudiziarie in televisione. E altro ancora.
Giornalismo di inchiesta e attività della magistratura sono nel mirino di una destra che mira alla manomissione degli aspetti essenziali della Carta antifascista. L’occupazione spavalda di una significativa parte dei mezzi di comunicazione è funzionale a interferire nelle stesse prossime scadenze referendarie sul lavoro e sull’autonomia differenziata. Tutto ciò scalda i motori per preparare l’appuntamento cruciale della controriforma del premierato. Ecco, allora, che l’episodio di Firenze non va relegato ad una veniale patologia, mentre è una traccia di un clima che si erge a tendenza generale. Colpirne uno per educarne cento, al solito. Sono prove tecniche, come si usa dire, di regime.
Naturalmente, vale il rovescio. Comincia ad essere evidente che l’aria serena del governo si è increspata. Forse, mettendo insieme tanti sintomi, è legittimo pensare che sia iniziata la parabola discendente di una destra incapace di recidere i legami con il passato e alla ricerca spasmodica di momenti identitari. Le iniziative europee, soprattutto per la pluralità di fonti e voci, non possono rimanere chiusi nei cassetti. È il momento di fare rumore. Molto e sul serio.
Stretta repressiva del governo
Federico Giusti • 6 Agosto 2024
Solo nel novembre scorso il Governo aveva approvato il “Pacchetto Sicurezza” ma dall’indomani è iniziata la solita campagna ideologica e politica costruita ad arte per andare ben oltre all’impianto securitario e repressivo approvato.
L’idea, diffusa e trasversale non solo a tutto il centro destra ma ben accolta anche da esponenti di centrosinistra, consiste nel rafforzare le pene a carico dei manifestanti, reati che da amministrativi diventano penali, prova ne sia la pena del carcere da sei mesi a due anni per i blocchi stradali e ferroviari che poi riguardano manifestazioni sindacali, sociali e ambientaliste.
È sufficiente “il reato commesso da più persone riunite” per prevedere pene severissime che andranno a colpire innumerevoli proteste. E una volta approvate le norme potranno essere ulteriormente rafforzate ed estese ad ulteriori reati, del resto con questa pratica siamo arrivati alla istituzione di uno Stato penale che ha calpestato gran parte dei diritti sociali acquisiti.
La spirale repressiva è stata giustificata come “norma anti-Ultima Generazione” ma è evidente si rivolga ai movimenti dell’abitare, alle realtà in lotta contro la costruzione di nuove basi militari o il Ponte sullo stretto come i primi Pacchetti sicurezza erano rivolti ai senza fissa dimora, ai migranti privi di permesso di soggiorno e ai facchini della logistica.
Questa ennesima legge colpirà ferocemente i partecipanti ai blocchi stradali, una pratica di lotta e di protesta storicamente diffusa e utilizzata, per questo siamo certi che si tratta di norme indirizzate a criminalizzare e colpire i movimenti sociali alla vigilia dell’apertura di innumerevoli grandi opere.
È evidente la trasformazione di una sanzione pecuniaria in un grave reato penale con tanto di pena detentiva anche per manifestazioni simboliche e pacifiche, di mera protesta e testimonianza sociale.
La norma antiblocco stradale è stata approvata in fretta e furia dentro la apposita Commissione, esclusa a priori qualsivoglia discussione per approvare un testo blindato da inviare al Parlamento ove sarà approvato senza alcuna remora.
Ma è solo l’inizio di una spirale repressiva che prevede l’innalzamento delle pene per chi protesterà in modo “minaccioso o violento” contro le grandi opere infrastrutturali come il Ponte sullo Stretto, il Tav, un inceneritore o una base militare. Se ne parlerà a settembre ma è evidente la volontà del Governo di approvare queste norme repressive in fretta e furia per avere un codice penale aggiornato con pene draconiane per i reati sociali a partire dal prossimo autunno-
Sono anni che attraverso i Pacchetti sicurezza si introducono nuovi e pesanti reati penali ma questa volta è indubbio il salto di qualità perché la norma in discussione riguarda tutte le manifestazioni di opposizione sociale, non si fa distinzione alcuna tra manifestazioni violente e pacifiche, da qui al divieto a manifestare corre ben poco
Le proposte di emendamento vanno poi a colpire un’altra forma di lotta del movimento operaio, quella dei picchetti equiparati a grave violenza privata. Recenti sentenze hanno stabilito che i reati contro la produttività sono severamente puniti mentre costituzionalmente accettabili sono gli scioperi che bloccano la produzione, pensiamo allora che ben presto questa distinzione sarà annullata e la nozione di produttività estesa oltre ogni limite ragionevole proprio per aprire le porte al carcere per tanti attivisti
Non siamo quindi solo davanti a nuovi reati da inserire nel Codice penale o all’inasprimento di pene, si mira direttamente a costruire un clima di impunità delle forze dell’ordine ponendo fine definitivamente al reato di tortura e rigettando la richiesta di codici identificativi.
E su questo punto è bene esprimerci con chiarezza perché numerosi addetti alle forze dell’ordine da tempo hanno anche manifestato contrarietà al loro costante e crescente utilizzo in chiave repressiva . Forse l’obiettivo del Governo è quello della militarizzazione di tutte le forze dell’ordine dentro un processo di militarizzazione generale della società annullando perfino parte delle riforme “democratiche” degli anni Settanta. Le forze dell’ordine diventeranno il braccio armato di Governi disposti a ogni forma repressiva e autoritaria per salvaguardare il loro potere?
Ultima considerazione si indirizza alle rivolte nei carceri e nei Cpr, pensiamo che manifestazioni di protesta siano presto configurabili come vere e proprie rivolte e i reati contestati andranno a colpire anche eventuali iniziative di sostegno esterno da parte di familiari e solidali ai quali dobbiamo la denuncia avvenuta di tanti, troppi, pestaggi avvenuti negli istituti di pena.
Sono riflessioni forse scontate, volutamente semplificate per arrivare a un quesito elementare: una volta approvate queste norme potremo ancora dire di vivere in un paese democratico? E davanti alla criminalizzazione del dissenso esisteranno ancora agibilità democratiche e sociali? E ogni qual volta i lavoratori si riuniranno ai cancelli per scongiurare dei licenziamenti saranno accusati di reati associativi e di eversione?
Le risposte sono scontate, o nel paese si svilupperà una opposizione a questi provvedimenti in atto o un domani la repressione busserà alle porte di ciascuno di noi, senza esclusione alcuna. E non basterà parlare di Garanzie costituzionali.
No Comments