PALESTINA E ISRAELE, ONU SOLA SALVEZZA da IL FATTO e IL MANIFESTO
Palestina e Israele, Onu sola salvezza
LA VIA STRETTA DELLA PACE – Usa, Russia, Regno Unito, Francia e Cina hanno tutti un interesse nazionale a una tregua stabile. Un’altra Nakba macchierebbe il nome dello Stato ebraico per le generazioni future
JEFFREY SACHS 19 OTTOBRE 2023
Dopo l’atroce attacco di Hamas contro civili israeliani innocenti, gli alti strateghi militari israeliani minacciano la pulizia etnica di Gaza. Si tratterebbe di un’altra Nakba (“catastrofe” in arabo), simile all’espulsione di massa dei palestinesi dalle loro case e dalla loro terra nel 1948.
Se Israele commettesse crimini di guerra massicci a Gaza, di fronte agli appelli globali alla moderazione, metterebbe a rischio la sua sicurezza nazionale fondamentale. Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha parlato in modo chiaro, persuasivo ed eloquente della necessità di un cessate il fuoco, del rilascio degli ostaggi, della protezione dei civili di Gaza, del sostegno alla sicurezza di Israele e del passaggio decisivo verso uno Stato palestinese in linea con i precedenti accordi delle Nazioni Unite. In questo parla a nome della grande maggioranza dell’umanità e della stragrande maggioranza degli Stati membri delle Nazioni Unite, che cercano pace e giustizia sia per gli israeliani che per i palestinesi.
Tutti e cinque i membri permanenti (P5) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Russia e Cina – hanno un interesse comune a un cessate il fuoco seguito da un accordo globale che includa la statualità palestinese. Tutte le nazioni del P5 desiderano buone relazioni sia con Israele che con il mondo arabo. Tutti hanno un forte interesse nazionale alla pace, compresa la sicurezza per Israele e la statualità per la Palestina. Questo vale anche per gli Stati Uniti. Se gli Stati Uniti appoggiano la pulizia etnica a Gaza, l’influenza americana nel mondo musulmano, già in declino negli ultimi anni, crollerà irrimediabilmente.
Il Segretario generale Guterres ha tracciato il quadro della pace: “Ci siamo avvicinati a un momento di escalation disastrosa e ci troviamo a un bivio critico. È imperativo che tutte le parti – e coloro che hanno influenza su di esse – facciano tutto il possibile per evitare nuove violenze o una ricaduta del conflitto in Cisgiordania e nella regione più ampia. Tutti gli ostaggi a Gaza devono essere rilasciati. I civili non devono essere usati come scudi umani. Il diritto umanitario internazionale – comprese le Convenzioni di Ginevra – deve essere rispettato e sostenuto. I civili di entrambe le parti devono essere protetti in ogni momento. Ospedali, scuole, cliniche e sedi delle Nazioni Unite non devono mai essere presi di mira”. Ma qualsiasi soluzione a questo tragico calvario pluridecennale di morte e distruzione richiede il pieno riconoscimento delle circostanze sia degli israeliani che dei palestinesi, delle loro realtà e delle loro prospettive.
“Israele deve vedere concretizzate le sue legittime esigenze di sicurezza e i palestinesi devono vedere realizzata una chiara prospettiva per la creazione di un proprio Stato, in linea con le risoluzioni delle Nazioni Unite, il diritto internazionale e gli accordi precedenti. Se la comunità internazionale crede veramente in questi due obiettivi, dobbiamo trovare il modo di lavorare insieme per trovare soluzioni reali e durature – soluzioni che si basano sulla nostra comune umanità e che riconoscono la necessità per le persone di vivere insieme, nonostante le storie e le circostanze che le dividono”.
Non dovrebbero esserci divisioni geopolitiche tra le grandi potenze in merito a questa crisi. La Russia ha legami molto forti con Israele, non da ultimo per le centinaia di migliaia di ebrei russi che vivono in Israele. Anche il Regno Unito, l’Ue e gli Stati Uniti hanno forti legami economici, tecnologici, culturali e storici con Israele. Anche la Cina ha relazioni lunghe e solide con Israele, anche se con minori legami culturali e storici.
Eppure nessuna di queste grandi potenze vuole alienarsi il mondo arabo e musulmano. Ogni grande potenza ha una popolazione musulmana significativa: l’1-2% negli Stati Uniti e in Cina, circa il 7% nel Regno Unito e nell’Ue e circa il 10% in Russia. Inoltre, tutte hanno legami economici, di sicurezza e culturali significativi con il mondo arabo e musulmano.
I P5 dovrebbero lavorare urgentemente insieme per una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che tracci il percorso verso la pace e uno Stato palestinese (o anche verso uno Stato basato sull’uguaglianza e la democrazia, se gli israeliani e i palestinesi lo preferiscono a una divisione della terra). Secondo quanto riferito, la Russia è sul punto di presentare una risoluzione di pace (nel frattempo è stata respinta, ndt). Gli Stati Uniti dovrebbero resistere alla reazione impulsiva di opporsi all’iniziativa russa e lavorare con la Russia e gli altri membri del P5 per la causa comune della pace.
Israeliani e palestinesi, purtroppo, sono profondamente divisi in tre campi, che potrebbero essere chiamati i pacifisti, gli scettici e i fondamentalisti. I pacifisti credono che la pace sia possibile attraverso i negoziati. Gli scettici sono così profondamente diffidenti nei confronti dell’altra parte che non credono nella pace. I fondamentalisti, una decisa minoranza in entrambe le parti, credono che Dio abbia concesso loro la terra – sia agli ebrei che ai musulmani – e che l’altra parte non abbia alcun diritto.
I pacifisti sono pronti per la pace. Gli scettici possono essere conquistati con sufficiente rispetto, diplomazia e realismo nei negoziati e con l’appoggio del Consiglio di Sicurezza dell’Onu a una pace negoziata (che includa forze di pace, finanziamenti e altri strumenti di applicabilità). I fondamentalisti di entrambe le parti saranno delusi. Tuttavia, occorre ricordare loro che i diritti umani e la dignità di tutti sono sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e sostenuti dalla Carta delle Nazioni Unite.
Di tanto in tanto sono sorti leader coraggiosi che hanno convinto gli scettici a cercare la pace e che hanno detto ai fondamentalisti che entrambe le parti meritano rispetto e giustizia. L’egiziano Anwar Sadat è stato una figura notevole. Così come Yitzhak Rabin in Israele. Entrambi sono stati assassinati dai fondamentalisti della loro stessa nazione, martirizzati come altri grandi costruttori di pace del nostro tempo, tra cui il Mahatma Gandhi, John e Robert Kennedy e Martin Luther King Jr.
Come insegnò Gesù, egli stesso martirizzato, “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”.
Il governo israeliano di Benjamin Netanyahu, prima dell’attuale governo di “unità”, è stato il più di destra della sua storia. Diversi esponenti dell’estrema destra fanno parte dell’attuale gabinetto. I media israeliani lanciano appelli affinché Gaza diventi un luogo dove “nessun essere umano può vivere”. Non ci deve essere posto negli affari delle nazioni, tantomeno alle Nazioni Unite, per le ideologie dell’odio. Le nazioni del mondo, operando secondo la Carta delle Nazioni Unite e difendendo la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, devono muoversi con urgenza per aiutare a salvare sia Israele che la Palestina. Se Israele tentasse un’altra Nakba, subirebbe la morte orrenda dei propri giovani uomini e donne nei combattimenti, ucciderebbe migliaia e sfollerebbe centinaia di migliaia di palestinesi innocenti e macchierebbe il nome di Israele per le generazioni future. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu dovrebbe evitare questa calamità dando un sostegno urgente e tempestivo ai milioni di israeliani e palestinesi che desiderano una pace duratura con sicurezza e giustizia per tutti.
https://www.commondreams.org/opinion/israel-gaza-united-nations
L’imprevisto della violenza senza politica
GUERRA E CAOS GLOBALE. Non è più un rischio ma una certezza: gli sviluppi della crisi in Medio oriente sono del tutto fuori controllo. E così le loro conseguenze nel mondo intero. Saltano vertici, […]
Marco Bascetta 19/10/2023
Non è più un rischio ma una certezza: gli sviluppi della crisi in Medio oriente sono del tutto fuori controllo. E così le loro conseguenze nel mondo intero. Saltano vertici, si spezzano alleanze politiche, le piazze mediorientali ribollono, i lupi islamisti tornano a colpire in Occidente, la diplomazia è messa all’angolo a suon di bombe. Tutto resta appeso al filo dell’imprevisto.
Così come imprevista è stata, nel suo orribile svolgimento, l’aggressione che ha segnato l’inizio della guerra, per gli aggrediti e perfino per gli aggressori stessi. A nessuna delle molte domande che si affollano esiste una risposta plausibile. Non sul futuro della striscia di Gaza, su cosa significhi annientare Hamas con il vasto retroterra fondamentalista – trasversale a stati, movimenti e comunità – che lo sostiene e alimenta e che non mancherebbe di riprodurlo in altre forme una volta smantellato dalle armi israeliane. Non sull’immagine internazionale di Israele, sempre più compromessa con il crescere delle vittime civili a Gaza, o sulla posizione dello stato ebraico nella regione mediorientale che, in seguito a una guerra spietata con costi umani esorbitanti e azioni irresponsabili, è sull’orlo di una conflagrazione generale. Nemmeno sulla stessa sicurezza di Israele, intesa come condizione stabile e non come perenne prova di forza nell’alterna condizione di assediati o di assedianti. Per non parlare di ciò che attende l’insieme della popolazione palestinese, ancora una volta in ostaggio di tutti.
Non vi sono risposte perché gli eventi travolgono gli stessi attori, nascono certamente da una storia che può essere ricostruita, ma non basta quella storia (con i torti e le ragioni che i contendenti possono desumerne) a spiegarli, né gli interessi materiali né i fattori culturali. La violenza finisce coll’emanciparsi dalle sue stesse cause e motivazioni, nutrita da una somma di esperienze singole e vissuti individuali che si agglutinano in una massa critica, sempre pronta a diventare massa di manovra. Così prende forma una violenza post politica, tanto più spietata quanto più priva di progetto, di bussola, di destinazione, sospinta solo da una retorica della vendetta. Quale seguito pensava Hamas di dare all’orrore di un massacro condotto all’insegna della disumanità e indicibile per i suoi stessi autori? Il seguito, assai prevedibile, non potevano che essere le migliaia di morti palestinesi vittime della reazione israeliana. Il cui sbocco e le cui conseguenze restano a loro volta immerse nella «nebbia di guerra», poiché nessuna reazione può mai rispondere a un disegno. Restando in balia degli eventi, delle passioni, del narcisismo della forza, al massimo di qualche effimero calcolo di opportunità. Condannare chi ha cominciato è banalmente doveroso, ma ha scarso effetto sul corso degli eventi e per le vittime, poi, tutte le vittime, è piuttosto indifferente. Soprattutto non mostra soluzioni.
I parametri, gli indicatori, i criteri con i quali, fino ad oggi, si analizzava il ginepraio medio orientale sono messi fuori uso. La geopolitica? Un ferro vecchio che si libra al di sopra di una realtà sfuggente, ben lontana dall’antica partizione delle sfere di influenza del 1967 o del 1973 e dalla eco dei movimenti di liberazione nazionale, radicata ormai nei successivi fallimenti di epoca postcoloniale e nelle vite che ne sono state travolte. Il diritto internazionale? Non vi è forza in campo che non abbia variamente calpestato questo pallido simulacro, ciascuno secondo la potenza di cui disponeva, malgrado risoluzioni, appelli, dichiarazioni di principio. I grandi interessi economici? Contano, certo, ma attraversano, aggirano, manipolano, ideologie e schieramenti, stati e antistati. Non esiste al mondo despota abbastanza sanguinario, o formazione terroristica sufficientemente efferata, da non poterci fare affari insieme, da non poter usare, all’occasione, contro i propri nemici e concorrenti.
In questa caotica incertezza cresce una polarizzazione assoluta nella quale ogni criterio di prudenza, ogni equilibrio e distinzione sprofondano senza rimedio. Vietato manifestare solidarietà con i palestinesi in più di un grande paese europeo, o inorridire per la catastrofe umanitaria prodotta dall’assedio israeliano a Gaza. Una messa al bando del diritto di protestare che, in democrazia, non ha precedenti. Certo, è noto che nello schieramento filopalestinese si annida non solo l’eredità dell’antisemitismo arabo, ma anche, in Europa e soprattutto in Germania, quell’antisemitismo che da sempre appartiene allo strumentario rosso-bruno e che non cessa di costituire una minaccia. Così come nelle file dei più esaltati fautori della risposta bellica israeliana, costi quel che costi, non è raro rintracciare suprematismo occidentalista e razzismo antiarabo. Le forme spietate dello scontro in corso non fanno che favorire queste torve inclinazioni.
Nel precipitare degli eventi fuori da qualunque capacità previsionale e razionalità politica c’è chi vagheggia, da una parte come dall’altra, la «soluzione finale». Che si tratti di cancellare Hamas, le aspirazioni del popolo palestinese nel loro insieme o, viceversa, lo stato di Israele. Fino a quando questa allucinazione senza esito non sarà scacciata per sempre dalle menti e dalle parole dei contendenti, la guerra continuerà a crescere su se stessa come unica e irrinunciabile condizione di esistenza.
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