OSCENITÀ A GAZA: “I COLONI BLOCCANO I CAMION UMANITARI” da ANTIDIPLOMATICO e IL FATTO
I coloni che bloccano i camion umanitari: “quest’oscenità potrà uscire in mondovisione?”
Andrea Zhok* 14 Maggio 2024
Questi sono attivisti israeliani che hanno bloccato al valico di Tarqumiya i camion di aiuti umanitari diretti a Gaza, distruggendone il contenuto.
https://www.facebook.com/plugins/video.php?height=315&href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2Fandrea.zhok.5%2Fvideos%2F463813262698367%2F&show_text=false&width=560&t=0 Ora, che la strategia di Israele sia quella di rendere la striscia di Gaza un deserto inabitabile, di rendere fisicamente impossibile la vita ai palestinesi ovunque nei territori occupati, è esplicito.
Sono stati fatti arrivare lavoranti a basso costo per rimpiazzare le maestranze palestinesi che riuscivano a sbarcare il lunario in Israele.
I bombardamenti hanno preso sistematicamente di mira edifici vuoti, privi di valore militare, ma rappresentativi come università, ospedali, uffici pubblici.
I coloni, con la copertura della polizia, hanno ripetutamente attaccato e distrutto piccoli esercizi commerciali nella West Bank.
Gli aiuti umanitari sono stati trattenuti spesso con le più svariate scuse e quando permessi, come in questo caso, sono stati boicottati informalmente da “attivisti”.
Il senso dell’operazione è chiaro: mentre i bambini fatti a pezzi sono decisamente inestetici per le finalità propagandistiche di Israele, gente che un po’ muore di stenti fuori campo e un po’ decide di andarsene per salvare quel che resta delle proprie famiglie sono più facilmente metabolizzabili, meno urtanti, più facili da ingoiare nel vasto dimenticatoio delle coscienze occidentali.
Quello che mi chiedo è se quest’oscenità in mondovisione potrà riuscire.
Naturalmente il fatto di potersi giovare dell’appoggio americano e dunque del sostegno del più potente apparato propagandistico e mediatico al mondo è una garanzia potente di successo.
Dopo tutto non dobbiamo mai dimenticare che, in ultima istanza, noi oggi riusciamo ad essere mossi a disgusto dalla “Notte dei Cristalli”, o ad indignarci per le vicende del ghetto di Varsavia perché alla fine i nazisti la guerra l’hanno persa.
Ma qui, non essendoci alcun 9 maggio 1945 in vista, a scrivere la storia delle stragi saranno gli stessi che le hanno promosse e difese.
E allora forse lo sdegno rimarrà in circolazione solo nei circuiti clandestini, nelle parole dei “descamisados” alla periferia dell’impero, nei vicoli sempre più stretti della controinformazione, finché tutto verrà obliato nel prossimo Eurovision.
Forse.
O forse no.
Forse la periferia dell’impero sta facendone già scricchiolare il centro, forse i circuiti clandestini usciranno a testa alta dalla clandestinità, forse le corrotte ammiraglie dell’informazione ufficiale affonderanno ingloriosamente e lasceranno spazio ai pochi giornalisti rimasti con la schiena dritta.
Forse qualcuno ricorderà il male fatto e lo condannerà, ricorderà gli innocenti sacrificati e li onorerà.
Forse una volta di più l’arroganza di chi si immagina “Herrenrasse” finirà nella polvere.
Io ci credo.
*Post Facebook del 14 maggio 2024
Così Israele costringe allo sgombero i beduini palestinesi: demolite 47 case, cacciati in 300
Riccardo Noury 13 MAGGIO 2024
Da oltre dieci anni le autorità israeliane ricorrono a numerosi pretesti per sgomberare e segregare le comunità beduine palestinesi della regione del Negev/Naqab; dall’ampliamento delle autostrade alla costruzione di zone industriali, dalla creazione di foreste per il Fondo nazionale ebraico alla designazione di zone a uso esclusivo militare.
L’ultimo atto è andato in scena l’8 maggio, quando sono state demolite 47 abitazioni del quartiere di Abu Aissa, nel villaggio non riconosciuto di Wadi al-Khalil.
I primi ordini di demolizione erano stati emessi dalle autorità di pianificazione israeliane nel 2019 per far posto all’estensione del percorso dell’autostrada 6 verso sud. Le demolizioni dell’8 maggio, le più numerose in un solo giorno dopo quelle di al-Araqib nel 2010, hanno lasciato senza alloggio oltre 300 abitanti.
Jabr Abu Assa, uno degli abitanti rimasti senza casa a Wadi al-Khalil, ha dichiarato ad Amnesty International:
“Non possiamo fermare questo piano; l’autostrada 6 passerebbe sopra i nostri corpi indipendentemente da quanto resistiamo, quindi abbiamo chiesto alle autorità un’alternativa equa e giusta per trasferirci in un luogo dove possiamo vivere in pace e dignità, nel quartiere di Mtalla a Tall al-Sabe’. Tuttavia, l’unica opzione che ci è stata data è quella di trasferirci in un quartiere del vicino villaggio di Um al-Batin, dove i residenti locali hanno già detto di non avere spazio per noi e che non siamo i benvenuti; questo significa metterci contro di loro. Significa costringere noi e loro a lottare per le scarse risorse che sono appena sufficienti per loro”.
Jabr Abu Assa ha aggiunto che né lui né gli altri residenti le cui case e altre strutture sono state demolite hanno ricevuto alcuna forma di risarcimento.
Il 31 dicembre 2023 la Corte suprema israeliana aveva respinto l’ultimo appello dei residenti di Wadi Al-Khalil contro il loro trasferimento forzato a Umm al-Batin, permettendo così all’Autorità beduina per lo sviluppo e l’insediamento del Negev, un ente governativo che da tempo serve a consolidare il dominio e l’oppressione della comunità beduina, di decidere dove trasferire i residenti.
Hussein al-Rabaya’a, un attivista della comunità del Negev/Naqab, ha aggiunto:
“Qui non hai scelta: ti negano il riconoscimento poi decidono di spostarti, decidono dove andare e se protesti e chiedi un’alternativa equa, dicono che non spetta a te decidere il tuo destino”.
Queste le parole di un altro abitante sgomberato:
“Non sappiamo dove andare: non possiamo trasferirci a Umm al-Batin perché lì siamo indesiderati. Faremo quello che hanno fatto quelli di al-Araqib: monteremo una tenda sulle rovine delle nostre case demolite, non abbiamo altra scelta”.
Le demolizioni a Wadi al-Khalil sono state eseguite meno di un anno dopo che la Corte distrettuale israeliana aveva approvato lo sgombero forzato del villaggio non riconosciuto di Ras Jrabah per far posto all’espansione della vicina città ebraica di Dimona. Gli abitanti di Ras Jrabah sono tuttora impegnati in una battaglia legale contro la demolizione del loro villaggio.
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