NORDIO SPARA: “RISARCIRE CHI FINISCE SULLA GRATICOLA GIUDIZIARIA” da IL FATTO
Salvini assolto, Nordio spara: “Risarcire chi finisce sulla graticola giudiziaria”. Costa è già pronto: “Presto legge sui processi temerari”
Dopo la sentenza sul caso Open Arms, il ministro rilascia un’intervista al Messaggero e propone: “Risarcire gli errori del pm”. Il deputato di Forza Italia è d’accordo: “Ha ragione il guardasigilli, occorre intervenire”. Avs: “Allora paghino anche i ministri che sbagliano”
Giuseppe Pipitone | 22 Dicembre 2024
Non intervengono sulle querele temerarie, ma presto faranno una riforma per risarcire chi ha subito un processo temerario. È il curioso caso della politica italiana, da tempo immobile sulle Slapp (Strategic Lawsuits Against Public Participation, le azioni giudiziarie minatorie contro i giornalisti), ma pronto a un intervento per punire i magistrati che processano imputati poi assolti. La scusa per questa ennesima iniziativa legislativa anti toghe è l’assoluzione di Matteo Salvini al processo Open Arms. “Bisognerà pur pensare a risarcire le persone che finiscono nella graticola giudiziaria per anni, perdendo la salute, i risparmi, e magari il posto di lavoro, perché qualche pm non ha riflettuto sulle conseguenze della sua iniziativa avventata”, propone il ministro Carlo Nordio in una lunga intervista a Il Messaggero.
“Piano Gelli? Anche gli orologi rotti segnano l’ora giusta…” – Secondo il guardasigilli l’assoluzione di Salvini manda “un segnale plurimo“: “Il primo che abbiamo la stragrande maggioranza di magistrati preparati e coraggiosi, che applicano la legge prescindendo dalle loro idee politiche. Il secondo, che questo processo, fondato sul nulla, non si sarebbe nemmeno dovuto iniziare”. Non è chiaro perché, ma Nordio collega l’assoluzione di Salvini alla sua riforma sulla separazione delle carriere dei magistrati giudicata come “quella con più possibilità di arrivare in fondo e nei tempi più rapidi”. E a chi l’accusa di aver varato le riforme immaginate da Licio Gelli nel suo Piano di Rinascita democratica, il guardasigilli replica: “Rispetto a Gelli, anche un orologio rotto due volte al giorno segna l’ora giusta…”.
La proposta di legge – A parte il commento su Gelli, l’idea del ministro sul risarcimento agli assolti viene subito raccolta da Enrico Costa, recentemente tornato nei ranghi di Forza Italia e quindi formalmente nel centrodestra. “Lo Stato garantisce, neanche sempre, la riparazione per ingiusta detenzione a chi è stato arrestato ingiustamente. Ma a chi è stato assolto dopo aver subito una misura cautelare reale o personale come un sequestro o un interdizione dalla professione, o un divieto di dimora, subendo un danno grave, lo Stato non risarcisce nulla. Nulla anche a chi ha subito un processo temerario, che non doveva celebrarsi perché mancavano fin dall’inizio elementi per supportarlo”, scrive il deputato in una nota. Ma chi deve decidere se un processo non deve celebrarsi? Il gip o il Parlamento italiano? Costa non entra nel dettaglio, ma aggiunge: “Non subisce conseguenze di carriera il magistrato che sbaglia e non ottiene alcun risarcimento chi ha subito una misura cautelare ingiusta o un processo che non si sarebbe dovuto tenere. Un cittadino chiamato a rispondere in un procedimento penale, se ne esce da innocente è la stessa persona che era prima di entrare nell’ingranaggio giudiziario? Oggi assolutamente no. Ha ragione il ministro Nordio, occorre intervenire. A breve depositeremo una proposta di legge in questo senso”. Va ricordato che da esponente di Azione (e quindi quando era ancora tecnicamente dell’opposizione) Costa ha proposto il bavaglio sulla pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelari, poi approvato dalla maggioranza, peraltro in senso ancora più restrittivo. C’è dunque da scommettere che presto questa legge sui processi temerari vedrà la luce.
Salvini vuole che far pagare i giudici – Dopo la sentenza sul caso Open Arms, tra l’altro, il primo a invocare interventi immediati sui magistrati è stato l’ex imputato appena assolto. “Ora più che mai è urgente la riforma della giustizia. La responsabilità civile dei giudici che sbagliano e ne devono rispondere personalmente, la separazione delle carriere serve non a Matteo Salvini ma a 60 milioni di italiani”, ha ripetuto ancora una volta ancora una volta Salvini. “È la dimostrazione che fra i 9mila giudici ce ne siano di liberi, ma il fatto che io sia stato assolto in primo grado non significa che la giustizia non vada profondamente riformata, perché ogni anno mille italiani vengono ingiustamente incarcerati per errore e scarcerati dopo qualche mese o qualche anno con una pacca sulla spalla”, ha ribadito ancora il ministro dei Trasporti, nell’ennesima dichiarazione post assoluzione.
Avs: “Risarciscano anche i ministri che sbagliano” – Insomma: tra separazione delle carriere, responsabilità civile dei magistrati e legge contro i processi temerari si può dire che l’assoluzione di Salvini ha rilanciato ancora una volta la furia anti toghe del governo. “All’indomani della sentenza di Palermo la destra torna all’attacco contro una magistratura di cui non sopporta l’indipendenza”, dice Luana Zanella, capogruppo di Alleanza Verdi Sinistra alla Camera. “Il ministro Nordio, puntando il dito contro i giudici e sentenziando che chi sbaglia debba pagare, non ha specificato se questa valga anche per l’attuale categoria di sua appartenenza – aggiunge la parlamentare – Perché in tal caso un ministro che non ne azzecca una, all’indomani delle dimissioni del capo del Dap, Giovanni Russo, presumibilmente causate da dissidi con un sottosegretario, con una situazione disastrosa dei penitenziari italiani, di fronte ad un numero impressionante di suicidi tra i detenuti e finanche tra gli agenti della penitenziaria: ebbene, un ministro dovrebbe pagare per tutto questo?”. Di sicuro Nordio ha già causato almeno un risarcimento nella sua carriera di magistrato. Come ha raccontato Il Fatto Quotidiano, da pm a Venezia indagò lungamente sulle Coop rosse ma poi si dimenticò per quattro anni d’inviare il fascicolo a Roma per competenza. Nel 2006 gli ex segretari del Pds Achille Occhetto e Massimo D’Alema ottennero un risarcimento di 9mila euro a testa dalla corte d’appello de L’Aquila. Non si sa se poi il ministero abbia o meno chiesto denaro a Nordio. Intervistato all’epoca da L’Unità, il futuro ministro disse: “Non è detto che lo Stato mi chieda i soldi. Sono incerti del mestiere…”.
Open Arms-Salvini, Revelli: “Con le assoluzioni non si diventa santi e non c’è da scusarsi”
L’intervista – Il docente: “Le sentenze su Salvini e Renzi un pretesto per assaltare i magistrati”
Lorenzo Giarelli 23 Dicembre 2024
“Assoluzioni e proscioglimenti non sono pietre tombali sui comportamenti e non possono trasformare chiunque in santo”. Marco Revelli, politologo e saggista, riflette su un riflesso condizionato della politica: non appena qualcuno esce illeso da un’indagine, pretende che oltre alle ipotesi di reato spariscano anche le responsabilità morali, umane e, appunto, politiche. Il tema torna attuale col proscioglimento di Matteo Renzi e con l’assoluzione di Matteo Salvini, con una conseguenza ulteriore, per quanto paradossale dopo una decisione a proprio favore: “Sentenze come queste sono il perfetto pretesto per aprire la caccia contro il sistema giudiziario”.
Professor Revelli, Salvini ha ragione a rivendicare la politica dei cosiddetti porti chiusi?
Penso che l’assoluzione non cancelli il giudizio sulla sua politica. L’atto compiuto da Salvini, che non era altro che la punta dell’iceberg, resta inaccettabile dal punto di vista umano, morale e direi anche politico. Non entro nel merito della sentenza e vedremo le motivazioni, ma qui c’è una natura pre-giudiziaria che va al di là della sentenza e che non cambia. Se poi il nostro Paese non ha delle fattispecie giuridiche per le quali queste condotte non si inquadrano in un reato credo sia un grave problema per il Paese e mi chiedo che immagine diamo al resto del mondo.
Cosa contesta a Salvini?
La vicenda Open Arms era, appunto, la punta dell’iceberg di una volontà punitiva nei confronti di chi salva le vite in mare. Questo è uno dei comportamenti inaccettabili. Figurarsi se si tratta di qualcuno che va in giro brandendo il rosario. Con Salvini al Viminale c’era una prassi: un’ostentazione della crudeltà e della ferocia, come fossero valori politici. Assuefarsi a quella forma di crudeltà ritengo fosse una corruzione del costume nazionale. Era passato il messaggio che ci fossero vite che valgono meno di altre. Come se ci fossero vite da rispettare e altre che possono essere lasciate morire affogate in mare, che possono essere trattate come cose, per le quali è lecito indurre inutile sofferenza.
Anche Renzi esige le scuse dei suoi rivali. Certi giudizi devono essere rivisti?
Vorrei chiarire che le vicende di Renzi e Salvini vengono accomunate perché sono arrivate nell’arco di 24 ore, ma parliamo di situazioni che stanno su livello di gravità molto diversi. Un conto è vessare dei poveri cristi costringendoli in mare per diversi giorni, un altro sono i comportamenti di Renzi, che pure possono apparire scorretti. Anche nel caso dell’ex premier però c’è il malvezzo di pretendere di mettere una pietra tombale su questi comportamenti. C’è un giudizio civile e politico che resta e mi pare che gli elettori lo abbiano già esplicitato. Una sentenza di proscioglimento non trasforma chiunque in santo, invece mi pare sia un pretesto per andare all’assalto della magistratura.
Un paradosso: le assoluzioni dovrebbero dimostrare che i politici non hanno complotti da temere.
E però le sentenze di assoluzione prestano il fianco all’apertura della caccia al corpo giudiziario. Con Berlusconi è stata costruita un’articolata retorica sulla ingiudicabilità dei potenti e questa retorica è portata avanti dalla destra di oggi. L’obiettivo è avere una magistratura bonariamente indulgente con i potenti, mentre può benissimo sfogarsi con tutti gli altri.
Si riferisce, per esempio, alle leggi contro chi protesta per strada?
Un tempo si parlava di “giustizia di classe”, adesso forse è un’espressione un po’ fuori moda ma mi pare che sia ancora valida: un notabile ha meno da temere che un cafone qualsiasi.
Coop rosse, il flop di Nordio pagato dallo Stato
Richiesta di archiviazione dimenticata 4 anni – Procura Venezia. La caccia al tesoro illecito del Pci-Pds. Un’inchiesta buco nell’acqua rimasta aperta dal ’95 al 2004: Occhetto e D’Alema risarciti con 18 mila euro
Giuseppe Pietrobelli 23 Giugno 2023
Alla fine non si capisce se la mirabolante avventura giudiziaria del pm Carlo Nordio tra coop rosse e miliardi di lire asseritamente finiti nelle casse del Pci-Pds, sia stata come il viaggio di Alice in un mondo rovesciato o un onirico percorso di guerra nelle devastazioni della politica scoperte da Mani Pulite. Di sicuro il magistrato oggi ministro, aveva indossato l’elmetto foderato di codici e pandette, deciso a conquistare le macerie del Muro di Berlino a caccia di finanziamenti illeciti, convinto di aver scoperto il tesoro di D’Alema e Occhetto. L’epilogo non fu glorioso come tentò di far credere. La realtà è che aveva fatto un buco nell’acqua, dopo aver riempito i giornali di teoremi. Poi dimenticò per 4 anni il fascicolo in un cassetto e il Ministero fu condannato a rimborsare 9 mila euro ciascuno ai due ex segretari.
La cronistoria del fallimento comincia nel settembre 1995 con gli avvisi di garanzia per finanziamento illecito e ricettazione a Occhetto, D’Alema e Craxi. Tesi suggestiva: le bancarotte fraudolente delle coop erano pilotate per foraggiare Botteghe Oscure con “ingenti finanziamenti e contributi, allo stato non quantificabili”. Ecco “il dato incredibile delle somme erogate dalla sola Regione Veneto a queste cooperative decotte: trattasi di oltre 120 miliardi di lire!”. Mesi dopo, chiedendo una proroga, il pm dimostra astute certezze. “L’indagine non mira a provare che gli on. D’Alema, Occhetto e Craxi abbiano personalmente e direttamente percepito gli illeciti finanziamenti. Questa tesi puerile è sostenuta solo da chi ha interesse a smentirla. L’accusa è di aver presieduto a un sistema partitico finanziato in modo clandestino e illegale. Non si ipotizza che non potessero non sapere. Al contrario. Si sostiene che sapevano e volevano, perché il profitto illecito era il prodotto di una attività programmata, controllata e gestita anche da loro”.
Conclusione apodittica: “Occhetto e D’Alema, con il defunto on. Stefanini (Marcello, tesoriere del Pci, ndr) [erano] al corrente del flusso di risorse gestito da Fontana (presidente della Lega Coop Veneto, ndr), proveniente da gravi reati e destinato all’illecito finanziamento del partito, e che, in quanto massimi dirigenti, ne [sono] stati i percettori finali”.
Il “contrordine compagni” arriva l’11 novembre 1998 con la richiesta di archiviazione. Capolavoro argomentativo. “I bilanci e le scritture contabili delle coop sono assolutamente inattendibili”. Ce l’ha fatta? No, perché se c’è la distrazione di beni, “non è stato possibile per mancanza di documentazione risalire al beneficiario finale”. Altri punti fermi. “È stata acquisita una serie di indizi convergenti sulla diretta partecipazione di D’Alema e Occhetto alla gestione dei finanziamenti. È stata acquisita la prova che il Pci-Pds disponeva di persone di assoluta fiducia incaricate della gestione illegale attraverso l’occultamento all’estero di fondi e di un immenso patrimonio immobiliare gestito da prestanome”. Però “come questo patrimonio sia stato acquistato è impossibile dire”. Erano soldi coop? “La presunzione è fondata, ma non vi è la prova. È un formidabile riscontro all’ipotesi di una struttura economica occulta del Pci, ma manca il collegamento giuridico-formale”.
Il soldato Nordio si aggira in un deserto probatorio. Occhetto e D’Alema? “Non è stata raggiunta la prova. Non è dimostrabile che i dirigenti di partito abbiano dato un contributo causale alla deformazione dei bilanci. Il silenzio di Fontana impedisce la ricostruzione dei referenti, a monte e a valle”. Unica certezza: “Questo Ufficio non può surrogare il dettato della legge con presunzioni o convincimenti metagiuridici”. E per giustificare il buco nell’acqua l’allora pm scrisse: “È del tutto inaccettabile l’assioma che chi stava al vertice della struttura ‘non potesse non sapere’”, oppure “la presunzione di colpevolezza conseguente all’occupazione di una carica è un oltraggio ai canoni minimi di legalità: questo Ufficio la respinge con vigore”. Spente le luci della ribalta, inizia la seconda parte. Il 13 luglio 2000 il gip Vincenzo Santoro si dichiara incompetente ad archiviare e ordina a Nordio di mandare gli atti a Roma per competenza.
In un libro Bruno Vespa scrive che solo nell’autunno 2004 il fascicolo arriva nella Capitale. Il gip archivia subito, nove anni dopo gli avvisi di garanzia. I titoli di coda li ricorda l’avvocato Guido Calvi, difensore di Occhetto e D’Alema “Per quel ritardo nel 2006 la corte d’appello de L’Aquila liquidò 9 mila euro a Occhetto e altrettanti a D’Alema. Nordio non si presentò e non spiegò perché il fascicolo fosse rimasto fermo. Non sappiamo se il ministero si sia rivalso”. Intervistato all’epoca da L’Unità, il pm disse: “Non è detto che lo Stato mi chieda i soldi. Sono incerti del mestiere…”.
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