MA LA TERRA È UN PIANETA ABITABILE? da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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MA LA TERRA È UN PIANETA ABITABILE? da IL MANIFESTO

Ma la Terra è un pianeta abitabile?

Attenti ai dinosauri. La rubrica a cura della Task Force Natura e Lavoro

Enzo Pranzini  15.09.2021

Uragano Ida negli Stati Uniti e da noi, piccolo ma devastante, uragano a Pantelleria. Solo per citare i due rovesci d’acqua di cui nelle ultime settimane si è più parlato da noi ma tanti altri in zone a noi sconosciute non vengono nemmeno citati.

Uragani, alluvioni, frane, incendi, mareggiate, ondate di calore. “Ma la Terra è un pianeta abitabile?”, si chiederà chi la osserva da una galassia lontana. Non vedendo i singoli abitanti, andrà a cercare tracce di una eventuale civiltà certamente scomparsa e ne troverà sempre di più con lo sviluppo delle proprie tecnologie: un tempo si diceva che avrebbe visto per prima la Grande Muraglia Cinese, lunga quasi 9.000 chilometri, ora forse vedrà per prima l’area urbana di New York, che copre oltre 12.000 chilometri quadrati.

Ma prima o poi arriverà a vedere dei minuscoli esseri che si muovono affannosamente sulla superficie del pianeta e scoprirà che è proprio la loro attività che modifica in continuazione la faccia di questo lontano corpo celeste. Forse li chiamerà Terrestri, dopo aver scoperto che loro stessi chiamavano Terra quel granello di sabbia che girava intorno a quella stella insignificante.

Certamente dirà: “Guarda, si stanno dando un gran daffare per rendere quel pianeta abitabile!”. Sarà una buona lezione per loro lo scoprire, poco dopo, che tutto quel lavoro aveva l’effetto opposto: l’autoestinzione. Che tutto ciò almeno serva a quegli osservatori lontani!

Non sappiamo quale teoria geografica sia di moda in quel mondo, ma la lezione che gli impartiremo la influenzerà certamente.

Noi ci siamo dibattuti fra il Determinismo di Friedrich Ratzel (1844 –1904) e il Possibilismo di Paul Vidal de La Blache (1843- 1918). In modo semplicistico possiamo dire che il primo, che trova già accennato, fra gli altri, in Platone, Aristotele e Strabone, sosteneva che le attività umane, ed anche i governi e perfino le religioni, sono strettamente condizionate dall’ambiente esterno, con clima e morfologia quali fattori dominanti; mentre il secondo affermava che l’uomo, con le proprie capacità, può svilupparsi liberamente aldilà dei condizionamenti ambientali.

Questa dicotomia ha poi trovato mille sfumature e il dibattito si è fatto assai più complesso, anche perché più complesso è il mondo di oggi rispetto a quello che vedeva nascere queste teorie, ma rimarremo sui concetti estremi per rendere più chiaro il discorso.

L’esempio più frequente portato dai sostenitori del Determinismo contrapponeva l’arretratezza (!) dell’Africa allo sviluppo (!) dell’Europa, differenza secondo loro dovuta essenzialmente a ragioni climatiche. I possibilisti hanno avuto, in tempi successivi, buone carte da giocare con la coltivazione delle banane nelle serre islandesi riscaldate dai geyser e nella colonizzazione del deserto da parte degli Israeliani.

Inutile dire che il Determinismo ha costituito una solida base delle teorie razziste, ma si trovano anche esempi che fanno sorridere, pur portando anch’essi ad atteggiamenti pericolosi. Alcuni sostenevano la supremazia delle genti di pianura rispetto a quelle di montagna, perché le prime hanno davanti agli occhi vasti orizzonti che stimolano la fantasia e l’apertura mentale, mentre i secondi, con l’orizzonte chiuso dalle montagne, non sviluppano creatività e voglia di guardare lontano.

Non parliamo poi del caldo, che renderebbe le popolazioni fannullone; idea che ha portato a sviluppare una parte della climatologia, che potremmo definire del lavoro, per identificare i luoghi in cui costruire insediamenti produttivi garantendosi la massima efficacia degli operai.

Gli indici di comfort mettono a confronto la temperatura con l’umidità dell’aria, definendo quelle condizioni in cui l’uomo lavorerebbe più alacremente. Effettivamente nessuno metterebbe su una fabbrica dove c’è un clima afoso (molto caldo e molto umido), a meno che non sia un paradiso fiscale!

Guardandoci intorno non sembra facile affermare che il Possibilismo, nelle diverse sfumature, abbia quella validità che si è stati portati a riconoscergli, ed anche limitando l’osservazione al nostro Paese, molti sono i condizionamenti ambientali che avrebbero dovuto scoraggiare l’insediamento umano.

La competizione per allargare il proprio territorio e la ricerca di nicchie ecologiche libere ha sempre guidato la migrazione e l’espansione degli esseri viventi, ma guardando la storia umana, ed anche l’attualità, molto spesso ci si insedia dove ci è possibile, sfuggendo alla guerra, alla fame e alle malattie.

La pianure alluvionali costituiscono certamente siti ottimali per l’insediamento, facilità di trasporto, possibilità di coltivare, disponibilità dell’acqua. Ma ci sarà una ragione per la quale si chiamano “alluvionali”?

Le aree collinari e montane offrono opportunità di difesa militare ed energia idraulica, ma le geomorfologia ci insegna che appena un territorio si solleva è subito soggetto all’erosione, di cui le frane sono il processo più catastrofico.

Sulle coste abbiamo trovato condizioni climatiche ottimali, possibilità di scambi commerciali e, più recentemente, occasione di svago; ma il livello del mare si è abbassato e innalzato in continuazione e oggi, anche per colpa dell’uomo, s’innalza molto rapidamente.

Forse sarebbe possibile fare ricorso a tutto l’ingegno umano per tenere queste posizioni, ma sul lungo termine, con gli scenari del clima futuro, i costi saranno insostenibili e il Possibilismo premierà solo chi avrà le “possibilità” economiche, come di fatto sta già avvenendo oggi.

La visione deterministica spesso si sposa con quella evoluzionistica e gli insediamenti dell’uomo, la sua cultura e le sue istituzioni risentono anche delle variazioni del clima, che in tutti gli esseri viventi è un potente fattore di selezione naturale; ma è la prima volta che è il clima ad essere condizionato dall’uomo e quindi dobbiamo aspettarci una co-evoluzione uomo-clima.

Ma fra i due contendenti vi è una sostanziale differenza: al clima non interessa come cambierà e, in ogni caso, non si estinguerà; è l’uomo che rischia la propria sopravvivenza e, comunque, il proprio benessere.

Ecco che è necessario non solo difendersi dal clima avverso mitigandone gli effetti, ma anche valutare se tutte le aree che abbiamo occupato saranno abitabili in futuro; e l’alveo di un fiume, un versante instabile, il fianco di un vulcano e una costa che viene erosa non sono abitabili.

Ma ancor più importante è indirizzare l’evoluzione del clima verso condizioni che garantiscano l’abitabilità della maggiore estensione della superficie del pianeta.

Siamo riusciti a peggiorarlo, perché non dovremmo riuscire a migliorarlo? Questa sarebbe forse la migliore espressione del Possibilismo!

Commissione Ue: «Bisogna impedire che la crisi del clima vada fuori controllo»

Bruxelles: «Velocizzare la transizione, le energie rinnovabili economiche siano disponibili per tutti. Il rialzo dei prezzi dell’energia mentre si prova a uscire dal Covid

Anna Maria Merlo  15.09.2021

Uno spettro si aggira per l’Europa: i gilet gialli e il timore che il movimento di protesta esploso in Francia nell’autunno del 2018 a causa di un aumento di qualche centesimo del litro di benzina si estenda a tutto il continente. Il prezzo dell’energia è in aumento considerevole e le bollette delle famiglie sono destinate a una crescita esponenziale. Con il rischio di proteste che finiranno per bloccare il programma Ue di riduzione delle emissioni di Co2, il «Fitfor55», che prevede una riduzione del 55% dei gas a effetto serra entro il 2030, attraverso 13 proposte di legislazione nell’ambito del Green Deal.

«Non possiamo permetterci che la questione sociale finisca per contrapporsi a quella climatica» ha affermato ieri al Parlamento europeo il vice-presidente della Commissione incaricato delle questioni climatiche, Frans Timmermans. «Vedo chiaramente questa minaccia». La Commissione teme che i governi degli stati membri, spaventati dal malcontento dei cittadini e dal rischio di proteste, facciano passi indietro e rallentino il ritmo della riconversione energetica, bisogna «impedire che la crisi del clima vada fuori controllo».

La Commissione si è detta pronta a ridiscutere «le misure del Fitfor55» , per salvarne il contenuto, attivando la leva dei finanziamenti, per evitare che a pagare siano i più poveri. Timmermans, però, non intende indietreggiare e spinge per «velocizzare la transizione, di modo che siano disponibili per tutti energie rinnovabili economiche». Secondo Timmermans, «se avessimo fatto il Green Deal 5 anni fa, non saremo in questa situazione». Per il commissario, il rialzo del prezzo dell’energia dipende solo «per un quinto» dall’aumento del prezzo della tonnellata di Co2 (ormai supera i 50 euro) nel meccanismo di Emission Trading System in vigore, che ormai è stato esteso anche ai trasporti e all’edilizia. La Commissione ritiene comunque che il sistema attuale sia «migliore» di quello passato, quando l’energia era in mano a monopoli di stato, perché favorirebbe, assieme alla concorrenza, anche la transizione verso le rinnovabili.

Il rialzo dei prezzi dell’energia è la brutta sorpresa della ripresa economica dell’uscita dalla crisi del Covid. C’è maggiore domanda, mentre la produzione non segue. Il prezzo del gas si è moltiplicato di sei volte, è al livello più alto da vent’anni. Il petrolio è aumentato del 55% in un anno, quest’estate è arrivato a 75 dollari il barile, il presidente di TotalEnergies, Patrick Pouyanné, non esclude che possa arrivare a 100 dollari. Il costo del megaWatt/ora è arrivato a 80 euro, mentre era di 46 euro nel 2020.

Gli investimenti nel settore dell’energia fossile sono in diminuzione dal 2015, c’è carenza di materia prima. Il prezzo di «mercato» della tonnellata di Co2 è cresciuto, con lo scopo di rendere le energie fossili meno competitive. La Germania, malgrado la pressione degli Usa e lo scontento di parte dei partner europei, ha accelerato la conclusione della pipeline North Stream II nel mar Baltico, per importare gas dalla Russia, senza passare per l’Ucraina: l’attuale governo teme l’arrivo dei Grünen al potere, che potrebbero rimettere in causa la struttura e lasciare l’industria tedesca a corto di energia.

La Norvegia, che ha basato il suo benessere sul petrolio, si interroga. Francia e Gran Bretagna hanno deciso di abbandonare il carbone dal 2024. Ma Edf, la società di elettricità francese, che opera anche in Gran Bretagna, in questi giorni ha dovuto rimettere in funzione una centrale a carbone oltreManica, perché l’eolico è in difficoltà: manca il vento per far funzionare a pieno ritmo il parco al largo della Scozia e dell’Inghilterra, che dovrebbe fornire fino a un quarto dell’energia britannica. In Francia c’è il nucleare, ma c’è stata una riduzione da 58 a 56 reattori con la chiusura della più vecchia centrale del paese e sono in corso molti lavori di manutenzione.

Il 2030 è dietro l’angolo, la Ue è in ritardo nella riconversione e continua a rimandare la decisione sulla «tassonomia» delle energie: le lobby sono in piena attività per non far escludere il gas e il nucleare, come chiedono gli ambientalisti. Una ricerca di The Lancet Planetary Health, realizzata da università Usa, Gran Bretagna e Finlandia in 10 paesi (Francia, Gran Bretagna, Finlandia, Portogallo, Usa, Australia, Brasile, Nigeria, India, Filippine) rivela che il 59% dei giovani dai 16 ai 25 anni sono «molto» o «estremamente inquieti» per il clima e che addirittura il 45% vive ormai in uno stato di «ansia climatica».

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