L’ULTIMO GIORNO DI GAZA: L’EUROPA CONTRO IL GENOCIDIO da L’INIZIATIVA e IL FATTO
L’ultimo giorno di Gaza: l’Europa contro il genocidio
In concomitanza della Giornata dell’Europa, la mobilitazione per chiedere che le istituzioni Ue rompano il silenzio sulla guerra nella Striscia
Simona Ciaramitaro 9 maggio 2025
“Senza il mondo Gaza muore. Ed è altrettanto vero che senza Gaza siamo noi a morire. Noi, italiani, europei, umani. Per rompere il silenzio colpevole useremo la rete, che è il solo mezzo attraverso cui possiamo vedere Gaza, ascoltare Gaza, piangere Gaza. Perché possano partecipare tutte e tutti, anche solo per pochi minuti. Anche chi è prigioniero della sua casa, e della sua condizione: come i palestinesi, i palestinesi di Gaza lo sono. Perché almeno stavolta nessuna autorità e nessun commentatore allineato possa inventarsi violenze che occultino la violenza: quella fatta a Gaza”.
È il testo dell’appello “L’ultimo giorno di Gaza – L’Europa contro il genocidio” nel quale si promuove una mobilitazione in concomitanza del 9 maggio, la Giornata dell’Europa in cui si celebra il suo processo di unificazione. I promotori Paola Caridi, Claudia Durastanti, Micaela Frulli, Giuseppe Mazza, Tomaso Montanari, Francesco Pallante ed Evelina Santangelo chiedono di parlare di Gaza su siti web, canali video, social, nelle strade e nelle piazze, sempre con gli hashtag #ultimogiornodigaza e #gazalastday.
L’iniziativa vuole sensibilizzare l’opinione civile sulla crisi in atto nella Striscia ed evidenziare anche le grosse contraddizioni del ruolo e delle posizioni assunte dall’Unione europea. La giornalista e storica Paola Caridi, che ha vissuto a lungo in Medio Oriente, ci spiega ai nostri microfoni che l’idea è venuta ascoltando le persone nella dimensione pubblica, da parte di docenti e professionisti anche della parola.
“Le persone – dice – sono venute da noi a esprimere tutto il loro disagio, quello che noi chiamiamo il sussurro, fatto di sentimenti diversi, di inadeguatezza, anche nei confronti di quella che si percepisce come un’ingiustizia. In molti non si sentono preparati per rispondere, ma non vogliono rimanere in silenzio e quindi ci siamo chiesti come canalizzare il disagio che tutti proviamo.
Abbiamo quindi fatto questa lettera perché ci sembrava veramente l’ultimo giorno di Gaza che è non solo l’hashtag, ma l’idea che ci ha proposto Giuseppe Matta, un grande pubblicitario. Non è passato nemmeno un mese dalla prima riunione e le adesioni ricevute sono numerosissime”.
Quindi la prima ragione dell’appello è intercettare, dare voce ai senza potere. “La seconda riguarda noi europei – prosegue Caridi -. Di quale Europa parliamo è un tema su cui ci interroghiamo da anni, ora, di colpo, ci interroghiamo su questo perché pensiamo all’Ucraina, ma Gaza non è meno rilevante nella nostra storia. Non dimentichiamo che lì ha avuto sede una delle più grandi scuole teologiche dei primi secoli del cristianesimo e invece noi la consideriamo come un buco nero, perché questo è stata nell’informazione per almeno per 30 anni”.
Ma anche se non fosse stata sede di una storia teologica, la giornalista sottolinea che Gaza “è comunque un luogo dove sta avvenendo un genocidio e questo dovrebbe interrogare un’Europa che è nata e che ha le sue fondamenta su questioni fondamentali: diritti, libertà, ripudio della guerra, cultura della pace, uguaglianza, antirazzismo, antifascismo. Se noi non reagiamo su Gaza, non fermiamo la strage allora di quale Europa stiamo parlando? Di quella del riarmo? O di un’Europa che contenga tutti, anche chi non fa parte dell’Unione Europea, che contenga il nostro modo di pensare al presente, al futuro, al convivere”.
Chiunque può aderire alla campagna postando contenuti sui social con gli hashtag #GazaLastDay e #LUltimoGiornoDiGaza, cambiando l’immagine del profilo con grafiche simboliche legate alla campagna, scrivendo post personali o condividendo testimonianze e informazioni verificate su quanto accade a Gaza e con molte altre attività anche nelle piazze italiane.
“Gaza è ‘sacrificabile’: l’Occidente colpevole del genocidio in corso”
Riccardo Antoniucci 10 Maggio 2025
“Urge una nuova Norimberga per evitare che la dottrina atroce israeliana venga esportata”
ANew York, mercoledì, Rula Jebreal ha presentato il documentario di Zeteo News, il media progressista Usa fondato dal podcaster Mehdi Hasan, che sull’uccisione della giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh a Jenin, da parte di cecchino israeliano nel 2022. L’inchiesta rivela per la prima volta il nome del soldato che si ritiene abbia sparato: il comandante Alon Scagio, morto nel 2024 per una bomba piazzata per strada. In Italia è appena uscito l’ultimo libro di Jebreal su Gaza, con un titolo netto: Genocidio. “L’uccisione di Shireen era già il segnale che Israele è disinteressato alla legalità internazionale. Mi stupisce l’assenza di condanna da parte dei miei colleghi”.
L’uso del termine genocidio per l’offensiva israeliana è dibattuto. Perché lo ha scelto?
Lo usano i più importanti esperti dell’Olocausto e giuristi internazionali, anche ebrei: Raz Segal, Amos Goldberg, Omer Bartov, Daniel Blatman, Aryeh Neier fondatore di Human Rights Watch, Amnesty International, il giurista franco-israeliano Omer Shatz. Se ci fosse un sondaggio mondiale, la maggior parte della popolazione direbbe che quello a cui stiamo assistendo da 19 mesi non è una guerra, ma un genocidio in mondovisione. Bisognerebbe scandalizzarsi invece per la reticenza dell’Occidente democratico, che continua ad armare e sostenere Israele. Il genocidio dei palestinesi è occidentale-israeliano. Quando l’establishment se ne renderà conto, probabilmente non ci saranno più palestinesi a Gaza.
Ha ancora speranza per i palestinesi?
Con enorme dolore penso che noi non sopravviveremo, perché l’Occidente ha deciso che siamo sacrificabili. L’hanno deciso Trump, la cancelleria tedesca, il parlamento europeo quando ha rifiutato di discutere dell’attentato contro la nave della Freedom Flotilla al largo di Malta. Spero ancora, però, che si faccia qualcosa per salvare il diritto internazionale, perché distruggere la legalità internazionale significa distruggere la democrazia, tornare alla legge della giungla. E mi stupisce che gli europei non muovano un dito.
Conosce la società israeliana per biografia, cosa pensa di come racconta la guerra?
Credo che Netanyahu e il governo di estrema destra siano riusciti a convincere gli israeliani che possono convivere con i pogrom dei palestinesi, già da prima del 7 ottobre.
Negli Usa invece esiste un dibattito, ma vediamo anche a episodi di repressione dei manifestanti filo-palestinesi, alcuni espulsi…
Il 68% degli americani è contro la guerra e contro l’invio di armi a Israele. I democratici hanno tradito la loro base. Un sondaggio di YouGov ha dimostrato che il 29% dei 9 milioni di americani che avevano votato Joe Biden nel 2020 e non hanno votato Kamala Harris nel 2024 lo ha fatto per Gaza. Biden ha continuato ad armare e finanziare Israele fino alla fine, è un criminale assoluto, complice del genocidio a Gaza.
Racconti di aver scelto il giornalismo dopo l’eccidio di Sabra e Shatila, per difendere la legalità internazionale. Lo credi ancora?
Senza dubbio. Quei trattati e convenzioni ratificati e faticosamente sanciti dopo la seconda guerra mondiale rappresentavano l’idea di un sistema di garanzie fondamentali anche per chi non aveva gli arsenali nucleari. A Gaza urge una nuova Norimberga per impedire che la dottrina barbarica di Israele si normalizzi e sia esportata altrove. Dopo Sabra e Shatila Ronald Reagan chiamò l’allora premier israeliano Begin e minacciò di tagliare i rapporti diplomatici e militari se non avesse ‘fermato l’olocausto a Beirut’. Trump e Biden non hanno mai fatto questa chiamata, né i rappresentanti dell’Ue. Non ci rendiamo conto di quanto il sud globale sia disgustato dall’Occidente: vedono il diritto internazionale come un’arma usata contro di loro.
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