LIBANO, L’IRAN HA DATO DI FATTO VIA LIBERA A ISRAELE da IL FATTO e IL MANIFESTO
Libano, l’Iran ha di fatto dato via libera a Israele
Alessandro Orsini 27 Settembre 2024
Il Libano è stato investito dai bombardamenti israeliani. I civili libanesi uccisi sono più di 500, inclusi moltissimi bambini. L’obiettivo d’Israele è di costringere Hezbollah ad abbandonare il sud del Libano per ritirarsi fino al fiume Litani. Tra il fiume Litani e il confine israeliano ci sono circa 29 km. Questo dovrebbe consentire a Netanyahu di ricondurre circa quarantamila civili israeliani nelle loro abitazioni verso il confine con il Libano. Il problema è che Hezbollah dispone di un missile supersonico che può colpire oltre i 300 km. Sto parlando del missile russo P-800 Oniks. Ciò implica che l’eventuale ritiro fino al fiume Litani consentirebbe ugualmente a Hezbollah di bombardare la Galilea. Dunque, a Israele non basta che Hezbollah accetti di ritirarsi oltre il Litani. È anche necessario che Hezbollah accetti un cessate il fuoco. Accadrà?
Quasi tutto dipende dalle decisioni dell’Iran, che non sembra avere alcuna voglia di entrare in guerra con gli Stati Uniti e Israele. Al momento, Hezbollah è solo contro Israele. Questo è un gran problema per Nasrallah che deve predisporsi a resistere. D’altra parte, la resistenza è la vera natura di Hezbollah, nato nel 1982 per resistere all’occupazione israeliana del Libano. Oggi come allora, Hezbollah non ha i mezzi per vincere una guerra contro Israele e imporgli le sue condizioni. Da una parte, Hezbollah non ha la dotazione militare per sconfiggere Netanyahu (i missili non bastano); dall’altra, il Libano è in una condizione economica disperata e, quindi, Hezbollah non può estrarre dal Libano le risorse per combattere una guerra vittoriosa contro Israele. Hezbollah può resistere, ma non può vincere e sconfiggere. Non c’è niente che Hezbollah possa imporre a Israele. Israele, invece, si trova in una posizione più favorevole. Nemmeno Israele può vincere e sconfiggere Hezbollah, ma può ottenere il suo ritiro dal sud del Libano ed, eventualmente, un cessate il fuoco mediato dall’Onu quando, speriamo mai, le devastazioni uguaglieranno quelle di Gaza.
Molti si domandano come Netanyahu abbia potuto decidere di invadere il Libano nonostante le critiche per l’invasione di Gaza. In primo luogo, le critiche contro Israele non sono accompagnate da misure punitive. Israele non ha pagato nessun prezzo per il genocidio a Gaza. La Casa Bianca e i principali governi dell’Unione europea hanno continuato ad armarlo e a proteggerlo. Ma la vera spinta all’invasione del Libano è provenuta dall’Iran. Nel momento in cui l’Iran ha deciso di non reagire all’assassinio sul suo territorio del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, Netanyahu ha capito di avere luce verde. Rinunciando a una massiccia ritorsione, l’Iran ha dimostrato di non avere deterrenza su Israele. Israele ha ucciso Haniyeh a Teheran per capire se l’Iran ne avesse una. La risposta è stata: “Nessuna deterrenza”. La deterrenza è la capacità di dissuadere un individuo dal compiere un’azione per paura di una punizione. Netanyahu ha pensato che se può realizzare un attentato a Teheran senza subire conseguenze, allora può invadere il Libano serenamente. In questo senso, la morte di Haniyeh è stata una pietra tombale per il Libano, che adesso fronteggia una catastrofe smisurata.
In sede di analisi dei rapporti di forza, che cosa può fare Hezbollah a Israele? Hezbollah potrebbe devastare Israele con i suoi 150.000 missili, ma non potrebbe reggere lo sforzo bellico sul medio-lungo periodo. A differenza d’Israele, che può devastare il Libano potendo reggere lo sforzo bellico all’infinito, grazie al sostegno economico e militare che riceve dalla Casa Bianca e dall’Unione europea. Nessuno si stupisca: Israele è la più importante base militare degli Stati Uniti in Medio Oriente. Questa realtà è offuscata dallo scontro dialettico tra Biden e Netanyahu. Nonostante i dissapori con il premier israeliano, Biden non abbandonerebbe mai una base americana ai suoi nemici. A ciò si aggiunga che Israele controlla i cieli completamente. I rapporti di forza sono sbilanciati in favore d’Israele.
Apparentemente, il meglio che Hezbollah possa fare è accettare questa realtà per preservare la popolazione civile. La perdita per Hezbollah, in caso di ripiegamento fino al Litani, non sarebbe così grave. Nasrallah rimarrebbe in possesso dei missili che possono devastare Israele evitando la devastazione del Libano. A Nasrallah converrebbe accettare il ritiro fino al Litani in cambio dell’arresto immediato dell’attacco israeliano. Ma gli abitanti di Gaza rimarrebbero
tragicamente soli contro Israele, difesi da nessuno. Netanyahu punta proprio a questo: separare Hezbollah da Hamas. Vuole ottenere il cessate il fuoco con il primo per bombardare meglio il secondo.
Le trappole e gli inganni di Netanyahu
Di cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah da parte di Tel Aviv non se ne parla neppure. «Andremo avanti fino il vittoria», dice Netanyahu che non teme di certo […]
Alberto Negri 27/09/2024
Di cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah da parte di Tel Aviv non se ne parla neppure. «Andremo avanti fino il vittoria», dice Netanyahu che non teme di certo l’ira di Biden ma casomai del suo ministro della sicurezza Itamar Ben Gvir.
Che è il capo del partito di estrema destra Otzma Yehudit, che ieri ha minacciato di lasciare il governo – e quindi di farlo cadere – se il premier israeliano accettasse la proposta di cessate il fuoco americana e francese.
Primo dilemma risolto: la pace può attendere. L’obiettivo primario di Netanyahu, che oggi parla alle Nazioni Unite, è restare al potere a qualunque costo proseguendo il conflitto a Gaza e quello contro Hezbollah e il Libano. Lo farà con questa coalizione di sionisti radicali fino a quando potrà: nei suoi piani c’è quello di aspettare l’insediamento del prossimo presidente americano, nel gennaio 2025. Il massacro di Hamas del 7 ottobre 2023 gli ha consentito di proseguire la sua carriera politica e di sfuggire alla giustizia, oltre ogni previsione.
In tutto questo non solo sta trascinando Israele e il Medio Oriente verso un conflitto più ampio ma ha gettato il discredito sull’amministrazione americana rimandando indietro più volte, con ogni scusa possibile, il piano Biden per una tregua. Il segretario di stato Blinken è stato trattato da lui come un postino, tanto è vero che qualche giorno fa ha lasciato la regione alla svelta. In questo frangente si è avuta un’altra conferma di chi decide davvero tra Tel Aviv e Washington.
Bisogna essere chiari: gli Usa, come avviene da anni, sono i suoi complici più importanti. Il 23 agosto scorso hanno deciso di dare a Tel Aviv altri 20 miliardi di dollari di aiuti militari tra cui 50 caccia bombardieri F-15. E si deve essere ancora più espliciti: tra il suo preferito Trump – colui che ha riconosciuto la sovranità israeliana sul Golan e spostato l’ambasciata Usa a Gerusalemme – e la democratica Kamala Harris, attuale vicepresidente, per Netanyahu non c’è troppa differenza.
L’amministrazione democratica ha soddisfatto tutte le richieste di aiuti militari, ha accettato l’espansione delle colonie in Cisgiordania (con flebili proteste) e ha lasciato che decine di migliaia di coloni venissero armati dall’ esercito israeliano come ammesso dallo stesso capo dello Shin Bet. Quanto al Libano la mediazione Usa tra Israele e Hezbollah si è materializzata nel nominare come “inviato di pace” Amos Hochstein, cittadino Usa ma ex ufficiale dell’esercito israeliano, che questa stessa amministrazione aveva in precedenza incaricato nel 2021 di far saltare (diplomaticamente) il gasdotto North Stream tra Russia e Germania (sabotato come poi è stato nei fatti). Ogni commento è superfluo: con Hochstein è come avere messo la volpe nel pollaio.
Secondo dilemma di Netanyahu: far ritornare 60mila israeliani nei villaggi dell’Alta Galilea e l’invasione di terra del Libano. Israele ha invaso il Libano nel 1978 e nel 1982, poi ha lasciato nel 2000 la “fascia di sicurezza” in Libano e il confine è tracciato dalla Linea Blu dove ci sono i soldati Onu della missione Unifil (tra questi 1000 italiani). Con la guerra del 2006 tra Israele e Hezbollah Israele ha riprovato a penetrare in Libano ma nonostante 28 giorni di bombardamenti devastanti sul Paese dei cedri le truppe ebraiche sono state fermate sulla linea di Bint Jabayl.
Per far rientrare i profughi israeliani al Nord i comandi israeliani puntano sull’arretramento di Hezbollah e della sua artiglieria oltre il fiume Litani. L’invasione di terra avrebbe questo obiettivo. Ma non è detto che funzioni. In primo luogo Hezbollah è un’organizzazione di guerriglia addestrata e sperimentata (Siria, Iraq, Yemen) e le truppe israeliane potrebbero restare impantanate. In secondo luogo i bombardamenti israeliani di questi giorni hanno prodotto centinaia di migliaia di profughi fuggiti verso Beirut, la valle della Bekaa e anche verso la Siria. Lo scenario sta diventando sempre più drammatico e complicato.
Il Libano conta poco più di cinque milioni di abitanti, i profughi, in gran parte dalla Siria, sono 1,5 milioni, in pratica una persona su quattro è un rifugiato (i palestinesi sono 400mila): un’invasione massiccia significa combattere in un enorme campo profughi. Si può delineare un catastrofe militare e politica. Per questo anche gli esperti israeliani parlano di operazioni di terra “mirate” ma ripetute.
E veniamo al terzo dilemma di Netanyahu che è anche il nostro. Il premier oggi davanti all’Onu, come ha fatto in tutti questi vent’anni al potere, ribadirà che il vero nemico è l’Iran. Il premier sta provando in ogni modo a far entrare Teheran in un conflitto diretto con Israele in modo da provocare l’intervento degli Stati uniti a fianco dello stato ebraico. E un intervento americano significa anche la mobilitazione degli alleati degli Usa fuori e dentro la regione.
È la “grande guerra” che sognano i più estremisti dei sionisti per regolare i conti in Medio Oriente. Ma come dimostra anche il recente passato non solo nessun conflitto ha risolto i problemi della regione ma al contrario ha aperto il vaso di Pandora del caos e della distruzione (Afghanistan, Iraq, Siria, Libia). La “grande guerra” si deciderà, forse, con l’uscita di scena di Biden, un addio che in Medio Oriente non lascia rimpianti ma neppure molte speranze.
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