LETTERE da IL FATTO
ILFATTO 13/01/2025
Affari e politica, ormai siamo al capolinea Credo imprescindibile tentare di capire quanto sta succedendo nei cuore dell’Impero, analizzare a fondo la profondità “dell’evento” che abbiamo di fronte, al fine di trarne tutte le implicazioni necessariamente strategiche. E, dunque, apprezzare se e quanto siano obsolete le categorie politiche con cui finora, dal Novecento in poi, guardavamo alle vicende del mondo e su cui fondavamo la lotta per la liberazione dell’umanità. A rischio, anche, di azzardare previsioni che un domani potrebbero rivelarsi fantapolitica. A mio avviso, con la presa del potere da parte del duo Musk-Trump siamo ben oltre alla consolidata commistione tra affari e politica, siamo al contrario all’apice della privatizzazione dello Stato, un fatto inedito storicamente, da quando secoli fa è venuto a cadere lo Stato patrimoniale (Luigi XIV : “L’Etat c’est moi”). Non è casuale che gli altri Grandi delle piattaforme (da Zuckerberg a Bezos), di ascendenze partitico-elettorali democratiche, si siano associate a Musk: a dire il vero, sembra il caso di tutta o quasi la Silicon Valley. Il tutto, al di là della conclamata e disturbata personalità del Padrone (di Space X e di tanto altro), significa, tradotto in volgare, la condivisione con lo Stato, con uno Stato adeguatamente “ridotto ”, di una personalità, in testa alle grandi corporations, di una dimensione esplicitamente “politica”, e dunque cogente. Insomma, a mio giudizio, siamo alla tendenziale fine dell’autosufficienza della “sfera Stato”, del suo monopolio, ma senza che ciò significhi (anzi!) un minore grado di oppressione. Che si possano dare in futuro configurazioni di stampa neo-feudale in presenza del modo di produzione capitalistico non mi sembra una contraddizione, un’impossibilità: qualcuno ha già caratterizzato in tal senso l’attuale regime oligarchico russo. Ma altri con maggiore competenza e titolo potranno dire la loro su questo punto dirimente. È evidente che lo sbigottimento dei liberaldemocratici (“ma come siamo arrivati a questo punto?”) e gli accorati appelli a unirsi per difendere una democrazia ormai evaporata grazie soprattutto alla loro solerte azione governativa, stanno a zero, costituiscono penosi quanto impotenti lai di fronte a una realtà insospettata. Ma, che dire di noi, che fondavamo l’azione politica sulla presunzione del progresso. Sullo Stato di diritto, borghese sì ma su cui attraverso la lotta era possibile far leva per democratizzare la società ed i poteri (le vie nazionali al socialismo ecc.)? La domanda vale per chi è impegnato a pensare la rivoluzione, a chi si schiera sul fronte anticapitalista. Non ovviamente per la socialdemocrazia che a questo punto risulta del tutto fuori gioco, politicamente inesistente: una prece!
GIACOMO CASARINO
LA CADUTA DEL MURO e il conseguente disfacimento dell’Unione Sovietica, hanno sancito il fallimento del “Sistema Socialista” che per una settantina di anni si era opposto al “Sistema Capitalista”. Un tale evento avrebbe dovuto far terminare ogni forma di ostilità tra le Nazioni e, di conseguenza, far estinguere le guerre. Se così non è stato (anzi!), vuol dire che anche il sistema vigente ha fallito. Viviamo in un Mondo dove gli esseri umani non sono riusciti a darsi un modello di società capace di mettere il benessere dell’Uomo (inteso come specie) come obiettivo unico. In un sistema dove l’unico scopo di ogni attività è il mero e arido “Pro f i t to” è inevitabile che alla fine si arriverà al disastro definitivo.
MAURO CHIOSTRI
ATENEO VE(NE)TO. L’Ateneo Veneto, prestigiosa istituzione culturale veneziana, ha annullato l’evento di Amnesty International per la presentazione di un dossier che denuncia il “genocidio” nella Striscia di Gaza da parte dello Stato di Israele. Il motivo? Il possibile verificarsi di “interventi esterni che potrebbero turbare il sereno e corretto svolgimento”. Un comunicato del Comitato di presidenza informa del passo indietro, naturalmente senza attribuirlo alla dura presa di posizione della comunità ebraica di Venezia di qualche giorno fa. Il presidente Dario Calimani aveva scritto ai vertici dell’Ateneo: “Si poteva riflettere meglio sull’opportunità di dare ospitalità a posizioni da sempre preconcette e preconfezionate, come quelle di Amnesty. Su quanto sta accadendo in Israele e a Gaza si possono (non pare proprio, ndr) avere le idee più disparate e opposte, altro è fare propaganda demagogica di tipo terzomondista con un linguaggio che è quello della tifoseria, senza preoccuparsi di proporre uno sguardo storico complessivo a una tragedia che coinvolge tutti gli attori sulla s ce n a ”. Tutto questo accade nella settimana in cui, secondo uno studio di Lancet, i dati sui morti a Gaza diffusi dal ministero della Salute controllato da Hamas, sono sottostimati di almeno il 40%: calcolo che fa crescere il numero delle vittime oltre le 70mila. Alla fine l’incontro, partecipatissimo tanto che sono state necessarie due sale, è stato ospitato a Ca’ Foscari. Non gratis però: dal titolo è stata tolta la parola “genocidio”. Come è noto il Sudafrica ha presentato una denuncia contro Israele per “genocidio” alla Corte internazionale di giustizia: se le istituzioni culturali hanno paura delle “co n te s t a z i o n i ” (nel caso dell’Ateneo veneto) e delle parole (l’Università), se si sottraggono al confronto delle idee, a cosa diavolo servono?
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