L’ECOANSAIA E IL SISTEMA CHE LA PRODUCE da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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L’ECOANSAIA E IL SISTEMA CHE LA PRODUCE da IL MANIFESTO e IL FATTO

L’ecoansia e il sistema che la produce

COMMENTI. Il nostro timore del disastro ambientale è sano e necessario. È molto preoccupante che in tanti non lo avvertono, rifugiandosi nel diniego o in un ottimismo superficiale

Sarantis Thanopulos  08/08/2023

Il termine “ecoansia” è poco rigoroso sul piano scientifico se lo si usa per designare una condizione di malessere psichico individuale clinicamente significativo. Rende bene, tuttavia, l’allarme collettivo provocato dal deterioramento climatico e dalla percezione dell’irreversibilità del danno finora fatto. Come accade in tutte le situazioni di forte disagio della collettività, questo allarme alimenta le ansie presenti in noi e anche le tendenze depressive. Al tempo stesso ci offre un oggetto riconoscibile di paura che svolge una funzione (precaria) di contenimento di angosce inconsce. Esiste il rischio reale che sia trattato come disturbo psichiatrico, cioè come problema del singolo individuo da curare con i farmaci o con interventi psicologici mirati. L’idea che si possa fare fronte al disagio emotivo che la nostra società instancabilmente produce, senza rimuoverne le cause, ma ricorrendo a dispositivi ansiolitici e antidepressivi, è pervasiva.

Il nostro timore del disastro ambientale è sano e necessario. È molto preoccupante che in tanti non lo avvertono, rifugiandosi nel diniego o in un ottimismo superficiale. Sarebbe auspicabile che esso evolvesse in senso “tragico”, che producesse phobos e eleos: il primo di questi sentimenti è la profonda inquietudine, prossima al terrore, che sconvolge il nostro mondo interno, attivando in noi una consapevolezza non eludibile dei nostri errori; il secondo è la compassione nei confronti della nostra umana miseria che ci aiuta a non chiuderci nel giudizio morale o nell’autocommiserazione e ci consente di rivivere l’amore nei confronti degli altri e di noi stessi. I due sentimenti tragici rimettono in gioco la nostra umanità tormentata, attivano il senso della sua mancanza e sbloccano il desiderio per la vita (neutralizzato dall’assoggettamento al bisogno che ricorre il sollievo e l’oblio) senza il quale le catastrofi non sono riparate.

Abitiamo, purtroppo, in uno spazio anti-tragico – il regno di ogni psicosi collettiva – e ne dobbiamo diventare consci. La globalizzazione selvaggia che ci sta imprigionando sempre di più nella sua gabbia, mossa da un’unica spinta incontrollabile, l’accumulo oligarchico di ricchezza, non conosce il senso della misura e perverte il senso di responsabilità in calcolo preventivo e predeterminante di ogni nostro pensiero e di ogni nostra azione.

La paura se non evolve attraverso i dispositivi tragici (l’elaborazione del dolore e del lutto) in una trasformazione profonda del proprio modo di sentire, pensare e vedere, resta dissociata dal desiderio e inevitabilmente anche dalla ragionevolezza. Produce forte destabilizzazione psichica (perché si trova priva di soluzioni valide e di contenimento) e diventa angoscia. L’attenzione non è più rivolta al pericolo esterno, ma al pericolo interno: la perdita di coerenza della rappresentazione della realtà e di sé stessi. Si ricorre a schemi mentali e comportamentali del tutto impropri, ma capaci di scaricare la tensione interna, che puntualmente, prima o poi, sfociano in azioni sconsiderate.

L’ecoansia può essere usata per distrarci da ciò che c’è dietro la catastrofe ambientale: un ordine mondiale irragionevole, insieme uniformante e anarchico, producente precarietà affettiva, politica e economica e una grave dissoluzione delle relazioni umane. Bisogna spezzare la tenaglia che formano da una parte la conduzione oligarchica/totalitaria delle sorti dell’umanità e, dall’altra, la precarietà e la destabilizzazione psichica che essa senza posa produce.

La nostra condizione attuale è del cane che si morde la coda: la negligenza crea rovine e ansia e l’ansia crea nuova negligenza e rovine. Abbiamo di fronte a noi un importante impegno politico che sarebbe disastroso mancare. Combattere il sistema che produce precarietà e anche la cultura che lo sostiene: l’anestesia psichica e il diniego della realtà mediante la costruzione di mondi artificiali.

 

Rifiuti: Gli errori del Tar sull’inceneritore a Roma

 

GIANFRANCO AMENDOLA  8 AGOSTO 2023

Alcuni giorni fa il TAR Lazio (sent. n. 12165/23) ha dichiarato “destituiti di fondamento” i numerosi e corposi ricorsi presentati contro la realizzazione di un termovalorizzatore da 600.000 t/anno per i rifiuti di Roma. La motivazione di questa bocciatura è racchiusa in poche righe e si basa solo sulla sentenza della Corte Europea di giustizia (n. 305) che nel 2019 ha avallato il decreto “sblocca Italia” di Renzi il quale qualificava gli inceneritori “infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale”. In entrambi i casi, infatti, si discuteva soprattutto della conformità dei termovalorizzatori alla “gerarchia dei rifiuti” elaborata dalla Unione europea la quale si propone “l’obiettivo principale di stabilire un ordine di priorità che riduca al minimo gli effetti nocivi sull’ambiente e ottimizzi l’efficienza delle risorse nella prevenzione e nella gestione dei rifiuti”, stabilendo che al primo posto c’è la prevenzione (il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto), al secondo il riutilizzo e il riciclaggio, al terzo i termovalorizzatori e all’ultimo lo smaltimento “bruto” nell’ambiente attraverso discariche ed inceneritori senza recupero di energia. Il TAR, quindi, in base a questa sentenza, deduceva che “è con riferimento al complesso delle normative e degli atti di pianificazione della gestione dell’intero ciclo dei rifiuti che deve apprezzarsi e valutarsi il rispetto dei criteri direttivi eurounitari”, tanto più che “la gerarchia dei rifiuti costituisce un obiettivo che lascia agli Stati membri un margine di discrezionalità, non obbligando questi ultimi a optare per una specifica soluzione”. Ma la sentenza della Corte, in realtà, dice esattamente il contrario. Essa, infatti, precisa che “il fatto che una normativa nazionale qualifichi gli impianti di incenerimento dei rifiuti come ‘infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale’ non significa che il legislatore nazionale abbia ritenuto di non seguire le indicazioni derivanti dal principio della ‘gerarchia dei rifiuti’, quale previsto dalla direttiva rifiuti”. Aggiungendo che “il fatto che una normativa nazionale qualifichi gli impianti di incenerimento dei rifiuti come ‘prioritari’ non può significare che le relative operazioni di trattamento (…) si vedano attribuire un qualsiasi grado di priorità rispetto alle altre operazioni di prevenzione e gestione dei rifiuti”. Insomma, prima prevenzione e riciclo e poi, come opzioni residuali, termovalorizzazione e discariche. Così come la Corte precisa che come stabilito dalla direttiva sui rifiuti, ci si possa discostare da queste priorità solo “per rifiuti di flussi specifici” e solo qualora “ciò sia giustificato dall’impostazione in termini di ciclo di vita in relazione agli impatti complessivi della produzione e della gestione di tali rifiuti”.

Ma di queste affermazioni e precisazioni non si trova traccia nella sentenza del TAR, la quale, da un lato, senza una vera motivazione, mette nel nulla tutta la normativa, comunitaria e nazionale, in tema di gerarchia dei rifiuti, e dall’altro sancisce, chiamandola “discrezionale”, una totale libertà di manovra di cui non vengono specificati i limiti. Né nella sentenza si trova traccia della importante Comunicazione del 26 gennaio 2017 in cui la Commissione UE evidenzia con tutta chiarezza che la termovalorizzazione, nella gerarchia comunitaria dei rifiuti, viene solo accettata come “male minore” rispetto allo smaltimento “bruto”, e solo in caso di insufficienza delle prime due opzioni. Tanto è vero che, ai fini della transizione ecologica e del PNRR, la tassonomia Ue non la include tra le tecnologie che prevengono i cambiamenti climatici; e anzi, secondo le linee guida della Commissione, l’incenerimento dei rifiuti è considerato, comunque, “un’attività che arreca un danno significativo all’ambiente”.

Peraltro, bisogna notare che la sentenza, pur ritenendo correttamente che il rispetto della gerarchia comunitaria va valutato alla luce del “complesso delle normative e degli atti di pianificazione della gestione dell’intero ciclo dei rifiuti”, tuttavia neppure accenna a compiere questa valutazione. Eppure il piano previsto per i rifiuti romani “si pone in palese contrasto con il principio di gerarchia nella gestione dei rifiuti, in quanto incentrato sulla previsione della realizzazione di un termovalorizzatore dimensionato sul volume di 600.000 tonnellate annue, che cumulate con quelle del termovalorizzatore in esercizio di San Vittore, profilano una soluzione relativa complessivamente a 800.000 tonnellate annue, ossia poco meno della metà della produzione di rifiuti attuale pari a 1.690.000 t/a. e circa all’80% di rifiuti da gestire nello stato di fatto”. Dove appare di solare evidenza che, proprio alla luce della situazione complessiva relativa ai rifiuti romani, il termovalorizzatore di 600.000 t/anno, contrariamente ai dettami comunitari, non è affatto visto come opzione residuale ma come soluzione principale. Né compie alcuna valutazione rispetto al piano rifiuti previsto per Roma (che pure viene riportato). In conclusione, a nostro sommesso avviso il TAR Lazio, con questa sentenza, ha eluso la questione sostanziale di merito e cioè la legittimità della scelta di un termovalorizzatore da 600.000 t/anno, adottata senza prima dettare norme per limitare all’origine la formazione di rifiuti e senza verificare il presupposto necessario per il riciclaggio, e cioè una corretta ed efficiente raccolta differenziata (che a Roma registra punte di caduta vergognose). Solo dopo aver attuato a pieno queste scelte prioritarie, infatti, si potrà pensare a termovalorizzatori e discariche.

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