LE BUGIE DEI ISRAELE CONTRO I DUE STATI da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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LE BUGIE DEI ISRAELE CONTRO I DUE STATI da IL FATTO

Le bugie di Israele contro i due Stati

La scusa e i vantaggi – Netanyahu & C. sostengono che la soluzione li metterebbe in pericolo: è esattamente il contrario. Ma così si ridurrebbe il controllo (e lo sfruttamento) esercitato sui palestinesi

Jeffrey Sachs e Sybil Fares  10 Ottobre 2024

Israele rifiuta la soluzione a due Stati perché sostiene che uno Stato sovrano della Palestina metterebbe in pericolo la sicurezza nazionale di Israele.

In realtà, è proprio la mancanza di una soluzione a due Stati a metterla in pericolo. L’occupazione illegale da parte di Israele delle terre palestinesi, il suo continuo regime di apartheid su milioni di palestinesi e la sua violenza estrema nel difendere tale regime, mettono a rischio la sopravvivenza di Israele, che si trova a dover affrontare gravi minacce derivanti dall’isolamento diplomatico globale e dalla guerra in corso, comprese le enormi spese economiche, sociali e finanziarie del conflitto.

Ci sono tre motivi per l’opposizione di Israele alla soluzione a due Stati, che riflettono una varietà di ideologie e interessi nella società israeliana.

Il primo è l’assunto che i palestinesi e il mondo arabo non possano convivere con Israele e che desiderino solo distruggerlo. Il secondo è la credenza diffusa tra i nazionalisti religiosi che Dio abbia promesso agli ebrei la terra che va dall’Eufrate al Mediterraneo, compresa l’intera Palestina. Abbiamo già descritto questa ideologia in un precedente articolo sottolineando come essa sia 2.600 anni fuori tempo. Il terzo motivo è il guadagno materiale diretto. Con l’occupazione, Israele mira a trarre profitto dal controllo sulle risorse idriche dolci della regione, sulle zone costiere, sui giacimenti di gas naturale offshore, sulle destinazioni turistiche e sulle terre per gli insediamenti.

Tutti questi motivi si intrecciano nella persistente intransigenza di Israele. Ma presi singolarmente o nel loro insieme, non giustificano l’opposizione di Israele alla soluzione a due Stati, certamente non dalla prospettiva del diritto internazionale e della giustizia, né rispetto alla sicurezza o agli interessi economici di Israele.

Analizziamo l’affermazione di Israele sulla sicurezza nazionale, riportata da Netanyahu all’Onu il 27 settembre. Il premier ha accusato l’Autorità Palestinese, e specificamente il presidente Mahmoud Abbas, di condurre una “guerra diplomatica incessante contro il diritto di Israele a esistere e contro il diritto di Israele a difendersi”.

Dopo il discorso di Netanyahu, Ayman Safadi, ministro degli Affari Esteri della Giordania, in piedi accanto al primo ministro palestinese Mohammad Mustafa, ha risposto in conferenza stampa: “Tutti noi nel mondo arabo vogliamo una pace in cui Israele viva in pace e sicurezza con tutti i paesi arabi nel contesto della fine dell’occupazione, del ritiro dai territori arabi e consentendo l’emergere di uno Stato palestinese indipendente e sovrano, secondo le linee del 4 giugno 1967, con Gerusalemme Est come capitale”. Safadi, insieme al primo ministro palestinese, ha articolato una proposta di pace della regione, un’alternativa alle guerre senza fine di Netanyahu. La Dichiarazione del Bahrein (maggio 2024) della 33ª Sessione Ordinaria del Consiglio della Lega degli Stati Arabi ribadiva: “Chiediamo alla comunità internazionale di assumersi le proprie responsabilità per proseguire gli sforzi volti a far avanzare il processo di pace, per raggiungere una pace giusta e completa basata sulla soluzione a due Stati, che rappresenti uno Stato palestinese indipendente con Gerusalemme Est come capitale, sulle linee del 4 giugno 1967, in grado di vivere in sicurezza e pace accanto a Israele, in conformità con le risoluzioni della legittimità internazionale e dei riferimenti stabiliti, compresa l’Iniziativa Araba per la Pace”.

(…) Israele sostiene poi che, anche se gli Stati arabi e l’Iran vogliono la pace, Hamas non la vuole. Ma Hamas ha accettato la soluzione a due Stati già 7 anni fa, nella Carta del 2017. “Hamas considera l’istituzione di uno Stato palestinese completamente sovrano e indipendente, con Gerusalemme come capitale, secondo le linee del 4 giugno 1967, con il ritorno dei rifugiati e degli sfollati alle case da cui sono stati espulsi, come formula di consenso nazionale”. E anche quest’anno Hamas ha proposto di disarmarsi in cambio della statualità palestinese sui confini del 1967. Di contro, Israele ha assassinato Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas e negoziatore per il cessate il fuoco.

Secondo punto: Hamas, lungi dall’essere un attore autonomo, dipende da fondi e armi esterne, in particolare dall’Iran. L’attuazione della soluzione a due Stati sotto gli auspici del Consiglio di Sicurezza Onu includerebbe il disarmo degli attori non statali e accordi reciproci sulla sicurezza, in linea con il diritto internazionale e con la recente sentenza della Corte Internazionale di Giustizia (Icj), che l’Iran ha votato all’Onu.

La prova che Hamas sia una scusa, e non una causa dell’intransigenza israeliana, sta nel fatto che Netanyahu ha supportato Hamas negli anni con una strategia del tipo divide et impera. L’inganno di Netanyahu è stato prevenire l’unità delle diverse fazioni politiche palestinesi per ostacolare l’Autorità palestinese nello sviluppo di un piano nazionale per forgiare uno Stato palestinese.

Israele e i suoi sostenitori affermano spesso che il fallimento di Camp David del 2000 dimostra che i palestinesi rifiutano la soluzione a due Stati. Anche questa affermazione non è corretta. Come documentato da molti, i negoziati di Camp David fallirono a causa dell’approccio tardivo del presidente Bill Clinton combinato col mancato coraggio politico dell’allora premier israeliano Ehud Barak nel non onorare gli obblighi ai sensi degli Accordi di Oslo.

Clinton si comportò da intermediario disonesto, così come i negoziatori statunitensi, palesemente pro-Israele, che rifiutarono di riconoscere il diritto legale della Palestina ai confini (del 4 giugno 1967) e tergiversarono riguardo al diritto della Palestina alla sua capitale a Gerusalemme Est. L’“offerta finale” non garantì i diritti fondamentali ai palestinesi né fu dato loro tempo per deliberare e rispondere con proposte alternative. I palestinesi furono poi falsamente accusati da americani e israeliani del fallimento dei negoziati.

Israele persiste nella sua intransigenza perché crede di avere il sostegno incondizionato degli Usa. Attraverso decenni di grandi contributi elettorali e una assidua attività di lobbying, il gruppo pro-Israele non solo controlla i voti del Congresso, ma ha anche collocato sionisti estremisti nelle posizioni chiave in ogni amministrazione. Tuttavia, a causa della brutalità in Palestina e in Libano, il gruppo pro-Israele ha perso la sua capacità di controllare la narrativa e i voti nella società americana.

Trump, Biden e Netanyahu hanno creduto che Israele potesse “avere tutto” – una Grande Israele e la pace con gli Stati arabi bloccando al tempo stesso uno Stato palestinese – attraverso un processo di normalizzazione mediato dagli Usa. Gli Accordi di Abramo dovevano essere il modello per normalizzare le relazioni tra Israele e il Regno dell’Arabia Saudita. Questo approccio è sempre stato cinico, ma ora appare sicuramente illusorio.

(…) Una soluzione a due Stati non è semplicemente un ideale; è l’unico percorso praticabile per garantire la sicurezza a lungo termine della Palestina, di Israele e della regione. Cicli incontrollati di escalation fuori controllo sono i mattoni di guerre più ampie. Lo stiamo verificando in Libano. La pace non può essere costruita sulla base dell’occupazione e del risentimento; la vera sicurezza per Israele deriverà dal riconoscimento dei diritti legittimi del popolo palestinese.

(…) Gli elementi pratici della pace sono a portata di mano. Gli Usa possono salvare la regione da un’imminente conflagrazione e il mondo da una possibile guerra globale tra grandi potenze. Washington dovrebbe abbandonare il veto all’adesione della Palestina all’Onu e sostenere l’attuazione della soluzione dei due Stati sotto gli auspici del Consiglio di Sicurezza, con l’applicazione della sicurezza reciproca sulla base della giustizia e del diritto internazionale.

https://www.commondreams.org/opinion/israel-two-state-solution
(Traduzione di Miriam Mirolla)

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