LA TRANSIZIONE VERDE ORA È UNA FARSA: ECCO COME RENDERLA VERA da IL FATTO
La transizione verde ora è una farsa: ecco come renderla vera
Due libri, stesso tema – Le rinnovabili si stanno solo aggiungendo alle fonti fossili. Servono due cose perché le sostituiscano: smontare il mercato elettrico liberalizzato e un deciso taglio dei consumi
Giuliano Garavini 19 Agosto 2024
La crisi climatica che stiamo sperimentando in questa estate infuocata può essere così semplificata. Le emissioni di CO2 sono la causa principale del riscaldamento atmosferico. Le fonti energetiche fossili sono la principale causa dell’aumento delle emissioni di CO2. L’utilizzo di fonti fossili per la generazione elettrica è la principale voce delle emissioni di CO2. Dunque: “decarbonizzare” il settore della generazione elettrica è il cuore della sfida ecologica. Inoltre, per ridurre le emissioni delle utenze domestiche, dell’industria e dei trasporti, gli altri settori più inquinanti, bisogna elettrificare ulteriormente il sistema.
Ma come decarbonizzare la generazione elettrica? Il nucleare è stabile da tempo, tendenzialmente in declino. L’idroelettrico non sembra avere prospettive rosee, sia perché i maggiori bacini idrici sono già stati sfruttati, sia perché il riscaldamento globale ne mette a rischio la tenuta. Non resta che affidarsi a un esponenziale aumento della produzione di energia da fonte rinnovabile: eolico e, soprattutto, solare. La buona notizia è che il solare e l’eolico sono in impetuosa crescita, specialmente in Cina, che nel 2023 valeva il 63% delle aggiunte nette mondiali di capacità rinnovabile (298 GW di un totale di 473 GW). L’altra buona notizia è che i costi di produzione di energia rinnovabile (levelized cost of energy) sono tendenzialmente più bassi di quelli da fonte fossile.
Ma queste luci brillano meno rispetto ai nuvoloni che si affollano all’orizzonte. Già da oggi la produzione elettrica da rinnovabili dovrebbe sostituirsi a quella da fossile, ma nel mondo, e soprattutto in Cina, la costruzione di centrali elettriche a carbone e gas non si ferma. A livello globale, assieme alla crescita del Pil, aumentano anche i consumi di elettricità e le rinnovabili non riescono a sostituirsi alle fossili. Le rinnovabili scalano la montagna, ma la montagna dei consumi energetici diventa sempre più alta.
Due libri recenti aiutano a spiegare il “paradosso delle rinnovabili” che, pur facendo bene, non mettono al riparo dalla drammatica emergenza ambientale. Il primo libro del geografo economico Brett Christophers è una sofisticata disamina dell’economia delle rinnovabili. Christophers smonta il mito secondo cui le rinnovabili prenderanno il sopravvento per via del loro vantaggioso costo di produzione di elettricità. Con la liberalizzazione del settore elettrico partita negli anni 90 si è creato nel mondo occidentale, e specie nell’Ue, un mercato fondato sulla separazione fra generazione e trasmissione che mette in competizione tra di loro i produttori.
La conseguenza è un mercato elettrico basato sul prezzo spot, altamente instabile. Per la natura delle rinnovabili, la cui erogazione è discontinua, che spesso sono collocate in zone lontane da quelle di consumo, con operatori soggetti ad una competizione “cannibale”, i margini di profitto attesi dagli investitori sono bassi e molto incerti. Da qui la necessità di sostenere gli investimenti in rinnovabili con incentivi vari, tra cui la garanzia di prezzi di vendita stabili o detassazione degli investimenti, in modo da offrire ritorni sugli investimenti per quanto possibile sicuri. Che la (pur insufficiente) crescita delle rinnovabili sia indissolubilmente legata al sostegno pubblico è ampiamente dimostrato dal pur insufficiente piano verde americano chiamato Inflation Reduction Act, dal massiccio supporto del governo cinese al settore, a non dire del fatto che quando nel 2022 le società petrolifere europee hanno accumulato i profitti più alti della loro storia recente si sono ben guardate dall’investire in rinnovabili, preferendo ricomprare azioni e distribuire dividendi.
Il libro dello storico francese Jean-Baptiste Fressoz spiega invece che lo stesso concetto di “transizione energetica” è il portato di un’ideologia che ha preso il sopravvento negli anni 70, per reagire alla crisi petrolifera, senza voler modificare in profondità il modello di sviluppo. Questa ideologia “fasista” immaginava la transizione tra diverse fonti energetiche. Eppure dall’inizio della rivoluzione industriale le fonti energetiche si sono aggiunte l’una all’altra in modo simbiotico: il petrolio non si è sostituito al carbone, il gas non si è sostituito al petrolio, il nucleare e le rinnovabili non stanno sostituendo le fossili. Ogni anno la Cina consuma più carbone di quanto ne abbia consumato la Francia in tutta la sua storia, mentre gli Usa del presidente George Bush consumavano quattro volte il carbone di quelli di Roosevelt. Fressoz, forzando un poco, sostiene che la transizione è un’invenzione della tecnoscienza e del capitale finanziario per sviare dall’obiettivo prioritario: una modifica radicale del modello di crescita, con una riduzione strutturale dei consumi energetici.
I due libri presi assieme suggeriscono due delle principali soluzioni per una transizione vera (e cioè sostitutiva delle fossili) verso le rinnovabili. La prima è riportare il settore elettrico al suo assetto di servizio pubblico (quello previsto dalla nostra Costituzione e prevalente in Europa prima delle privatizzazioni): un servizio che va erogato in modo efficiente, pulito ed economico a cittadini ed imprese, indipendentemente dalla sua redditività e in base ai reali bisogni dei consumatori.
Nell’Ue questo implica smantellare la legislazione nata negli anni 90 e che ha impedito investimenti nell’innovazione di lungo periodo, reso l’Ue eccessivamente dipendente dal gas russo (che garantiva profitti più alti per gli operatori) e fatto lievitare i prezzi dell’energia per famiglie e imprese più dell’inflazione. Non solo: ha anche clamorosamente fallito alla prova della crisi energetica del 2022, quando sono serviti mille miliardi di euro di sussidi pubblici per evitare il collasso economico e sociale.
La seconda soluzione per una transizione vera è che all’ideologia del Pil se ne sostituisca una basata sul soddisfacimento dei bisogni, sulla sobrietà e la riduzione dei consumi, sulla pianificazione ecologica: in sostanza un’ideologia della post-crescita, in cui il mondo più industrializzato riduca progressivamente alcuni consumi in favore del mondo meno industrializzato, pur assicurando ai cittadini il soddisfacimento dei loro bisogni primari. Ripubblicizzazione del settore energetico e post-crescita sono i due pilastri di una transizione energetica che porti ad emissioni nette di CO2 azzerate nel 2050. L’altra strada è lasciare che le devastazioni ambientali generate dal riscaldamento globale, le migrazioni climatiche, la siccità, i costi sempre più alti dell’energia continuino a seguire questo trend inesorabile e, infine, intollerabile.
No Comments