LA TASSA DEI RICCHI COSTA AI POVERI 50 MILIARDI da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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LA TASSA DEI RICCHI COSTA AI POVERI 50 MILIARDI da IL MANIFESTO

Colpire la concentrazione della ricchezza

VERITÀ NASCOSTE. Dagli anni della deregulation, sponsorizzata politicamente da Reagan e Thatcher, la democrazia ha rinunciato progressivamente alla sua più importante funzione e legittimazione: la redistribuzione della ricchezza, la lotta contro le iniquità e la regolazione degli scambi

Sarantis Thanopulos  13/08/2022

La concentrazione attuale della ricchezza nelle mani degli oligarchi di tutto il pianeta è a un livello maggiore rispetto a quello dell’epoca dei grandi predatori capitalisti tra la fine del Diciannovesimo e la prima parte del Ventesimo secolo. A partire dagli anni della deregulation, sponsorizzata politicamente da Reagan e Thatcher – i due celebri distruttori dei legami sociali, culturali e politici considerati statisti – la democrazia ha rinunciato progressivamente alla sua più importante funzione e legittimazione: la redistribuzione della ricchezza, la lotta contro le iniquità e la regolazione degli scambi.

La predazione dei beni comuni nei nostri giorni non è solo un’immane violenza. È soprattutto un rischio concreto per la sopravvivenza della specie umana. Poiché percepiamo l’evidenza di ogni grave pericolo che ci inquieta in termini di “catastrofismo” (di modo che siamo lesti a spostare altrove il nostro sguardo), non ci è sufficientemente chiaro che siamo ridotti a dover lottare non per la libertà e la giustizia, ma per non sparire dalla terra.

Certo, se non creiamo una società giusta spariremo, ma è importante capire che la trasformazione della società in senso paritario e inclusivo, non è più un ideale da raggiungere in un futuro imprecisato: è diventata una dura necessità che non ammette dilazioni. A furia di obliare l’appagamento dei nostri desideri – che richiede tempo sufficiente per creare relazioni affettive, erotiche e culturali tra di noi e renderle feconde e appaganti (da cos’altro possiamo ricavare piacere e significato per la nostra vita?) – siamo oppressi da una frustrazione permanente che ci rende ottusi e di cui non sappiamo liberarci. Sta a noi curare la frustrazione eliminando la causa della sua produzione o continuare ad affidarci al mercato della sedazione e perire obnubilati. La concentrazione della ricchezza è il fattore principale della frustrazione del desiderio e della ragione che minaccia il nostro destino.

La globalizzazione dei mercati l’ha favorita enormemente. Alle infinite possibilità di espansione della speculazione finanziaria non corrispondono capacità politiche di regolazione adeguate, perché non esiste una globalizzazione politica basata sui comuni interessi degli esseri umani. Frutto di un’organizzazione economica selvaggia, la ricchezza smisurata di pochissimi ha un enorme potere omologante sul modo di vivere di tutti: uniforma silenziosamente la psiche collettiva alla psicologia dei plutocrati. L’accumulo illimitato di beni è totalmente dissociato da qualsiasi beneficio materiale o psichico a cui chi ne è proprietario possa aspirare. Privo di ogni significato di “mezzo” questo accumulo è “fine” in se stesso.

Chi lo insegue è oltre l’onnipotenza narcisistica e la sete di un potere decisionale diretto o indiretto sulla vita degli altri. Ci trascina nel campo di un’alienazione senza argini in cui la performance (il sempre di più, la rincorsa folle della quantità usata come antidepressivo per far fronte a un’esistenza senza qualità, insensata) diventa la regola psichica dominante.

Il mondo in cui viviamo non è governato da nessuno e gli automi che depredano il nostro presente e il nostro futuro (avendoci tolto memoria e desiderio) lo stanno rendendo ogni giorno più ingovernabile. La distruzione della natura, la povertà massiccia della popolazione mondiale, la precarietà delle relazioni private e pubbliche che non risparmia nessuno, le guerre sempre più vicine a una catastrofe irreparabile globale, parlano chiaramente di un’inversione del cammino dell’umanità che va di pari passo con il trionfo della plutocrazia.

La democrazia non è ancora un guscio vuoto e il suo potenziale di reazione e di presa sulle coscienze resta forte. Ma la visione d’insieme dell’interesse comune di cui solo essa è capace ha un nemico mortale nella plutocrazia. A questo parassita si deve togliere la deregulation, il suo terreno di cultura.

La tassa dei ricchi costa ai poveri 50 miliardi

FISCO . Oltre l’80% degli elettori avrebbe un minimo vantaggio, a fronte di un sicuro danno economico. La misura costa 50 mld, che andrebbero stornati dalla spesa pubblica. Ai contribuenti con un reddito fra 29 e 50 mila sarebbe riservato un beneficio medio di 2.500 euro l’anno. Quelli con 50 mila euro (2,3 milioni) 13.000 euro l’anno

Pino Ippolito Armino  13/08/2022

La destra guadagna da sempre consensi fra l’elettorato cavalcando il tema fiscale. Ora Berlusconi ha promesso l’introduzione di una tassa piatta (flat tax) al 23% e Salvini si è addirittura spinto al 15%. Una furbizia che fa leva sul naturale desiderio di chi paga le tasse di pagarne sempre meno e, se possibile, di non pagarne affatto. Ma è davvero così e, soprattutto, a chi giova?

Lasciamo perdere la fanfaronata salviniana e concentriamoci sulla promessa, già rodomontesca, fatta dal leader di Forza Italia. Sono 18,3 milioni i contribuenti italiani che, dichiarando un reddito sino a 15 mila euro, non otterrebbero alcun beneficio dall’introduzione della tassa piatta perché l’aliquota fiscale cui sono soggetti i loro redditi è già fissata al 23%. Gli elettori chiamati al voto e residenti in Italia sono circa 46,1 milioni e questo vuol dire che vi sono altri 4,9 milioni di italiani che, non dichiarando redditi, risultano neutri nei confronti di questa misura. In totale, a conti fatti, il 50,4% degli elettori italiani dovrebbe mostrare indifferenza verso la proposta berlusconiana.

I contribuenti che dichiarano un reddito fra i 15 e i 29 mila euro sono 14,3 milioni. A loro andrebbe un beneficio medio di 250 euro l’anno, circa 20 euro al mese (basato su dati Mef 2021 relativi all’anno d’imposta 2020). In complesso, dunque, oltre l’80% degli elettori non conseguirebbe che un modestissimo vantaggio fiscale. Al contrario ne avrebbe, viceversa, un sicuro danno economico. Il costo dell’introduzione di questa misura è, infatti, di quasi 50 miliardi di euro che andrebbero stornati dalla spesa dello stato. La legge di bilancio 2022 prevede una spesa corrente (al netto degli interessi) di circa 593 miliardi di euro.

Sottrarne 50 vuol dire ridurla dell’8,5%. Le principali voci di spesa sono previdenza, assistenza, salute, istruzione. È su queste, dunque, che bisognerebbe incidere. Siamo sicuri che il 50% degli elettori voglia meno previdenza e assistenza pubblica, più sanità e istruzione privata in cambio di niente? O che lo voglia il 30% degli elettori per ricavarne 20 euro al mese in più in busta paga?

Al contrario i contribuenti che dichiarano un reddito fra 29 e 50 mila euro sono 6,3 milioni. A loro sarebbe riservato un beneficio medio di 2.500 euro l’anno. I contribuenti, infine, che dichiarano un reddito superiore a 50 mila euro sono 2,3 milioni. Per quest’ultimi il guadagno sarebbe di 13.000 euro l’anno. Ecco a cosa servirebbe ridurre il bilancio dello stato. Servirebbe a incrementare sensibilmente il reddito di 8,6 milioni di italiani che rappresentano meno del 20% dell’elettorato. A scapito dei percettori dei redditi più bassi che più degli altri attingono alla spesa sociale.

In definitiva si trasferirebbero 50 miliardi di euro dalle tasche dei meno abbienti a quelle dei contribuenti più ricchi. Si potrebbe al più comprendere l’interesse verso la tassa piatta da parte di un elettore italiano su cinque ma non si comprende affatto perché debba essere accolta con favore dai quattro quinti dell’elettorato per i quali sarebbe soltanto un danno.

Ad Aristotele attribuiamo la paternità della nozione di sillogismo scientifico in base al quale si può partire da una premessa maggiore, ad esempio l’uomo è un animale razionale (definizione dovuta allo stesso filosofo), e da una minore, l’elettore è un uomo, per concludere che l’elettore è un animale razionale. Così certamente è ma l’elettore va informato perché possa esercitare la sua razionalità senza farsi prendere per il naso da una destra scaltra e socialmente iniqua.

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