LA POLITICA E IL CAPITALE. CHI COMANDA NEGLI USA? da IL MANIFESTO e IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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LA POLITICA E IL CAPITALE. CHI COMANDA NEGLI USA? da IL MANIFESTO e IL FATTO

La politica e il capitale. Chi comanda negli Usa?

Trump e i mercati Manca, anche nella “più grande democrazia del mondo”, la costruzione di una forza di opposizione che non si accontenti del conflitto tra destra politica e destra economica

Filippo Barbera  11/04/2025

Donald Trump “sospende” i dazi per novanta giorni e i mercati finanziari reagiscono al rialzo. Gli “spiriti animali” tornano a ruggire, i listini ancora aperti assorbono il farmaco miracoloso e schizzano all’insù. Gli altri seguiranno. Una vittoria per l’economia mondiale o, almeno, una tregua per un sistema economico globale in affanno, schiacciato tra la necessità di cambiamento e la ricerca del minimo rischio.

Rimane fermo l’obiettivo americano puntato sulla Cina, con l’asticella dei dazi che si alza e chiama una risposta da Pechino, senza intravedere la fine perché non c’è nulla di più facile e disastroso della ritorsione reciproca. Come con una sostanza stupefacente, se ne chiede sempre di più. Lo scontro prosegue anche sul piano militare, con avvisaglie di minaccia reciproche. Con la tensione che cresce, i due unici veri contendenti globali non fanno nulla per nascondere la linea Maginot, oltre la quale non c’è che la guerra. Tregua fragile e passeggera, quindi.

Anche una delle persone più potenti del mondo – circondato da altri potenti – deve piegare la testa davanti alla reazione della finanza. La tregua dei novanta giorni ci dice prima di tutto che, ancora una volta, sulla politica comandano i mercati finanziari. Non serve o non aiuta il ricordo della foto con i super ricchi schierati come picchetto d’onore al cospetto del neo-eletto Trump.

Il capitale finanziario non ha amici, solo interessi ed esigenze di accumulazione, legate a singoli e gruppi che teorizzano e praticano esplicitamente il superamento della democrazia. La politica, se serve, si usa. In caso contrario la si fa tornare nei ranghi, magari permettendole di salvare la faccia grazie a più intense sanzioni contro la Cina. Il capitale tecno-finanziario nutre la forza della politica e, se crede, gliela può togliere.

Anche quando la continuità tra destra economica e destra politica è cristallina, quasi antropologica, anche quando i riferimenti culturali della nuova élite predatoria paiono più che condivisi e trasversali da Donald Trump, fino a Elon Musk, Peter Thiel e Jeff Bezos, gli interessi oggettivi sono in ultima istanza determinanti.

Non c’è da gioirne. Un marxismo rovesciato, dove il motore ultimo della storia diventa la finanza, invece della classe universale. La destra politica è sconfitta solo dalla destra economica. Non è la prima volta e, per certo, non sarà l’ultima.
Accadde, qui in Italia, anche con Berlusconi. La narrazione pubblica che la destra utilizza per ingraziarsi un ceto medio e popolare arrabbiato (“i dazi ci proteggono”) non può permettersi il passaggio all’atto. L’azione deve rimanere un fantasma, un non-agito declamato senza intermediazioni di sorta, inconsistente ed etereo, ma privo di reali conseguenze per il dominio del capitale tecno-finanziario.

Le decisioni di politica economica possono tagliare la sanità, mettere a rischio i diritti elementari, buttare per strada migliaia di persone, attaccare le Università. Ma non possono mettere a repentaglio i meccanismi finanziari.

Devono rivolgersi contro i deboli, non contro i più forti. Sono puri vocabolari di motivi utilizzati nell’arena pubblica per posizionarsi, identificarsi e riconoscere, creare confini e appartenenze.

Il sovranismo trumpiano mostra qui tutto il suo connotato di classe. L’azione, quella vera e che lo slogan politico “Make America Great Again” dovrebbe premettere, deve rimanere inespressa. Non perché, appunto, tema la reazione popolare o quella organizzata da una stanca opposizione che appare priva di orizzonte strategico.

Le proteste nelle città americane, da sole, non avrebbero raggiunto il medesimo effetto dei mercati finanziari. I comizi di Bernie Sanders nelle piazze sarebbero stati ignorati o repressi. Pura liturgia, priva di dottrina e visione. Sono stati i mercati finanziari a dettare la riscrittura dell’agenda politica di Trump. Manca, anche nella “più grande democrazia del mondo”, la costruzione di una forza di opposizione politica che non si accontenti del conflitto tra destra politica e destra economica. Non una bella notizia, per noi e per la democrazia.

Trump e Biden: la stessa sindrome di superiorità

 Alessandro Orsini  11 Aprile 2025

La guerra dei dazi di Trump contro la Cina per il predominio sui mercati presenta un’analogia importante con la guerra di Biden contro la Russia per il predominio sull’Ucraina. In entrambi i casi, il fattore culturale gioca un ruolo centrale.
L’assorbimento dell’Ucraina nella Nato, avviato dalla Casa Bianca, si basava sul presupposto ottimistico della debolezza della Russia. Nella visione di Biden, se la Nato avesse condotto tre esercitazioni militari in Ucraina nell’estate 2021, la Russia non avrebbe avuto la forza, né il coraggio, di invaderla. In caso contrario, Biden era convinto che avrebbe distrutto la Russia usando gli ucraini. In sintesi, la mente di Biden concepiva due scenari. Scenario numero uno: “La Nato assorbe l’Ucraina e la Russia sta a guardare”. Scenario numero due: “La Russia invade e viene sconfitta”.
A causa dei complessi di superiorità dell’Occidente, i grandi media hanno aderito a questo ottimismo: un ottimismo radicato nella cultura coloniale dell’Europa dell’Ottocento, secondo cui la “civiltà bianca” è superiore a tutte le altre e non conosce rivali. Sotto il profilo dell’analisi culturale comparata, la documentazione scritta mostra che Corriere della SeraRepubblicaLa StampaLiberoil Foglio e il Giornale, si sono lanciati nella guerra in Ucraina con la stessa esaltazione e lo stesso ottimismo con cui l’Italia si lanciò alla conquista dell’Etiopia sotto Mussolini nel 1935. Il presupposto psicologico-sociale è lo stesso: “Noi siamo la civiltà superiore e possiamo espanderci dappertutto piazzando le nostre armi in ogni angolo del mondo”.

Le conseguenze di questo complesso di superiorità sono davanti agli occhi di tutti: l’Ucraina è stata distrutta e la Nato è stata umiliata. L’Ucraina ha combattuto una guerra terribile per entrare nella Nato, ma non entrerà nella Nato. Ha combattuto per entrare nell’Unione europea, ma non entrerà nell’Unione europea. Ha combattuto per preservare la propria integrità territoriale, ma sarà smembrata e perderà le sue regioni più ricche e strategiche. Ha combattuto per difendere la propria indipendenza, ma adesso è sottoposta alla doppia sferza padronale di Russia e Stati Uniti che spolpano le sue risorse.
Il complesso di superiorità di Trump verso la Cina è lo stesso di Biden verso la Russia. Biden non ha voluto riconoscere che la Russia è una superpotenza militare e Trump non vuole riconoscere che la Cina è una superpotenza economica. Il presupposto ottimistico della guerra dei dazi di Trump contro la Cina è che la Cina piegherà la testa facendosi umiliare. Ma è difficile che accada per una ragione oggettiva e una ragione soggettiva. La ragione oggettiva è che la Cina è la seconda economia del mondo o forse la prima. La ragione soggettiva, invece, ha a che vedere con la guerra per Taiwan. Anche in questo caso, dobbiamo ricorrere alla sociologia comprendente di Max Weber per entrare nella testa di Xi Jinping e osservare la guerra dei dazi dal punto di vista della Cina. Nella prospettiva di Xi Jinping, se la Cina non è in grado di resistere ai dazi della Casa Bianca non potrà nemmeno resistere ai suoi proiettili quando scoppierà la guerra per Taiwan: i cinesi la considerano quasi inevitabile visto che la preparano meticolosamente tutti i giorni della loro vita. Tre giorni fa, mentre Trump innalzava i dazi al 125%, la Cina ha svolto l’ennesima esercitazione militare iper-aggressiva contro Taiwan per chiarire che la guerra per Taiwan e la guerra dei dazi sono strettamente collegate.

Nessuno può prevedere quale sarà l’esito della guerra dei dazi di Trump. Le azioni dei governi sono intenzionali, ma le loro conseguenze sono inintenzionali. Il governo americano controlla le proprie azioni politiche, ma non può controllare l’esito dell’aggregazione delle azioni politiche di centinaia di governi. La Casa Bianca ha fatto un salto nel buio.
Tuttavia, una cosa è certa. L’esito dell’assorbimento dell’Ucraina nella Nato dipendeva dalla reazione della Russia. Allo stesso modo, l’esito della guerra dei dazi dipenderà dalla reazione della Cina. In un simile contesto, l’Italia inizia a capire che avere innalzato i muri contro Cina e Russia per compiacere la Casa Bianca non è stato un buon affare. Meloni si è consegnata nelle mani di Trump che, adesso, gliele stringe intorno al collo.

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