“LA NOSTRA AFRICA”. AIUTIAMOCI A CASA LORO da IL MANIFESTO e IL FATTO
Armi e muri, aiutiamoci a casa loro
LA NOSTRA AFRICA . Oltre a insistere sugli aiuti economici condizionati, si è deciso di tagliare la cooperazione sana e di puntare su quella militare, al solo scopo di arginare i flussi migratori diretti in Europa
Marco Boccitto 05/08/2023
Sulle disgrazie dell’Africa post-coloniale al tempo della Guerra fredda, la vox populi del continente amaramente concludeva che non c’era molto da fare, «quando due elefanti combattono, l’erba sottostante soffre». Ora che il numero degli elefanti si è moltiplicato a dismisura e la lotta per accaparrarsi più territori d’influenza si è fatta se possibile più spasmodica, la condizione di chi sta sotto – la stragrande maggioranza delle giovani popolazioni africane – non è cambiata, se non in termini di “connessione” con il resto del mondo. E questa sensazione di calpestìo che si rinnova, la percezione del perdurante maleficio costituito dalle enormi ricchezze minerarie di cui l’Africa dispone e di cui pochissimi beneficiano, ad alimentare il consenso locale per ciò che meccanicamente definiamo colpi di stato.
Come se lo strumento elettorale imposto dai canoni della democrazia occidentale fosse di per sé portatore di civiltà politica a ogni latitudine, anziché un modo “pulito” e presentabile di consumare golpe istituzionali che con la volontà popolare hanno poco a che vedere.
Ma tant’è. In Niger il presidente Mohamed Bazoum che oggi in molti pretendono di rivedere al suo posto di comando insieme all’ordine costituzionale, non è estraneo a questi meccanismi subdoli di conquista del potere. Ma la sua immunità deriva dal fatto di essere amico affidabile e garante degli interessi delle potenze occidentali, in un Paese sempre più strategico per i traffici e le inquietudini che lo attraversano da sud a nord. E, d’altro canto, i vertici militari che hanno di fatto destituito Bazoum hanno ricevuto la loro “educazione sentimentale” in Francia e negli Stati uniti, salvo poi beneficiare a domicilio dei servizi di addestramento portati dall’Italia, da ultimo con la missione bilaterale “Misin”.
Può e deve far sorridere oggi il titolo «Italia, Niger, Europa, Africa. Due Continenti. Un Unico Destino» scelto per il convegno organizzato quest’anno alla Luiss dalla fondazione Med-Or, sorta di braccio culturale e imprenditoriale di Leonardo, a guida Marco Minniti che dell’esternalizzazione delle frontiere e dei sistemi di sicurezza è stato un profeta fin troppo ascoltato a destra.
Oltre a insistere sugli aiuti economici condizionati, come quelli che si cerca di apparecchiare oggi per la Tunisia sull’orlo della bancarotta, si è deciso così di tagliare la cooperazione sana e di puntare su quella militare, al solo scopo – rilanciato senza infingimenti dal cosiddetto Processo di Roma – di arginare i flussi migratori diretti in Europa e poi, se rimane tempo, mettere in riga gli eserciti jihadisti che infestano la regione. Ma nel Sahel si è deciso che enough is enough, che è giunta l’ora di voltare pagina. Con buona pace dei risibili propositi “non predatori” del governo italiano in astinenza da gas russo, che propaganda il suo “Piano Mattei” come panacea mentre ai tabù sulla parola fascismo aggiunge clamorose amnesie sui trascorsi coloniali dell’Italia. E anche le promesse di rapporti paritari con gli stati africani formulate dalla Francia di Macron, si direbbe che non hanno fatto minimamente breccia.
Ora, anche il più umile abitante del più sperduto villaggio dell’Africa sa che non è consigliabile consegnare le tue armi a chi un giorno potrebbe puntartele contro. Si tratti di utilizzare i mercenari di Prigozhin per conquistare Bakhmut o di combattere il jihadismo e i flussi migratori nel Sahel migliorando le capacità degli eserciti locali, i rischi sono evidenti ed evidentemente sottovalutati dal committente. Anche il plauso convinto di Europa e Usa alla Comunità economica degli stati dell’Africa Occidentale (Cedeao), che stavolta oltre ad abbaiare – come nei precedenti colpi di mano in Mali, Burkina Faso e Guinea – vuole dimostrare di saper mordere, rispondono alla stessa logica. Non bastava il Ruanda, pronto a ricevere a pagamento i migranti che il Regno unito e Israele non vogliono e a fare il poliziotto internazionale nelle crisi africane, come nel nord del Mozambico, a protezione degli interessi estrattivisti dell’Occidente.
L’elefante sovietico nel frattempo si è tramutato in orso neo-zarista e Vladimir Putin, forte di una verginità coloniale russa in Africa, può atteggiarsi a moderno castigatore del neo-imperialismo occidentale. Peraltro ora regala anche bastimenti di grano, com’è buono lui. Ma le recenti stragi di civili nel nord del Mali ad opera dell’esercito di Bamako e dei wagneriani che hanno preso il posto delle truppe francesi, o il clima di terrore instaurato dai mercenari russi nella Repubblica centrafricana, testimoniano quanto illusoria e pericolosa possa rivelarsi anche questa prospettiva.
Un destino diverso per l’Africa e il Sahel passa necessariamente per un autocontrollo delle risorse e una ridistribuzione vera della ricchezza, oltre a investimenti che mettano a reddito la potenza demografica del continente e un sostegno fattivo a società civili che sono maturate in fretta e altrettanto sbrigativamente sono state abbandonate – si veda quando sta succedendo in Sudan – agli umori funesti di élite politiche e militari da sempre funzionali alle politiche dell’aiutarci a casa loro.
Rapiniamo l’Africa nera, poi ci stupiamo se ci odia
MASSIMO FINI 5 AGOSTO 2023
Nel suo recente viaggio negli Usa, Giorgia Meloni ha parlato con Biden di quello che è stato spudoratamente chiamato “piano Mattei per l’Africa”. Una sorta di piano Marshall, insomma, solo che il piano Marshall fu effettivamente di grande aiuto per l’Italia per risollevarsi dalla sconfitta nella Seconda guerra mondiale. Il cosiddetto “piano Mattei” ha tutt’altri obiettivi: lo ha svelato involontariamente la stessa premier italiana in un’intervista a Fox News e in quella al direttore di Sky-Tg24, Giuseppe de Bellis. L’intervista a Fox non l’ho vista, quella a Sky sì. Le luccicavano gli occhi, alla Giorgia nazionale, nell’elencare le grandi ricchezze africane, rame, oro, platino, diamanti, cobalto e il silicio che è diventato più importante dell’oro, dei diamanti e persino del petrolio perché una componente essenziale dell’apparato digitale. Il retropensiero, non poi tanto retro, di Meloni è di rapinare l’Africa subsahariana delle sue ricchezze mascherando lo scippo come aiuto. Rafforzeranno quindi le proprie posizioni in Africa nera l’Eni, l’Enel e partecipate varie, oltre ad altre multinazionali non italiane. Di questo colossale affare agli africani arriveranno sì e no le briciole, così come avvenne al tempo nell’Afghanistan post-talebano, dove dell’enorme mercato degli stupefacenti ai contadini rimaneva l’1%. I new talibans, come vengono adesso chiamati, hanno rimesso le cose a posto proibendo nel modo più assoluto la coltivazione del papavero da cui si ottengono gli stupefacenti, così come aveva fatto il mullah Omar nel 2001. Ma il piano Mattei, insieme agli altri Paesi che vorranno partecipare alla rapina sotto questa bandiera, avrà ripercussioni ancora più profonde. Smantellerà quel che resta dell’economia e della socialità africane, quell’“economia di sussistenza” (autoproduzione e autoconsumo) su cui questi popoli hanno vissuto, e a volte prosperato, per secoli. Anche quando si abbiano le migliori intenzioni – e non è certamente il caso del piano Mattei – la sola contaminazione con gli occidentali è devastante per gli abitanti dell’Africa nera (quella subsahariana). Di qui le spaventose e tragiche migrazioni verso l’Europa. Come abbiamo già scritto altre volte, l’Africa nera era alimentarmente autosufficiente fino agli anni 70, quando i Paesi occidentali ex coloniali si accorsero che poteva essere un mercato allettante in virtù del suo numero di abitanti (circa 700 milioni). Il colonialismo economico è stato molto più devastante di quello classico. Quest’ultimo, senza volerlo con ciò giustificare, si limitava a rapinare materie prime di cui in genere gli autoctoni non sapevano che farsene, ma non pretendeva di cambiare l’economia, la socialità, le istituzioni, le tradizioni di quella gente. Nel Vizio oscuro dell’occidente (2002) scrivevo che l’Africa nera era pericolosa per noi come un “cimitero in putrefazione”, cioè per il contraccolpo che avrebbe provocato sulle nostre terre, come le migrazioni dimostrano. In Niger si gioca la stessa partita, anche se con forme e colorazioni diverse. Tutta la “comunità internazionale”, cioè i soliti noti più alcuni Paesi africani assoggettati ai nostri voleri, si è schierata contro il recente colpo di Stato a Niamey. Si dice che il nuovo regime è antidemocratico e anticostituzionale. Ma in quale Costituzione c’è scritto che tutti i Paesi debbano essere democratici? Nella sola Nato, c’è la Turchia che è difficile definire “democratica”. Nostri stretti alleati sono l’Egitto del golpista Al Sisi, la Tunisia del dittatore Saied, l’Arabia Saudita dell’ottimo Bin Salman. Si afferma che la Russia sia alle spalle del colpo di Stato del neo-presidente nigerino Tchiani. Per la verità, in passato, la Russia post-sovietica si era perlopiù disinteressata all’Africa, terreno privilegiato del colonialismo inglese, francese, belga (in Africa, almeno quando l’ho frequentata io, diciamo negli anni 80, Hitler era un mito perché aveva combattuto inglesi e francesi). Poi aveva inviato in alcuni Paesi il battaglione mercenario Wagner, per recuperare posizioni nella lotta fra il mondo di Putin e quello occidentale. Ma al momento anche la Russia ha condannato il colpo di Stato nigerino. E non basta a spiegare tutto ciò che accade nel mondo o le manifestazioni pro Putin in Niger, l’ossessivo tirare in ballo i miliziani della Wagner, che sembrano essere diventati un prezzemolo buono per tutte le occasioni. Insomma è la favola di Esopo: se non sei stato tu, sono stati i tuoi figli.
In Niger erano presenti, al momento del golpe, 1.500 soldati francesi, 1.000 americani e 350 italiani. Macron si è detto deciso a intervenire nel Paese perché l’ambasciata francese è stata attaccata, assediata da migliaia di manifestanti. Sorprende che ci si sorprenda dello spirito antifrancese che soffia non solo in Niger, ma anche in Mali, in Ciad e in tanti altri Paesi africani. Cioè: tu tieni sotto il tuo piede ferrato vari Paesi e poi ti sorprendi perché quelli non ti amano? Anche la faccia tosta dovrebbe avere un limite ed essere considerata un “reato universale”.
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