LA NORMA RENZI: DIVIETO TEORICO. LEGITTIMA CIÒ CHE È VIETATO IN TUTTE LE DEMOCRAZIE da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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LA NORMA RENZI: DIVIETO TEORICO. LEGITTIMA CIÒ CHE È VIETATO IN TUTTE LE DEMOCRAZIE da IL FATTO

La norma Renzi può rivelarsi un “avviso” politico inefficace

Il caso – La misura in manovra che vieta a parlamentari&C. di ricevere compensi da società e Stati esteri ha troppe scappatoie. E di fatto legittima quel che è vietato in tutte le democrazie

Pier Luigi Petrillo  23 Dicembre 2024

Nella legge di bilancio per il 2025 è stato introdotto il divieto per i parlamentari, i membri del governo e i presidenti delle Regioni di percepire compensi da parte di soggetti non aventi sede legale o operativa nell’Unione Europea. La disposizione è stata subito ribattezzata “norma anti-Renzi” perché andrebbe a ridurre in modo consistente i redditi del senatore di Rignano. In realtà, per come è stato scritto, tale divieto è solo teorico e facilmente aggirabile almeno per 4 motivi.

In primo luogo il divieto non si applica ai compensi ricevuti da persone fisiche. Per aggirare la norma, dunque, basterà semplicemente percepire il dovuto da un soggetto in carne ed ossa anziché da un ente o da una società. In secondo luogo il divieto scatta se il soggetto straniero non ha nemmeno una sede operativa nell’Unione Europea. Di conseguenza sarà sufficiente per il soggetto finanziatore dimostrare di svolgere la propria attività (anche) in Europa.

In terzo luogo la disposizione prevede che se il compenso è inferiore ai 100 mila euro annui basterà ricevere una preventiva autorizzazione. Questa previsione è quella che svela la natura meramente propagandistica della norma ed anzi produce un effetto opposto rispetto a quello teoricamente dichiarato. Così stabilendo, infatti, la legge di bilancio autorizza espressamente, per la prima volta, i titolari di cariche elettive ad essere finanziati da soggetti esteri: si consente ciò che è vietato in tutti i sistemi democratici. In Francia, come in Svezia, ricevere compensi da soggetti stranieri è un illecito penale e scatta l’arresto; in Gran Bretagna, oltre alla pubblica ignominia, c’è la perdita del seggio. La Germania, che è uno dei pochi paesi a prevedere la possibilità per i politici di ricevere questi compensi, ha fissato il tetto a 1000 euro annui, rimborsi spese compresi.

L’articolo 98 della Costituzione italiana dispone che i parlamentari siano al servizio esclusivo della Nazione: come conciliare tale previsione con la possibilità di ricevere un compenso superiore alla metà dello stipendio da parlamentare? Si dirà: visto che attualmente è il far west e tutti sembrano dimenticare il dettato costituzionale, almeno la legge di bilancio introduce un tetto di 100 mila euro. Vero, se non fosse che è in realtà il tetto è un mero richiamo per allodole. La disposizione, infatti, rinvia ad atti successivi per la sua concreta attuazione. Nel caso dei deputati, servirà una modifica ai regolamenti parlamentari a maggioranza assoluta, cosa che accade con difficoltà. A titolo di esempio si pensi che, dopo la riduzione del numero dei parlamentari nel 2020, la Camera avrebbe dovuto modificare il proprio regolamento e ridurre il numero delle Commissioni: ma, dopo 4 anni, ancora non c’è riuscita.

In quarto luogo la disposizione nulla prevede in merito ai controlli né si può ritenere ad esempio, che spetti farli all’Autorità Antitrust (che già vigila sui conflitti di interesse dei ministri grazie alla legge Frattini), visto che la stessa norma ora approvata espressamente dichiara di non voler modificare la Frattini. Per i presidenti di regione, poi, la norma è ancora più surreale se si pensa che ad autorizzare l’eventuale compenso straniero dovrebbe essere o la giunta regionale che è nominata e revocata dal Presidente o il consiglio regionale la cui durata dipende dalla esclusiva volontà del Presidente stesso.

Ci si chiede quindi che effettività abbia la disposizione se non quella di sdoganare un concetto che, in qualsiasi altra democrazia al mondo, è inconcepibile: l’idea che un parlamentare possa essere a libro paga di uno Stato o di una società estera purché il compenso sia inferiore a 100 mila euro se ricevuto da un soggetto giuridico ovvero anche superiore se ricevuto da una persona fisica.

Se il governo avesse voluto davvero introdurre un divieto di questo tipo, sarebbe bastato estendere quanto già previsto dall’articolo 1 comma 13 della legge 3 del 2019 (la famosa legge “spazzacorrotti” voluta dal primo governo Conte) in materia di finanziamento della politica: vieta a qualsiasi entità “non assoggettata ad obblighi fiscali in Italia” di finanziare partiti politici. La scelta, invece, è stata quella di creare una norma manifesto che, all’atto concreto, sembra impraticabile. Così facendo, però, l’attuale maggioranza ha aggiunto un ulteriore tassello a quel confusionismo che allontana i cittadini dal dibattito pubblico e delegittima la politica come strumento di risoluzione dei problemi reali.

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