LA NATO ABBAIA ANCORA ALLE PORTE DELLA RUSSIA da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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LA NATO ABBAIA ANCORA ALLE PORTE DELLA RUSSIA da IL FATTO

La Nato abbaia ancora alle porte della Russia

FRANCESCO SYLOS LABINI  20 FEBBRAIO 2024

I tamburi di guerra rullano. Rob Bauer, presidente del Comitato militare della Nato, ha affermato che “dobbiamo renderci conto che vivere in pace non è un dato di fatto. Ed è per questo che noi (la Nato) ci stiamo preparando per un conflitto con la Russia”. Nel Regno Unito il ministro della Difesa e il capo delle Forze armate parlano della generazione attuale come di quella “pre-guerra” perché “l’era dei dividendi della pace è finita”. La retorica che sta montando è gravissima e sta passando nella narrativa quotidiana senza problemi. Quando leggo commenti che sostengono che “se vuoi la pace prepara la guerra” mi viene in mente la famosa poesia di Trilussa L’eroe ar caffè, quello che “spiana li monti, sfonna, spara, ammazza, ‘per me – borbotta – c’è na strada’ sola e intigne li biscotti ne la tazza”. Se questi personaggi patetici spuntano come funghi nel dibattito pubblico non è un caso: la militarizzazione della società procede per mano di una élite che non ha alcuna legittimità per farla, ma sa che è l’unica maniera di tenere in piedi un potere ogni giorno più delegittimato.

La guerra in Ucraina ha messo in evidenza la debolezza della Nato, che probabilmente è entrata in una crisi irreversibile. Dietro la retorica di un probabile attacco della Russia a un Paese Nato come i baltici o la Polonia, c’è proprio il sintomo della inutilità di una alleanza che ha definitivamente perso, di fronte a qualsiasi osservatore del “Sud globale”, il senso della sua esistenza e che cerca nel “nemico esterno” la ragione per nascondere la sua sconfitta militare e politica. La Russia non ha alcun interesse, o anche possibilità, di attaccare un Paese Nato. Da una parte è in una fase di calo demografico quando invece le guerre di conquista presuppongono una forte espansione interna, e d’altra parte l’invasione di un Paese come la Polonia necessita di un esercito di milioni di uomini ben armati, cosa che al momento non si vede all’orizzonte.

La guerra ha messo di nuovo in evidenza la sostanziale non democraticità delle istituzioni politiche, sia nei singoli Paesi che si sono mostrati completamente succubi verso le decisioni di Bruxelles, sia della Commissione europea sia della Nato: ma mentre la prima ha una vaga legittimazione democratica in quanto designata dai governi dei Paesi membri, la seconda con la democrazia non c’entra nulla e non si capisce a che titolo il segretario generale Jens Stoltenberg possa dettare le scelte politiche chiave. Ricordiamo, ad esempio, che non c’è nessun obbligo di arrivare a una spesa per la difesa del 2% del Pil.

Se è difficile immaginare che i cittadini europei possano seguire questa politica insensata e possano accettare misure come la reintroduzione della leva obbligatoria, mobilitando le giovani generazioni, o un aumento rilevante della spesa militare (che è il vero e unico fine di questo fuoco di sbarramento) è anche possibile che quello che si delinea all’orizzonte, la guerra, potrebbe rivelarsi come una profezia che si autoavvera e che quando ci sarà consapevolezza pubblica e diffusa dell’assurdità della situazione sarà troppo tardi. La sensazione è che, come sempre nel trentennio unipolare a guida Usa, si facciano i conti senza l’oste in quanto una crisi regionale potrebbe in maniera incontrollata sfociare in una guerra più vasta.

Il vero problema, infatti, è il cosiddetto “dilemma della sicurezza” secondo il quale in un confronto tra due Paesi in competizione, se uno dei due contendenti interpreta erroneamente le azioni difensive dell’altra parte come offensive, può aver luogo una spirale di insicurezza reciproca che conduce inevitabilmente al conflitto. Il dilemma della sicurezza in campo internazionale è spesso chiamato in causa quando le azioni di un Paese per proteggere la propria sicurezza, come l’installazione di basi militari a scopo difensivo, l’approvvigionamento di armi o solamente la provocazione verbale, sono percepite come minacce da parte di un paese vicino. Le continue dichiarazioni di politici e militari ai vertici dei Paesi europei e della Nato stessa, rilanciate in maniera acritica da stampa e televisione, non potranno che essere interpretate in maniera provocatoria da parte della Russia, anche alla luce degli avvenimenti nella lunga questione ucraina.

I governi europei sembrano procedere come nel 1914: “Chi aveva le leve del potere era come un sonnambulo, apparentemente vigile ma non in grado di vedere, tormentato dagli incubi ma cieco di fronte alla realtà dell’orrore che stava per portare nel mondo”. Per questo è importante, anzi cruciale, riflettere sui cambiamenti dell’epoca attuale, sulle loro ragioni e sui possibili, se non probabili, sviluppi e, nel proprio piccolo, cercare di fermare la marea che avanza.

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