KURSK: DUBBI E STRATEGIE da IL FATTO e IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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KURSK: DUBBI E STRATEGIE da IL FATTO e IL MANIFESTO

Kiev ha perso ovunque: a Kursk può finire male

Alessandro Orsini  17 Agosto 2024

Kursk non sta funzionando. L’idea di invadere la Russia per costringere Putin a spostare truppe dal Donbass, almeno finora, non ha dato i risultati sperati. Da quando gli ucraini sono entrati a Kursk, il 6 agosto scorso, i russi non hanno fatto altro che conquistare nuovi territori in Donbass. Mentre scrivo, Zelensky ordina l’evacuazione a Pokrovsk.

La strategia di Putin a Kursk si basa su tre mosse: 1) arrestare l’avanzata degli ucraini; 2) lasciare che si accomodino; 3) falcidiarli con gli aerei. Le probabilità che la sortita di Zelensky a Kursk si concluda in un nuovo disastro sono alte giacché il record negativo del presidente ucraino è strabiliante. Dall’inizio della controffensiva, il 5 giugno 2023, fino alla sua conclusione agli inizi di ottobre, tutto ciò che Zelensky ha ideato contro i russi è stato un fallimento. Tant’è vero che, terminata la controffensiva, l’esercito ucraino si è ritrovato dissanguato mentre quello russo ha addirittura invaso Kharkiv. La controffensiva ucraina, concepita da Zelensky per conquistare nuovi territori, si è conclusa con la perdita di molti altri territori e la richiesta immediata di arruolare un numero enorme di civili, 500 mila, sufficienti a costruire un nuovo esercito. Il tutto accompagnato da un urlo disperato: “Ho terminato armi e munizioni!”. Zelensky ha avviato l’amministrazione militare dei territori occupati. La domanda sorge spontanea: come crede di poterli mantenere senza la superiorità aerea? I cieli sono russi. Zelensky chiede agli alleati di autorizzarlo a usare i missili a lunga gittata. Per averla vinta, ricorre alla nota strategia di metterli davanti al fatto compiuto piegando la loro riluttanza con il consueto: “Non vedete che i russi stanno uccidendo tutti gli ucraini a Kursk? Autorizzatemi, altrimenti siete corresponsabili”. Oggi chiede l’autorizzazione per distruggere la Russia; domani la invocherà per non essere distrutto. Zelensky si è giocato il tutto per tutto. Se Putin arresta l’avanzata in Donbass per spostare i soldati a Kursk, è fatta. Se non li sposta, gli ucraini a Kursk dovranno parare le Fab-3000 con le mani. I Patriot e i Samp-T in quella terra avrebbero vita breve. Gli ucraini controllano pochi chilometri quadrati che i russi conoscono come le loro tasche. Il primo missile lanciato da un Samp-T sarebbe quasi certamente l’ultimo.

Ricorriamo all’immaginazione – fondamentale nell’impresa scientifica – e immaginiamo che Kursk finisca nell’ennesimo disastro. Che cosa accadrebbe a Zelensky? Secondo alcuni analisti, rischierebbe di essere rovesciato. Ma i golpisti dovrebbero prima assicurarsi il consenso della Casa Bianca, senza i cui soldi cadrebbero in poco tempo. Biden difenderebbe Zelensky con tutte le sue forze. Gli ucraini devono resistere a Kursk fino al voto di novembre per la Casa Bianca. Trump è pronto ad attribuire a Kamala Harris le colpe di tutte le disfatte. Quella di Kursk sarebbe la più grande perché costruita sui 75,1 miliardi di dollari sborsati da Biden, cui bisogna aggiungere 23,3 miliardi di dollari recentemente deliberati dal Congresso. Dall’inizio della guerra a oggi, l’Ue e altri Paesi europei (Gran Bretagna, Norvegia, Islanda, Svizzera) hanno dato a Zelensky 110,2 miliardi di euro. All’ultimo vertice sul bilancio comunitario sono stati promessi ulteriori 77 miliardi. Sommando i dollari americani agli euro dell’Europa, la cifra è esorbitante. Questa cifra da capogiro rischia di essere bruciata in una mano a poker. Il grande giocatore di poker vince senza carte in mano contro avversari carichi di punti. Ma il bluff richiede che le carte siano ignote ai giocatori. In questo caso, tutti conoscono le carte di Putin e di Zelensky. La Russia ha i soldati per aprire nuovi fronti e l’Ucraina no. L’organico delle forze armate russe consta di 2.210.000 persone circa, di cui almeno 1.320.000 militari. L’Ucraina sta finendo i soldati e molti Paesi dell’Unione Europea stanno finendo i soldi con la Germania in recessione. Tra non molto, le carte potrebbe darle Trump.

La domanda è sempre la stessa: se l’esercito ucraino non ha mai vinto una battaglia contro i russi dal 24 febbraio 2022 a oggi, quando era nel pieno delle forze, come si può pensare che esca vittoriosa da Kursk dopo essersi indebolito impressionantemente? Non c’è mai stata una Bakhmut, una Mariupol, una Avdiivka in favore degli ucraini. Possiamo immaginare che la battaglia di Kursk, dopo i suoi prevedibili alti e bassi, sarà vinta da Zelensky? C’è soltanto una nota positiva in questa storia: i media italiani hanno abbandonato i facili trionfalismi di un tempo. Nel 2022-‘23, anche la più piccola avanzata ucraina creava deliri collettivi che si riversavano contro questa rubrica. Oggi l’invasione di Kursk crea più preoccupazione che esaltazione.

La strategia lenta di Putin, più retorica che forza militare

Controinvasione. L’ultimo tassello nella costruzione a cui il Cremlino lavora ormai da nove giorni lo ha sistemato ieri Nikolaij Patrushev, uno degli uomini più fidati di Putin, al punto da essere […]

Luigi De Biase  17/08/2024

L’ultimo tassello nella costruzione a cui il Cremlino lavora ormai da nove giorni lo ha sistemato ieri Nikolaij Patrushev, uno degli uomini più fidati di Putin, al punto da essere inserito tempo fa nell’elenco dei suoi possibili sostituti.

«Gli ucraini hanno pianificato l’operazione a Kursk con uomini della Nato e di servizi speciali dell’occidente», le parole dal consigliere presidenziale, uno che, dalla fine degli anni Novanta, ha attraversato ogni passaggio politico ai vertici del potere russo.
Elementi a sostegno della tesi ce ne sono, basti pensare all’ampio impiego di mezzi tedeschi, britannici, americani e canadesi nel corso di questa offensiva, oppure ai suggerimenti, ne ha parlato in settimana il New York Times, che gli Stati Uniti avrebbero avanzato ai loro interlocutori a Kiev: dimenticatevi del fronte, delle trincee, delle zone minate e fortificate; colpite i russi nel punto in cui sono più vulnerabili, ovvero sul loro stesso territorio.

Quel che è strano nelle parole di Patrushev, e più in generale nella risposta della Russia all’iniziativa ucraina, è la priorità che il Cremlino continua a concedere al lato retorico della questione rispetto al lato militare. Come se il controllo delle informazioni e della versione di stato da trasmettere ai cittadini fosse più importante di quello sui confini.Sul campo la risposta del ministero della Difesa e dei servizi segreti è parsa sin dal primo momento lenta, stanca, priva di convinzione. In dieci giorni gli ucraini sono riusciti a inchiodare l’esercito russo su un’area vicina ai mille chilometri quadrati facendo centinaia di prigionieri e occupando oltre ottanta insediamenti, come ha ribadito da Kiev il presidente, Volodymyr Zelensky. Nella cittadina di Sudzha hanno stabilito un posto di comando amministrativo-militare, proprio come i russi hanno fatto sinora nelle province dell’Ucraina. Nel vicino villaggio di Glushkovo ieri sono riusciti a distruggere un ponte, bloccando in una sacca circa settecento militari russi. Ma anziché risolvere l’emergenza, nella cerchia di Putin sembrano impegnati a mettere insieme una adeguata struttura teorica.

La lentezza militare sorprende anche gli alleati di Mosca. «Nel caso in cui qualcuno varcasse i nostri confini la risposta sarebbe immediata», ha assicurato il presidente bielorusso, Aleksander Lukashenko. Che ha poi aggiunto: «Noi di linee rosse non ne abbiamo». Un riferimento esplicito ai limiti sempre più misteriosi di cui Putin discute quando minaccia ritorsioni esistenziali ai nemici.

Ebbene, questa volta l’esercito ucraino ha rotto la sacralità dei confini russi fra le province di Sumy e Kursk, nel luogo in cui il mito vuole che i popoli slavi abbiano mosso i primi passi, fra le campagne che hanno segnato l’inizio della controffensiva sovietica in quella che in Russia è ricordata come Grande guerra patriottica. Come dire: la circostanza dovrebbe spingere il Cremlino a misure decise, eppure proprio adesso nessuno da quelle parti sembra avere intenzione di agire.

Una spiegazione bene informata di quel che avviene nella cerchia di Putin ha provato a fornirla la giornalista indipendente Yuliya Latynina. Secondo Latynina, Putin e il suo stato maggiore non hanno ceduto al comportamento più semplice. Ovvero spostare subito le truppe schierate nel Donbass, distribuirle fra Kursk e Belgorod, spegnere sul nascere il pericolo di una invasione a settecento chilometri da Mosca. Per ora si è deciso di stabilizzare il nuovo fronte con piccole unità, con squadre di specialisti, con un certo numero di coscritti, e di portare avanti nello stesso tempo la spinta nel Donbass.

L’obiettivo non sarebbe, quindi, almeno per adesso, impedire una presenza militare ucraina da questa parte del confine, ma semplicemente renderla inoffensiva. Perché il piano funzioni, però, è necessario che il flusso di armi e munizioni fra l’occidente e l’Ucraina rallenti, e che i governi della Nato non procedano con il via libera all’impiego degli aiuti militari più moderni sul territorio russo.

È proprio a questo punto che arrivano le parole di Patrushev. Una richiesta più che una denuncia, il cui esito può avere ripercussioni ben oltre il conflitto con l’Ucraina.

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