IL TORNACONTO DEGLI USA NELLA INVASIONE DI KURSK da IL FATTO
Il tornaconto degli Usa nella invasione di Kursk
Elena Basile 21 Agosto 2024
L’approccio analitico agli eventi porta a sottolinearne la complessità, l’entrata in gioco di fattori molteplici. La sintesi, al contrario, nella ricostruzione storica coglie l’essenziale.
Non sono una stratega militare e, più che le logiche autonome e i minimi spazi, mi interessa il nocciolo dei problemi. Mi è difficile quindi dare all’Ucraina una soggettività indipendente dalla volontà della Cia e degli altri attori del Blob statunitense. Kiev è la capitale di un Paese distrutto, che sopravvive economicamente e militarmente grazie agli aiuti occidentali. La sua classe dirigente è asservita agli interessi statunitensi e passerà alla storia per avere venduto il suo popolo, avere massacrato una generazione di giovani, i membri della gloriosa resistenza nazionale (secondo i giornali del mainstream ) che ora fuggono all’estero, si nascondono in casa, si rompono le ossa per poter non andare al macello.
La guerra alla Russia non è più nemmeno una guerra per procura: diviene gradualmente uno scontro tra Nato e Mosca. I mesi precedenti le elezioni statunitensi sono i più pericolosi perché i Democratici devono esibire agli elettori qualche scalpo per poter giustificare gli enormi finanziamenti a spese del contribuente riversati in una guerra suicida. L’operazione di Kursk, come sta inevitabilmente emergendo, è stata realizzata con armi e mercenari occidentali e con l’intelligence angloamericana. Lo scopo è sempre lo stesso. Sin dall’inizio gli strateghi del Blob erano consapevoli che la guerra russo-ucraina, se la Nato non avesse scelto la vera competizione con truppe e conquista dei cieli, sarebbe volta a favore di Mosca. L’obiettivo era tuttavia la destabilizzazione del regime, la sua caduta. A Kursk, più che una battaglia militare, si conduce un attacco terroristico contro i civili russi. Portarli in ostaggio in Ucraina o costringere Mosca a sacrificarli per sterminare i soldati ucraini affinché il popolo russo assaggi le ferite della guerra è il fine della strategia occidentale, non solo ucraina. La Russia, al contrario, ha finora scelto la stabilità, è avanzata lentamente nonostante la netta superiorità di uomini, munizioni e armamenti perché tutto proceda all’interno della Russia come se la guerra avvenisse in una dimensione parallela, preoccupandosi persino di non spargere troppo sangue fratello. Come abbiamo ripetuto, la Corte Penale Internazionale (Cpi) ha emesso un mandato di arresto per Putin che conduce battaglie militari contro obiettivi militari più che civili, mentre non ha potuto fare la stessa cosa per il criminale di guerra Netanyahu che massacra ancora oggi donne e bambini a Gaza. Questo è l’“Ordine internazionale basato sulle regole” che le più stimate cariche istituzionali europee raccomandano di difendere nella guerra in Ucraina. Di fatto, come il “resto del mondo” sa, si tratta soltanto di una pax americana basata su doppi standard e normative create e utilizzate a beneficio degli interessi del cosiddetto Occidente collettivo.
La tattica prevale sulla strategia, per cui non è rilevante se a Kursk alla fine i russi prevarranno con un massacro di militari ucraini e di civili russi: è invece essenziale che sui giornali più letti si possa parlare di sorpresa di Mosca, di inefficienze russe, del valore ucraino al fine di inorgoglire i bellicisti democratici (in Usa come in Europa) e il loro elettorato. Mi viene da sorridere quando ascolto gli interventi di ex generali, personalmente conosciuti, che si affannano a dimostrare come la difesa dell’Ucraina e l’attacco al territorio russo siano due facce della stessa medaglia. Chissà come mai invece, quando vi era a Mosca un rivale strategico e ideologico, le guerre tra Usa e Urss nei vari teatri del mondo non hanno mai preso in considerazione un attacco militare sui reciproci territori. Dal 2002, con l’uscita unilaterale di George W. Bush dal trattato ABM contro la proliferazione di armi nucleari offensive, il Blob ha perseguito la possibilità del primo attacco nucleare, evitando i danni “maggiori” per gli occidentali. L’obiettivo di una destabilizzazione della Russia potenza nucleare è dato per scontato. Non viene analizzato nelle sue conseguenze disastrose. Smantellare la Federazione che possiede 6000 testate nucleari o sostituire Putin con un falco? Domande inutili. Gli strateghi del Blob hanno interessi a breve termine da servire, altrimenti non sarebbero stati gli artefici dei disastri in Afghanistan, Iraq e Libia. I benefici immediati sono molteplici, in termini di campagna elettorale, di iniezioni di liquidità e guadagni delle oligarchie delle armi e dell’energia. La destabilizzazione delle aree del mondo, confine orientale dell’Europa o Medio Oriente, è una finalità in sé. Non prevede approfondimenti di lungo termine. Kursk va bene così, indipendentemente dall’esito finale. Le vittime, si sa, hanno sempre avuto nella storia una loro utilità.
Che bella democrazia
MARCO TRAVAGLIO 21 Agosto 2024
Il Parlamento ucraino mette al bando la Chiesa ortodossa russa e ordina al clero di aderire entro 9 mesi alla Chiesa ortodossa ucraina: quella che nel 1992 (dopo l’indipendenza dall’Urss) proclamò lo scisma dal Patriarcato di Mosca, cui sottostava dal Seicento. Zelensky esulta per “la nostra indipendenza spirituale”, fregandosene del fatto che, del 71% di ucraini ortodossi, un terzo segue il culto russo. Fatti loro? No, nostri: l’Ucraina è candidata a entrare nell’Ue a tempo di record ed è tenuta artificialmente in vita dai miliardi occidentali. Ma le autorità europee hanno perso la favella. Come sempre in questi casi.
Quando, nel 2014, fu rovesciato il legittimo presidente Janukovich, si rivotò e vinse l’oligarca Poroshenko, che nominò quattro ministri neonazisti e inglobò nella Guardia Nazionale il battaglione neonazista Azov, tutti zitti perché il neoeletto era amico nostro, quindi un sincero democratico.
Quando Poroshenko iniziò a bombardare i russofoni in Donbass (14.400 morti nella guerra civile 2014-‘22) e abolì il russo come seconda lingua ufficiale in un Paese dove un terzo è russofono e il russo lo sa chiunque, tutti zitti perché i russofoni sono difesi da Putin.
Quando le truppe di Kiev in Donbass trucidavano 40 giornalisti sgraditi, fra cui l’italiano Andrea Rocchelli, tutti zitti perché i cronisti li uccide solo Putin.
Quando, dopo l’invasione russa, Zelensky mise fuorilegge gli 11 partiti di opposizione, arrestò il capo del più votato e oscurò le tv che rifiutavano di confluire nella piattaforma unica governativa, tutti tacquero perché Kiev non è Mosca.
Quando un commando ucraino fece esplodere i gasdotti russo-tedeschi NordStream, tutti accusarono Mosca di esserseli bombardati da sola, così come quando gli 007 di Kiev uccisero a Mosca Darya Dugina, figlia di un filosofo putiniano, perché l’unico terrorista è Putin.
Quando Zelensky proibì per decreto di negoziare con Mosca, tutti zitti perché la Nato arma l’Ucraina per negoziare meglio con Mosca.
Quando Kiev arresta migliaia di giovani ucraini che fuggono dalla leva, tutti tacciono perché i giovani ucraini non vedono l’ora di morire in una guerra persa in partenza.
Quando Zelensky rinviò le elezioni restando al potere, tutti zitti perché l’Ucraina è una democrazia.
Quando gli ucraini invasero la regione russa del Kursk, tutti parlarono di “legittima difesa” e di “spinta ai negoziati”, poi si scoprì che avevano fatto saltare i nuovi negoziati a Doha e sguarnito le difese nel Donbass, dove i russi ora dilagano.
Ora che Zelensky abolisce pure la libertà di culto, tutti zitti perché l’unico che strumentalizza la Chiesa a fini politici è Putin.
Una trascurabile curiosità: ma questi famosi “valori della democrazia occidentale” che l’Ucraina difende con i nostri soldi e le nostre armi, esattamente quali sarebbero?
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