IL PNRR CHE CI LASCIA FITTO È OPACO E SENZA CERTEZZE da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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IL PNRR CHE CI LASCIA FITTO È OPACO E SENZA CERTEZZE da IL FATTO

Il Pnrr che ci lascia Fitto è opaco e senza certezze

Gianfranco Viesti  5 Dicembre 2024

L’eredità che lascia il ministro Fitto è problematica. Il quadro del Pnrr e delle politiche di coesione è dominato da una grande opacità e confusione, da scelte discutibili che produrranno problemi ancora maggiori in futuro.

Forti sono le criticità sul Pnrr. La comunicazione del governo non inganni: è vero che abbiamo raggiunto molti obiettivi e per questo ottenuto cospicue risorse finanziarie. Ma negli ultimi tempi questo è dovuto anche allo spostamento in avanti di quelli più critici da raggiungere: alla scadenza del Piano, nel 2026 bisognerà dar conto di tutto. L’avanzamento finanziario degli interventi (a cui i pagamenti finali sono in parte legati) è certamente in fortissimo ritardo. Non è più chiaro a nessuno quali progetti siano ancora o saranno fino alla fine inclusi nel Pnrr e quali fuori; e di questi quanti avranno risorse alternative (e con quali scadenze) e quanti saranno abbandonati. Muovendo le risorse fra misure e progetti si sono fatte scelte politiche (come il nuovo grande finanziamento dei progetti di filiera in agricoltura), ma le si è occultate sovente dietro motivazioni tecniche. Intendiamoci: il Piano è assai complesso e gestirlo non è facile; i ritardi attuativi dipendono anche dalle ben note difficoltà del nostro paese. Ma l’opacità non aiuta: i parlamentari hanno perso il diritto a un’informazione precisa e tempestiva; figuriamoci i cittadini. Non si tratta di un fastidioso orpello, come forse si è ritenuto: ma di un elemento fondamentale per il funzionamento della democrazia; per sollecitare la partecipazione dei cittadini, specie in questo buio periodo di disinteresse alle vicende collettive. Assai sfocato è il quadro di come, quando e con che risorse gli interventi avviati dal Piano (ad esempio alcuni lotti ferroviari) saranno completati: anche perché tantissime risorse sono drenate dal progetto del mitico ponte sullo Stretto. Non si sa (e non si discute) con quali risorse correnti di bilancio si faranno funzionare alcuni progetti chiave, come le strutture di sanità territoriale o gli asili nido. Il rischio è che costruite le palazzine, queste rimangano vuote: con comprensibili effetti tanto sulla fiducia dei cittadini quanto sull’opinione sull’Italia dei contribuenti comunitari che quelle opere hanno finanziato. Insomma, con Fitto un grande progetto paese, pur con tutte le sue criticità, è divenuto una questione per addetti ai lavori, in cui tante scelte discrezionali sono state prese e mantenute il più possibile nelle “chiuse stanze”.

Simile il quadro delle politiche di coesione. Certamente indebolite; fortemente centralizzate con decisioni discrezionali, mai motivate o discusse. Lo prova la stima Svimez di 25.000 posti di lavoro a rischio con la manovra 2025, e la repentina cessazione dello sgravio contributivo. I tanto decantati “accordi di coesione”, che hanno determinato un giro d’Italia pubblicitario di Meloni e Fitto, erano lì pronti da tempo: si noti che si riferiscono al periodo 2021-27. Della tanto osannata Zona Economica Speciale si è già detto sul Fatto del 27 luglio: in sostanza, poca cosa. Checché ne dica la stampa fiancheggiatrice del governo, il piano strategico ancora non è stato approvato; risorse disponibili e tempistiche per il credito d’imposta 2024 potrebbero produrre pessime sorprese per le imprese. Ma intanto, tutte le istruttorie per le autorizzazioni sono centralizzate in una struttura collegata al ministro: che forse è quel che più conta. Va prestata grande attenzione perché possono determinarsi conflitti con le normative territoriali e urbanistiche di regioni e comuni. Le strutture ordinarie del ministero sono state epurate da una gran quantità di valenti esperti, sostituiti con persone di più certa fede politica: visti i tanti errori tecnici nel biennio c’è da esserne preoccupati.

In tempi di autonomia differenziata, si è provveduto prima a tagliare di tre quarti il già piccolissimo fondo perequativo per potenziare le strutture territoriali che devono erogare servizi dove sono più carenti: difficile fornire un buon trasporto ferroviario locale se non ci sono binari e stazioni. Poi a eliminare surrettiziamente il più importante Lep esistente, quello sugli asili nido: una tabella del piano a medio termine del governo ci informa che l’obiettivo di avere un posto ogni tre bambini piccoli in ogni comune (pur previsto per legge), non vale più perché in alcuni territori ci si può accontentare del 15%. E si potrebbe continuare ancora, a lungo, su altri temi.

Certo, suscita qualche perplessità il diffuso giubilo, e il voto favorevole di alcune forze politiche, per un commissario europeo (che sarebbe comunque spettato all’Italia) di un partito di estrema destra (nella Commissione più conservatrice della storia), dopo questa esperienza.

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