“IL LABOUR NON È UN PARTITO DI SINISTRA. E STARMER È SOLO UN OPPORTUNISTA” da IL FATTO e IL MANIFESTO
Ken Loach: “Il Labour ha vinto, ma non è un partito di sinistra. E Starmer è solo un opportunista”
FEDERICO PONTIGGIA 6 LUGLIO 2024
Maestro, il Labour ha vinto: ha aperto la bottiglia buona per festeggiare?
Macché, questa non è una buona notizia. Ebbene, è una buona notizia che i conservatori di destra abbiano perso, ma è cattiva che la destra e il partito laburista abbiano vinto. Un partito neoliberista.
Ma se l’aspettava il trionfo del laburisti?
Penso fosse chiaro da tempo che avrebbero vinto, ma quel che non è chiaro a chi non vive qui è che il Partito laburista non è il partito dei lavoratori, ma delle grandi imprese. È il partito dei grandi affari. Il leader, Keir Starmer, è un opportunista. Ha conquistato la leadership del partito promettendo acqua, ferrovie e poste pubbliche, ma una volta ottenutala, ha disatteso questi impegni: oltre 200 mila iscritti dopo poche settimane se ne sono andati, è stata una sorta di epurazione. Il suo compito era di convincere i media di destra e la Bbc che il Paese fosse al sicuro, che nulla sarebbe cambiato: si è avvicinato sempre di più ai conservatori, alla fine delle elezioni non c’era quasi nessuna differenza tra loro.
Che significa?
I ricchi rimarranno ricchi. Non ci sarà proprietà pubblica, né politiche radicali. Il Regno Unito continuerà a fornire armi. A Israele, per esempio. Starmer dovrebbe essere un avvocato per i diritti umani, ma ignora i diritti dei palestinesi e si definisce orgogliosamente sionista. È un uomo di destra.
Presentando il suo ultimo film, The Old Oak, aveva detto: “La speranza è di sinistra”, come la mettiamo?
La speranza è ancora lì, ma dobbiamo organizzarci. Un percorso c’è, la classe operaia ha la forza di sempre perché fa tutto: produce servizi, trasporti, ogni cosa. Ma se non agisce per proteggere i propri interessi, cade nella propaganda dell’estrema destra, e questo distrugge la speranza. Perché l’estrema destra sosterrà sempre lo status quo, le grandi imprese. Da lì provengono i loro soldi, ma i politici di destra diranno quel che piace alla classe operaia. Eppure, basterebbe guardare le loro azioni: sono favorevoli a una maggiore privatizzazione, distruggerebbero completamente il nostro servizio sanitario.
Voglio rinfrancarla: l’ex leader dei Laburisti Jeremy Corbin è stato eletto come indipendente.
L’ho appoggiato, ho sostenuto pubblicamente la sua candidatura. Vede, c’è una cosa interessante: il voto laburista è aumentato debolmente in termini proporzionali. Queste elezioni non attestano la vittoria del Labour, ma il rifiuto dei conservatori: la gente ha votato chiunque avesse una chance di buttarli fuori. I laburisti hanno preso un terzo abbondante che concede loro un’ampia maggioranza: è il sistema elettorale.
Per vincere le elezioni oggi si deve essere moderati?
Non si tratta di essere moderati, ma bugiardi. Starmer non è moderato, non è centrista, bensì un politico di destra, intransigente e orientato al libero mercato. Semplicemente, si veste in modo diverso. Sono un partito d’affari, e lo hanno ribadito: non tasseranno i profitti dei banchieri, non aumenteranno le tasse sulle società. Faranno crescere l’economia a spese della Gran Bretagna, traendo profitti dalla forza lavoro, sfruttando i bassi salari e i sindacati deboli. Starmer non ha niente a che fare con i sindacati, li ignora.
Il premier uscente, Rishi Sunak?
Non credo si meritasse tutta l’ostilità personale di cui è stato investito, chi ha distrutto i Tories sono stati Boris Johnson e Liz Truss.
Già architetto della Brexit, Nigel Farage è stato eletto e ha registrato un discreto risultato con il Reform Uk. Come se lo spiega?
È un populista, una specie di Trump. Un uomo di destra che afferma di parlare a nome della classe operaia, con cui prenderesti qualcosa da bere insieme: ovviamente, è una truffa. Il suo punto di forza è dividere i lavoratori gli uni dagli altri, quindi incolpare gli immigrati, e al contempo tagliare le tasse e i servizi pubblici.
Che dice dell’ascesa di Le Pen e Bardella in Francia?
Sono per gli affari, stanno con il capitale, ma indossano una maschera: e lo fanno molto bene. Però ciò di cui sentiamo assai poco parlare è come la sinistra si stia unendo in Francia: ha preso più voti di Macron, ma si parla solo di lui. Lo chiamano il centro, io lo definirei l’ala destra, come Starmer in Gran Bretagna. A differenza della sinistra, l’estrema destra non cambierà gli equilibri di potere, e benché sgradevole alla fine la preferisci a chi ti toglierebbe potere e ricchezza: è quel che ha portato al fascismo e al nazismo.
E il confronto elettorale tra Trump e Biden?
Trump è il disastro finale, una tragedia mondiale. Ma i democratici sono ancora una volta molto di destra. Biden chiaramente non riesce a gestire le cose, è solo un grossolano esempio di vanità personale: i Democratici avrebbero dovuto poterlo dire fin dall’inizio, ma i meccanismi finanziari e politici sono così corrotti da non permettere di rimuovere qualcuno palesemente incompetente.
Maestro, ci dia almeno una buona notizia: lo fa un altro film?
Non è stato un buon anno per la mia salute. Come può sentire, rimango senza fiato e se dovessi iniziare un film ora avrei novant’anni quando sarebbe finito, e penso che non sia davvero realistico. Vorrei poterlo fare, ma al momento non posso.
Un leader ambiguo, lontano anche dalla Terza via
IL RITORNO DEL LABOUR. Starmer vince, ma non convince. Una formula abusata, che in questo caso non è fuori luogo. La maggioranza numerica del Labour in parlamento è ampia, e la sconfitta dei Tories […]
Mario Ricciardi 07/07/2024
Starmer vince, ma non convince. Una formula abusata, che in questo caso non è fuori luogo. La maggioranza numerica del Labour in parlamento è ampia, e la sconfitta dei Tories è schiacciante. L’analisi del voto, e i dati sull’affluenza, rivelano tuttavia una situazione diversa rispetto a quella in cui il Regno Unito si è trovato l’ultima volta in cui i Laburisti sono andati al governo, guidati da Tony Blair, in seguito a una landslide (valanga) di suffragi nel 1997.
Anche nel 1997 i Tories avevano perso la fiducia del paese (la crisi monetaria del Black Wednesday nel 1992, e diversi scandali, avevano lasciato il segno), ma l’economia dava chiari segni di ripresa, e Blair sapeva di poter contare su un certo margine per gli interventi di spesa sociale annunciati nel manifesto del partito. Oggi Starmer ha tratto vantaggio da un partito Conservatore la cui credibilità è distrutta, forse in modo irrimediabile, ma prende la guida del governo in una situazione, non solo economica, di gran lunga peggiore rispetto a quella della fine degli anni Novanta. Nelle elezioni che videro il trionfo del New Labour era già presente il tema del rapporto con l’Europa, ma i candidati del Referendum Party, presenti in molte circoscrizioni, non riuscirono a entrare in parlamento. A guidare i Tories erano figure come John Major (che dopo aver rassegnato le dimissioni andò ad assistere a una partita di Cricket) e Kenneth Clarke. Uomini dell’ala moderata del Thatcherismo, che infatti si sono schierati in tempi recenti contro il loro partito sulla Brexit.
Nell’atmosfera di fiducia nel futuro seguita alla fine della guerra fredda, Tony Blair poteva credibilmente puntare a rappresentare una versione aggiornata del Laburismo di Harold Wilson, progressista sul piano dei costumi e inclusivo dal punto di vista sociale.
Questo era il senso del New Labour, che trovava in tendenze analoghe negli Stati Uniti e in Europa interlocutori simpatetici. Una manifestazione chiara della diversa atmosfera che accoglie Tony Blair quando si reca a Buckigham Palace a ricevere l’incarico dalla regina si vede nei filmati di allora. Con uno strappo al protocollo, Blair e la moglie entrarono nella residenza reale a piedi, attraversando una folla in festa, che li salutava con entusiasmo. All’ingresso di Downing Street Blair dice poche parole (pare che per scaramanzia non avesse preparato un discorso formale) con un messaggio tutto in positivo.
Molto diverso invece il discorso tenuto ieri da Starmer, davanti a una platea di militanti. Ripete ossessivamente la parola «cambiamento» e si riferisce molto spesso alla «nazione». Insiste sul fatto che il partito è cambiato, e poiché lo ripete di continuo in circa mezz’ora assume un tono apologetico, che era estraneo allo spirito del discorso di Blair nel 1997. Dice che il partito «cambiato» metterà al primo posto il paese, e che ne proteggerà i confini. Formule che riecheggiano temi centrali per la destra nazionalista, e la seconda non appare lusinghiera per quei quadri del partito che rappresentano la continuità rispetto agli anni di Corbyn e di Ed Miliband.
Solo negli ultimi dieci minuti c’è un accenno, brevissimo, a un tema classico della sinistra, quando rievoca il senso di sicurezza che la generazione dei suoi genitori aveva nel vivere in un paese in cui si poteva sperare in un futuro migliore per i propri figli. Su come si dovrebbe restaurare questo senso di sicurezza però non dice nulla.
La parola «fairness», centrale nel discorso del New Labour non viene mai pronunciata, e nemmeno parla di giustizia o eguaglianza.
Sullo sfondo ci sono seri dubbi, sollevati da molti osservatori, sulla solidità di una maggioranza che è ampia, ma che potrebbe rivelarsi fragile. Sul piano delle politiche sociali la sua preoccupazione principale in campagna elettorale è stata non spaventare gli investitori e le imprese.
L’impegno ribadito più volte per il rispetto della disciplina fiscale lo ha spinto a rinnegare misure popolari, su cui in passato aveva espresso un parere positivo, come quella che eliminerebbe i limiti imposti dai Tories ai benefici per le famiglie che hanno più di due figli. Questo, in un paese con un grave problema di povertà infantile, non è un segnale incoraggiante. Possibile che alcune di queste posizioni vengano riviste, ma sarebbe un nuovo cambio di direzione per un leader che ha già mostrato una certa disinvoltura nel rinnegare impegni presi in precedenza.
C’è poi il tema della Palestina, che ha provocato fratture che hanno avuto conseguenze importanti nel voto (anche nel suo collegio, dove Starmer ha perso molti voti a favore di Andrew Feinstein). Un dissenso che è stato soffocato, con metodi piuttosto sbrigativi, ma che potrebbe riesplodere trovando anche una sponda in parlamento (oltre a Jeremy Corbyn, sono stati eletti quattro parlamentari indipendenti su una piattaforma di difesa dei diritti dei palestinesi, e su questo tema i malumori ci sono anche nel partito).
Insomma, Starmer è per molti versi un’incognita, con ambiguità e debolezze, non un ritorno alla Terza Via.
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