“GUERRA”: CANCELLARE LA PAROLA VITTORIA da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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“GUERRA”: CANCELLARE LA PAROLA VITTORIA da IL FATTO

Guerra, cancellare la parola vittoria

L’OROLOGIO DELL’APOCALISSE ATOMICA – Che prevalga Mosca oppure Kiev, per il mondo la sciagura sarebbe la stessa. Unica via d’uscita: nessuno finisca sconfitto. Il vanto della Nato per la “riconquista” di cento metri

 BIAGIO DI GRAZIA *  11 OTTOBRE 2023

Non avevo mai sentito nominare il Doomsday Clock (“Orologio dell’Apocalisse”) fino al 1985, quando uscì la canzone del noto cantautore Gordon Matthew Thomas Sumner, in arte “Sting”, che seguivo da tempo, con l’uscita della canzone Russians.

La musica era come al solito bella, malinconica e significativa; ma il video correlato era intrigante e mostrava una scenografia cupa dominata da un orologio con una sola lancetta, che veniva mostrato più volte. Studiai la canzone e venni a capo che si trattava del Doomsday Clock. Al tempo della diffusione della canzone occupavo un importante incarico nella Nato, che ho servito con fedeltà e onore. Ma questo non mi ha impedito di scrivere un libro, con la prefazione di Domenico Gallo, che critica fortemente l’Alleanza Atlantica; ma l’ho fatto dopo aver lasciato il servizio attivo nell’Esercito, per pura correttezza istituzionale.

L’incubo nucleare ha dominato la scena mondiale per tutto il tempo della Guerra Fredda e, con alcune varianti, fino ai giorni d’oggi. I militari della mia generazione – sono entrato in Accademia Militare nel 1966 – hanno vissuto questo periodo di ansia storica, in cui si sarebbe potuto replicare l’orrore di Hiroshima e Nagasaki, con la consapevolezza che Usa e Unione Sovietica avevano attivato i dovuti controlli sull’uso dei rispettivi arsenali e il confronto sarebbe stato evitato dal terrore della vicendevole distruzione. Un dominio nucleare mantenuto in esclusiva dalle due Superpotenze e mai sottoposto a vincolo esterno. Questo reciproco comportamento ha fatto sì che le guerre che si sono succedute in tutto il mondo, si siano sviluppate senza che lo scambio atomico sia stato posto sul piatto; le due Superpotenze sono state libere per 80 anni di confrontarsi in sanguinose guerre “per procura” ovunque. Questi comportamenti di sicurezza di Usa e Russia sono terminati con la guerra in Ucraina, in virtù della particolare configurazione del conflitto, che ha assunto il carattere di scontro mortale tra due Stati, Ucraina e Russia, in cui la sconfitta pregiudica la sopravvivenza dell’una o dell’altra nazione.

Si tratta di un conflitto europeo in cui una potenza nucleare, la Russia, è direttamente impegnata in campo di battaglia; l’altra potenza nucleare, gli Usa, partecipa alla guerra “da remoto”. È evidente che Russia e Usa sono in uno stato di guerra. Ma quali sono i percorsi operativi per giungere a un confronto nucleare tra i due Paesi? Essenzialmente due. Il primo consiste nella incauta entrata dell’Ucraina nell’Alleanza Atlantica, che indurrebbe la Nato all’applicazione dell’articolo 5 per fronteggiare la Russia; il confronto globale con utilizzo di armi “convenzionali” tra Nato e Russia non avrebbe storia: la Nato è superiore e la Russia non avrebbe altra scelta che il ricorso all’arma nucleare per riequilibrare la situazione; se la Nato poi reagisce con pari nucleare, il genere umano scompare. La recente riunione della Nato a Vilnius ha negato, per ora, l’entrata dell’Ucraina nella Nato; ma non passa giorno che il presidente ucraino Zelensky rinnovi questo appello che segnerebbe il tragico sviluppo della vicenda. Il secondo percorso per giungere allo scontro nucleare è legato alla parola “Vittoria” che molti leader occidentali evocano come unica soluzione. Ma esaminiamo cosa significhi “vittoria” per l’uno o l’altro dei contendenti in combattimento su suolo ucraino. La vittoria russa segnerebbe la divisione dell’Ucraina in due parti; la prima soggetta ai russi a Sud; la seconda soggetta all’Europa a Nord. Ciò costituirebbe un grave danno alla integrità territoriale ucraina che diverrebbe terra di ulteriore competizione armata entro la Regione: ma non si avrebbe nessun innesco di confronto nucleare tra superpotenze. Non è vero che l’Ucraina scomparirebbe e, molto probabilmente, la porzione residua a Nord diverrebbe parte della Nato e, soprattutto, dell’Europa, che sarebbe chiamata a sostenerla finanziariamente per (almeno) i prossimi 20 anni. Il secondo caso, la vittoria ucraina sulla Russia, sotto la declamatoria di salvaguardia della democrazia e della libertà, avvierebbe una deflagrazione strutturale della nazione russa, con sviluppi gravi in tutto il mondo.

Nella Russia, così è stato storicamente nei casi gravi di sconfitte militari, oppure rovesci in politica estera: nel 1905, dopo la débâcle subita dalla flotta giapponese; così avvenne nel 1917, a seguito delle sconfitte russe sul fronte occidentale durante la Prima guerra mondiale che segnò la fine dello Zar; infine, dopo il fatidico 1989, in cui l’Unione Sovietica si suicidò e divenne facile preda dell’espansionismo americano.

Una sconfitta in Ucraina indurrebbe la Cina ad avere facile gioco nell’acquisire la Siberia e il potere assoluto in Asia; i Baltici e la Polonia interverrebbero sulle spoglie russe per regolare una volta per tutte i conti storici con la Russia; il sistema di governo di Mosca ne sarebbe distrutto. La guerra nucleare diverrebbe naturale, doverosa e improrogabile reazione del popolo russo nella sua interezza, qualunque fosse la dirigenza superstite. Le lancette del Doomsday Clock sarebbero innescate e segnerebbero l’inizio del confronto nucleare e della scomparsa del genere umano.

Come evitare tutto ciò? Con la sospensione della guerra e, soprattutto, senza che ci sia un vincitore! La parola “vittoria” dovrebbe scomparire definitivamente dal lessico internazionale: nessuno parli di vittoria e nessuno sia lo sconfitto. I confini tra Ucraina e Russia rimarranno forzatamente quelli segnati dal confronto militare sul terreno; l’Ucraina e la Russia ne uscirebbero ambedue penalizzate, ma senza innesco del confronto nucleare. D’altra parte è evidente che al momento, sul terreno, nessuno stia vincendo e si è in una fase di stallo, dove le battaglie si sostanziano con l’acquisizione o la perdita di un paesino di nessuna importanza. In questa situazione sono gli ucraini a sopportare le perdite maggiori, costretti a una sconsiderata “controffensiva”, in condizioni di inferiorità numerica, il che è un assurdo in termini militari. Sul campo di battaglia esistono regole che non possono essere sovvertite: chi attacca deve disporre di superiorità in uomini e mezzi di almeno 3 a 1; e una logistica di almeno 7 a 1; si tratta di regole fondamentali che solo in casi eccezionali, una delle quali è la supremazia assoluta dei cieli, il che non è il caso in Ucraina, possono subire variazioni.

Queste regole militari fondamentali, normalmente adottate dalla Nato, non sono seguite dagli Ucraini; chi ha imposto ai generali ucraini di attaccare, a qualunque costo e con dispendio incredibile di vite umane? Qual è il tributo da pagare? E a chi? Per tre anni sono stato capoufficio delle Operazioni e Piani nel Comando di Reazione Rapida della Nato, che è l’unità operativa di eccellenza dell’Alleanza, e sono stato responsabile della pianificazione di azioni di guerra, alcune delle quali trovarono, purtroppo, effettiva attuazione in Jugoslavia. Le cose che affermo sono frutto della mia esperienza. Il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, evoca i successi da 100 metri al giorno quale risultato della controffensiva ucraina. Ma cosa significano 100 metri e quante vite umane al giorno costano quei pochi metri? Nessun comandante Nato farebbe una cosa simile, senza essere cacciato per palese incapacità militare.


* già Capufficio delle Operazioni e Piani nel Comando
di Reazione Rapida della Nato

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