GAZA. PAGARE LA RICOSTRUZIONE, RIPRISTINARE IL LINGUAGGIO da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
18926
post-template-default,single,single-post,postid-18926,single-format-standard,cookies-not-set,stockholm-core-2.4.5,select-child-theme-ver-1.0.0,select-theme-ver-9.12,ajax_fade,page_not_loaded,,qode_menu_,wpb-js-composer js-comp-ver-7.9,vc_responsive

GAZA. PAGARE LA RICOSTRUZIONE, RIPRISTINARE IL LINGUAGGIO da IL MANIFESTO

Gaza. Pagare la ricostruzione, ripristinare il linguaggio

Post-colonialismo Questo è l’ultimo caso di una lista di riparazioni coloniali per il genocidio, la schiavitù e le barbarie che la modernità occidentale ha compiuto sul pianeta. Come altrove, nel caso della Palestina, oggetto di un secolo di guerre e di occupazione, il colonizzatore europeo deve affrontare un conto sia economico che etico

Iain Chambers  01/02/2025

La vita continua nonostante tutto, anche tra le macerie della distruzione di Gaza e la minaccia di deportazione della sua popolazione proposta dalla nuova amministrazione americana. Se mai ci sarà un ritorno allo stato di diritto, lì, nello specchio oscuro del genocidio, gli Stati occidentali avranno scoperto di aver tradito i principi delle loro costituzioni. Il sostegno allo sterminio programmato dei palestinesi ha portato l’Occidente a considerarsi al di sopra della legge e a esistere in uno stato eccezionale.

Teorizzato proprio dal giurista nazista Carl Schmitt per giustificare le azioni del regime hitleriano, il concetto è stato successivamente applicato da Giorgio Agamben per analizzare la licenza extraterritoriale del campo di sterminio. Negli ultimi sedici mesi, le istituzioni occidentali, dal governo e dai partiti politici alle istituzioni accademiche e ai media, hanno sostenuto questo stato eccezionale e sono implicate nel genocidio.

SE SI ALIMENTA e si finanzia il genocidio, si è parte del genocidio. Esportare armi e mantenere programmi di scambio accademico significa essere direttamente coinvolti. Oltre ai miliardi di dollari in armi e alla retorica incondizionata del sostegno, dall’ottobre 2023 Israele ha ricevuto 238 milioni di euro in finanziamenti per la ricerca dall’Unione europea. Qualsiasi risposta critica richiede necessariamente un’alterazione netta di questo stato di cose.

È chiaro che, con la radicale sbandata verso l’autoritarismo di destra e il revival e il riassetto del passato fascista dell’Europa negli espliciti etno-nazionalismi, un tale cambiamento di direzione non avverrà a breve. Non ci resta che resistere al fatto che il nostro linguaggio e il nostro pensiero sono tenuti in ostaggio, incarcerati in una furia cieca di supremazia (israeliana, americana, europea…) che si sente minacciata. Dobbiamo ripartire dai fatti sul campo e dalla guerra sul linguaggio usato per definirli e spiegarli.

Le Nazioni unite hanno stimato che la ricostruzione di Gaza costerà 80 miliardi di dollari e richiederà fino al 2040 per essere realizzata. I colpevoli dovrebbero essere coloro che si fanno carico dei costi dell’eventuale ricostruzione. Israele, Stati uniti, Germania, Regno unito, e tutti coloro che hanno sostenuto incondizionatamente la distruzione di Gaza.

Naturalmente, questo è l’ultimo caso di una lista di riparazioni coloniali per il genocidio, la schiavitù e le barbarie che la modernità occidentale ha compiuto sul pianeta. Come altrove, nel caso della Palestina, oggetto di un secolo di guerre e di occupazione, il colonizzatore europeo deve affrontare un conto sia economico che etico.

Nessuno pagherà presto. Sarebbe come riconoscere un ordine coloniale e i costi inflitti a coloro che ha soggiogato, ucciso e ridotto in schiavitù, servitù, morte ed altri esiti dei «danni collaterali». Tuttavia, anche il linguaggio ha il suo potere. Così com’è imperativo parlare, ancora e ancora, per distinguere l’antisemitismo dalla critica legittima a Israele e al sionismo e insistere sulla formazione coloniale di quest’ultimo per spiegare la brutalità del presente, è necessario insistere sul fatto che l’Olocausto è indubbiamente una responsabilità europea piuttosto che palestinese e allo stesso modo il concetto di riparazione deve iniziare a entrare nell’agenda politica di qualsiasi comprensione postcoloniale del mondo.

Viviamo in uno stato di occupazione. Chi critica e suggerisce che ci sono altre narrazioni storicamente ed eticamente più oneste disponibili per l’interpretazione di questo momento sono trattati come nemici da contestare, chiudere e mettere a tacere. Non siamo a Gaza, nel Golan o nel Libano meridionale, ma parte di un arcipelago più profondo che attraversa le accentuate pratiche coloniali dello Stato di Israele e avvolge e regola la nostra vita quotidiana, le nostre lingue, la politica, i media e le istituzioni in cui viviamo: dai media mainstream ai campus universitari e alle strade delle città occidentali. Israele non è tanto la sorgente quanto il sintomo della nostra colonialità del presente.

UNA PARTE CENTRALE di questa proposta di riparazione riguarda il ripristino del linguaggio. Alla fine, come diceva Hannah Arendt, ciò che rimane è il linguaggio. Anche nella polvere e nella distruzione che culminano nella morte, la memoria anche degli atti più atroci è sostenuta dal linguaggio.

Forse è questa la lezione fondamentale che emerge dall’Olocausto (Paul Celan, Primo Levi) e dalla scrittura palestinese contemporanea (Susan Abulhawa, Adania Shibli). Può sembrare un «dettaglio minore», per citare il romanzo di Shibli, ma sospesa nel linguaggio si trova una potenziale pedagogia del presente.

Per acquisire voce ed essere ascoltati, la prigione istituzionale del linguaggio deve essere smantellata. I termini – coloniale, genocidio, terrorismo, sionismo, antisemitismo, olocausto – devono essere scomposti e attraversati da domande e prospettive che superano il loro accreditamento ufficiale.

Il linguaggio non può essere incatenato a un’unica contabilità del tempo e luogo. Gaza ha brutalmente esposto i limiti politici e filosofici della sintassi occidentale. Un linguaggio che in questo momento storico riconosca il genocidio e le relazioni asimmetriche del potere coloniale deve guardare altrove, oltre i cliché dei media mainstream e della retorica politica, ed essere disposto a esporsi ad altre misure del mondo.

No Comments

Post a Comment

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.