È POSSIBILE LA PACE TRA RUSSIA E UCRAINA? da MARX21
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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È POSSIBILE LA PACE TRA RUSSIA E UCRAINA? da MARX21

È possibile la pace tra Russia e Ucraina?

 Francesco Galofaro – Università IULM di Milano  8 Settembre 2024

Può sembrare ozioso interrogarsi se sia davvero possibile la pace tra Ucraina e Russia. Nelle scorse settimane, Kiev ha invaso il territorio russo nella regione di Kursk, provando a sfondare anche a Belgorod. Ha utilizzato le armi fornite dalla NATO, inclusi gli F16, e ha annunciato al mondo di aver testato missili balistici autoprodotti. Stoltenberg continua ad accusare la Cina – al momento, uno dei pochi mediatori credibili – di collateralismo nei confronti della Russia. Zelensky ha perfino licenziato il proprio ministro degli esteri, Kuleba, ufficialmente a causa degli scarsi risultati nell’ottenere armi che permettano all’Ucraina di colpire la Russia direttamente nel suo territorio.

Quanto ci interessa la pace? Gli USA hanno promesso a Zelensky altri 250 milioni di dollari in armi. Ursula von der Leyen, invece, si è impegnata a donare 40 milioni per la ricostruzione, in vista dell’inverno. Se avessimo davvero a cuore la pace, dovremmo mettere fine alla guerra e usare i 250 milioni per la ricostruzione ucraina. 

Tutto questo, accade dopo che Kiev ha finto di aprire al dialogo, invitando la Russia a una conferenza di pace prevista per novembre. Si è anche presa la responsabilità di intavolare un negoziato indiretto sugli attacchi alle centrali energetiche, incluse quelle atomiche. Ora anche la centrale di Kursk, oltre a quella di Zaporizja, è considerata dall’AIEA a rischio nucleare.

Insomma, la pace, sempre che sia possibile, è rinviata alle calende greche. Tutt’ora, infatti, Zelensky sostiene di aver invaso la Russia per costringerla a trattare. Inoltre, la tattica non sembra aver pagato: Putin non ha spostato armate nel proprio territorio per difendere l’invasione, proseguendo nel proprio obiettivo in Donbass. Putin scommette sul bluff: realizzerà il proprio obiettivo, mentre Zelensky non ha realmente gli uomini sufficienti per duplicare la linea del fronte. Si impone una riflessione sui motivi che spingono i contendenti a proseguire un conflitto che ha già mietuto troppe vittime e avvelenato il territorio, distruggendo l’economia e causando terribili sofferenze.

L’occasione è data da una bella intervista che leggo su Limes di luglio. Come altre riviste, anche Limes è stata spiazzata dalla reazione ucraina in Russia, tant’è che aveva dedicato il numero al post-conflitto. Nonostante questo, ha pubblicato un’intervista a Volodymyr Iščenko, ricercatore all’Istituto per gli studi sull’Europa orientale della Freie Universität Berlin, che è piuttosto interessante poiché propone un’analisi di classe del conflitto. Per sommi capi, dopo la caduta dell’URSS, in Russia, in Bielorussia e in Ucraina una classe dirigente proveniente in larga parte dalle fila delle organizzazioni comuniste preesistenti si è appropriata di grandi settori dell’economia più o meno strategici. È istruttivo il caso di Yulia Tymoshenko, figlia di un funzionario comunista, che cominciò la propria carriera nel Komsomol. All’epoca delle privatizzazioni fece le proprie fortune appropriandosi dell’azienda del gas. Similmente, attraverso privatizzazioni condotte all’insegna della malversazione e della corruzione, nei paesi ex-comunisti si è realizzata l’accumulazione primaria di capitale, la condizione per il sorgere di un’economia di mercato. Il tutto appare come una grottesca rapina ai danni delle popolazioni di questi Paesi, considerando che, in precedenza, le aziende regalate agli amici degli amici erano pubbliche: è il periodo degli oligarchi. 

Nei decenni in Russia e in Bielorussia i governi di Putin e di Lukashenko hanno posto un limite a un’economia oligopolistica priva di freni legali, subordinandola agli interessi dello Stato; al contrario, la politica ucraina è sempre stata dominata dallo scontro tra grandi magnati dell’industria come Rinat Akhmetov, Petro Poroshenko o Ihor Kolomoysky. Zelensky stesso deve la propria elezione all’appoggio di Kolomoysky; in seguito si è sbarazzato dell’ingombrante protettore, incriminato per frode bancaria negli USA. Di conseguenza, l’interesse “ucraino” è in realtà l’interesse dei suoi oligarchi e di quella parte della classe media il cui lavoro dipende direttamente dagli imperi economici degli oligarchi stessi, che – negli anni – hanno stretto legami economici con l’Europa e con gli Stati uniti. La “democrazia” ucraina è in realtà nelle mani di questi personaggi, impegnati direttamente in politica in movimenti di loro invenzione. Sotto questo aspetto la guerra ucraina è anche un regolamento di conti tra oligarchi filoccidentali e filorussi, i cui interessi avrebbero portato l’Ucraina a stringere relazioni con Mosca, e che – come nel caso di Viktor Medvedčuk – sono stati brutalmente estromessi dal potere e privati della libertà. Tutto ciò spiega diverse questioni cui assistiamo in questi giorni: ad esempio, la persecuzione condotta dal governo ucraino nei confronti della lingua russa e della Chiesa ortodossa, condannata pubblicamente e apertamente da Papa Francesco. È parte di un’apparente guerra civile tra gruppi linguistici, etnici e religiosi in opposizione tra loro. In realtà, si tratta una guerra condotta contro gli interessi del proprio popolo da una casta di vampiri che drenano capitali dall’Ucraina alla Svizzera.

In questo contesto, nel valutare le prospettive della guerra, occorre considerare che Zelensky e il suo governo hanno rinviato sine die le elezioni e non necessitano dell’appoggio popolare. D’altra parte, non possono ignorare le richieste di personaggi le cui ricchezze sono in genere al sicuro dai bombardamenti. Costoro possono obbligare l’Ucraina a combattere fino all’autoannientamento poiché dispongono di salvagenti formato yacht. 

Al contempo, non è affatto vero che gli interessi di Russia e Ucraina debbano essere necessariamente in conflitto, come spesso si dichiara tirando in ballo “analisi” geopolitiche o altri argomenti di carattere propagandistico. Il carattere ideologico delle teorie delle relazioni internazionali consiste essenzialmente nel fatto che, per lo più, gli Stati vengono considerati attori individuali: è agli Stati che vengono attribuiti interessi in conflitto, non alle loro rispettive classi dominanti o gruppi dirigenti. Al contrario, è dalla composizione sociale e culturale di ciascuna nazione che si dovrebbe partire per comprendere come possa accadere che, entro uno Stato, gli interessi di una determinata classe sociale prevalgano su quelli della comunità. Così, ad esempio, quando l’Italia, con Draghi, è entrata in guerra, l’interesse dell’aristocrazia economica italiana, legata agli USA, ha prevalso su quelli della piccola borghesia, che ha in larga parte pagato il conto delle sanzioni e degli aumenti dei prezzi dell’energia. Tuttavia, il governo di Giorgia Meloni deve in parte la propria esistenza all’appoggio della piccola borghesia e del ceto medio danneggiato dalla guerra in Russia; questo spiega le difficoltà del governo ad appoggiare l’uso di armi italiane sul territorio russo. La vera domanda che dovremmo porci, al di là delle dichiarazioni, è: quale controllo ha l’Italia sull’utilizzo effettivo delle armi che ha inviato in Ucraina?

Allo stesso modo, le relazioni internazionali sono proiezioni della lotta tra le classi e interna ad una stessa classe. In alcuni Paesi prevale l’interesse dei magnati e dei grandi potentati economici; in altri Paesi questo è, in misura variabile, sotto il controllo della politica che si sforza ancora di ricomporre e di rappresentare la collettività. Qualcuno potrà accusarmi di schematizzare eccessivamente problemi complessi; al contrario, la vera semplificazione è quella di chi proclama che esistano interessi “oggettivi” degli Stati e che questi entrino “necessariamente” in conflitto.

Dunque, la guerra non termina perché i destini dell’oligarchia al potere sono più legati a Washington che alle sorti di Kiev, e non si fermerà fino a che gli USA non avranno raggiunto i propri obiettivi: isolare la Russia, espandere la NATO all’Ucraina o a una sua piccola parte sotto l’influenza occidentale, assoggettare l’Unione europea all’economia e alla politica USA impedendo che giochi un ruolo indipendente nelle relazioni internazionali. Poco importa se, alla conclusione di questo processo, l’Ucraina ne uscirà amputata, devastata e ridotta a un unico, grande cimitero.

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