DRONI E ROBOT: COSÌ LEONARDO SALE IN CATTEDRA da IL FATTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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DRONI E ROBOT: COSÌ LEONARDO SALE IN CATTEDRA da IL FATTO

Droni e robot: così Leonardo sale in cattedra

LA DIFESA NELLE UNIVERSITÀ – Il mestiere delle armi. Il colosso partecipato dal Mef nel 2023 ha investito 2,2 miliardi di euro in ricerca e sviluppo. Stretti accordi con decine di atenei studenti e docenti protestano

VINCENZO BISBIGLIA  30 MARZO 2024

C’è un numero, contenuto nel documento di bilancio integrato 2023 di Leonardo, che più di tutti aiuta a raccontare quanto l’industria a destinazione bellica abbia ormai permeato l’università, non solo italiana. Alla voce “modello di business”, infatti, viene indicato che l’ex Finmeccanica ha investito ben 2,2 miliardi di euro nel settore “ricerca e sviluppo” e “ingegneria di prodotto” in collaborazione “con 90 università e centri di ricerca nel mondo”. La società italiana, partecipata al 30% dal ministero dell’Economia e Finanze, non dichiara quanti di questi soldi siano stati investiti sul territorio nazionale. Ma i Paesi che in questo senso Leonardo ritiene “domestici” sono essenzialmente quattro: l’Italia ovviamente, ma anche la Polonia, il Regno Unito e gli Stati Uniti. E quando c’è da elencare gli stakeholder esterni, università e centri di ricerca contribuiscono per il 12%. Un filo diretto e sempre più strutturato che unisce Leonardo e il mondo accademico, per una società che a bilancio dichiara che il 75% del proprio fatturato dipende dal settore Difesa, riferendosi in gran parte (82%) a clienti governativi. “L’obiettivo dell’azienda è diventare un driver dell’innovazione, attraverso la creazione di un ecosistema incentrato sulla ricerca per lo sviluppo prodotto e sulla ricerca tecnologica”, si legge.

I collettivi studenteschi, spalleggiati da un nutrito gruppo di docenti e ricercatori, in questi giorni stanno protestando contro la progressiva “militarizzazione dell’università”, anche alla luce degli effetti sulle guerre in atto, su tutte l’operazione militare di Israele nella Striscia di Gaza, avviata l’8 ottobre scorso – in seguito agli attentati di Hamas sul territorio israeliano – e che secondo l’Onu ha prodotto fin qui oltre 30 mila vittime. E proprio la presenza di Leonardo in Israele si è concretizzata due anni fa con la nascita della società Drs Rada Technologies, specializzata in radar per la difesa a corto raggio e anti-droni, creata dopo l’acquisto di Rada Electronic Industries.

Quella dei droni è una delle tecnologie su cui Leonardo coinvolge di più le giovani menti. Prendiamo il drone contest, una sorta di gara tra università italiane creato “al fine di realizzare dei sistemi drone autonomi con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale”. Il secondo ciclo triennale coinvolge i politecnici di Torino, Milano e Bari, l’Alma Mater Studiorum di Bologna, la Sant’Anna di Pisa, Tor Vergata di Roma e la Federico II di Napoli. L’obiettivo? Creare “un ecosistema capace di mettere in connessione grandi imprese, mondo della ricerca e della formazione, Pmi e start-up”. È il cosiddetto dual use (“duplice impiego”) di questi progetti ad alimentare il dibattito etico nel mondo universitario. Una galassia cui Leonardo punta moltissimo. Solo relativamente alle borse di dottorato, ad esempio, nel 2023 la società partecipata dal Mef ha assegnato 32 borse con 17 diversi atenei italiani su tematiche quali I.A., Robotica e Digital Technologies. Il numero totale degli assegni attualmente attivi supera le 150 unità e riguardano 30 atenei italiani e 16 del Regno Unito.

C’è poi la Fondazione Med-Or, la costola di Leonardo – presieduta dall’ex ministro dell’Interno, Marco Minniti – nata “con l’obiettivo di promuovere attività culturali, di ricerca e formazione scientifica” – che nel corso del 2023 ha finanziato 346 borse di studio per studenti provenienti dai paesi partner di Africa e Medio Oriente.

Tra i principali partner accademici di Leonardo va sicuramente annoverato il Politecnico di Torino. Il libro del professor Michele Lancione, Università e Militarizzazione (Eris, 2023) cita alcuni casi tra cui il master in Operational excellence management, “pensato e gestito con Leonardo – scrive il docente e autore – in cui quest’ultima si prende l’impegno di assumere gli studenti come apprendisti già da ‘prima dell’inizio delle lezioni del master’”. E anche con Leonardo parte attiva, il Politecnico ha avviato i lavori per la realizzazione della Città dell’Aerospazio a Torino “un grande progetto di riqualificazione urbana e industriale, interamente dedicato al mondo dell’Aeronautica e dello Spazio, che coinvolgerà i maggiori player del settore”. “Leonardo a Torino piano piano, è diventato quello che era la Fiat in passato. Un partner industriale di riferimento a cui ci si lega sempre di più”, ha commentato Lancione in una recente intervista rilasciata ad Altreconomia.

Un po’ tutti i più importanti atenei italiani, pubblici e privati, collaborano attivamente con il colosso. E su vari fronti. Accordi quadro sono stati sottoscritti nel 2023 con Napoli, Bologna, Milano, Torino, Roma (Sapienza) e Genova. Federico II, Verona e Sant’Anna di Pisa partecipano a un progetto relativo al “trasferimento tecnologico della Robotica in Italia”. La Sapienza e il Cnr sono attivi insieme a Leonardo e alla Marina Militare nella realizzazione del Rapporto dedicato alla “dimensione subacquea”. In generale, i dipendenti di Leonardo nel 2023 hanno tenuto oltre 2 mila ore di docenza in università e scuole italiane, dando vita a laboratori sulla transizione digitale alle università Bocconi di Milano, a Trento e a Firenze, oppure creando corsi come all’Università di Genova, dove è stato realizzato il Leonardo-UniGe Cybersecurity Scholarship Program dove chi partecipa viene “addestrato” a temi di cyberdefence.

Leonardo non è ovviamente l’unico operatore impegnato nell’industria bellica a finanziare il mondo universitario. Basti pensare che il ministero della Difesa, nel suo “Piano nazionale della ricerca militare” ha investito 34,7 milioni di euro nel “Piano nazionale di Ricerca” gestito dal ministero dell’Istruzione. Parliamo del 25% in più, secondo il sito della Difesa, rispetto al 2004: ben 220 in progetti tecnologici “il cui sviluppo è considerato prioritario per assicurare una presenza nazionale qualificata nell’ambito dei futuri programmi di armamento”.

La tenuta dell’Università italiana dunque dipende dalla ricerca in campo militare? Un’indagine di Greenpeace aveva accertato che su 66 atenei intercettati solo dieci avevano dichiarato di non aver sottoscritto accordi con la galassia Difesa.

“Accettando queste partnership si perde la libertà di dissentire”

MICHELE LANCIONE – “La questione non è solo controllare il dual use, cosa molto complessa. Ma evitare i rapporti istituzionali diretti con chi produce armamenti o fa parte del mondo della difesa”

VIN. BIS.  30 MARZO 2024

“La questione non è semplicemente morale, ma di opportunità. Se noi lavoriamo con Leonardo, che vende gli Eurofighters ad Al Sisi, ci priviamo della libertà istituzionale di poter prendere posizioni chiare e credibili non solo contro le guerre, ma anche contro l’apparato militare industriale che ci sta dietro. Perché ne facciamo parte”. Parola di Michele Lancione, docente di Geografia ed Economia politica al Politecnico di Torino nonché autore di Università e militarizzazione (Eris) sugli intrecci tra industria militare e università.

Professore, Leonardo collabora con quasi tutti gli atenei. Lei teorizza l’uscita dai progetti bellici o che comunque si prestano al dual use. È possibile?

Certamente. La questione non è solo controllare il dual use, cosa molto complessa. Ma evitare i rapporti istituzionali diretti con chi produce armamenti o fa parte del mondo della difesa. Le logiche di quel mondo – trarre profitto dalla vendita di armi – non sono quelle dell’università. Per fare ricerca scientifica non serve il militare.

Però Leonardo investe 2,2 miliardi in Ricerca e Sviluppo. Senza queste e altre somme, le università italiane riuscirebbero a sostenersi?

Bisogna aumentare il finanziamento pubblico alla ricerca di base. Invece di finanziare il Piano nazionale di Ricerca militare del ministero della Difesa, si potrebbero usare quelle risorse per il già esistente Piano nazionale della Ricerca del Mur. Detto ciò, il corpo docente può già dire di no ai Frontex e ai Leonardo di turno.

Il Politecnico di Torino è tra i principali partner di Leonardo. Come vivono i docenti questa situazione?

Alcuni con indifferenza, altri con orgoglio. Pochi ne vedono il problema. Ma come le ho già detto, non è una questione morale, ma di opportunità.

Una soluzione per selezionare i progetti e valutarne il dual use potrebbero essere i comitati etici docenti-studenti?

Potrebbero, ma basterebbe stilare una lista di chi produce armi e dei Paesi che sono chiaramente fautori di guerra, ed evitare rapporti con gli uni e con gli altri.

Quali sono i progetti di “collaborazione” maggiormente compromettenti?

Da un lato quelli in cui l’università dice di fare ricerca, ma in realtà lavora su committenza (privandosi quindi della capacità di dire “no” e di porre domande scomode). Dall’altro quelli in cui l’università si presta alla legittimazione culturale del committente, come Frontex che con 5,8 miliardi di budget viene al Politecnico per farsi fare mappe che avrebbe tutta la capacità di farsi da sé solo per comprare il logo PoliTo e autolegittimarsi.

C’è una saldatura tra docenti e studenti per la smilitarizzazione delle università. Quali sono i risultati raggiungibili a breve termine?

Per iniziare, stop all’accordo Italia-Israele del Maeci e dimissioni di rettori e rettrici dal consiglio di amministrazione di Med-Or (la fondazione di Leonardo).

Lei è tra i 2.000 firmatari della lettera al ministro Tajani contro la partecipazione delle università al bando Maeci sull’Accordo di sviluppo e innovazione Italia-Israele. Quali sono le contraddizioni etiche?

Alcune delle linee di finanziamento di quel bando si prestano direttamente al dual use. Basti pensare che una è sulle “ottiche di precisione” e “elettronica” per applicazioni di “frontiera”. Lavorare con un Paese coloniale e assolutamente militarizzato come Israele su progetti tecnologici di “frontiera” significa lavorare su progetti che avranno un uso per i suoi programmi di “difesa”.

L’Università di Torino si è sfilata, il Rettore di Bari ha abbandonato il board di Med-Or. I Rettori stanno tendendo la mano alle istanze degli studenti?

Forse alcuni iniziano a rendersi conto che sono lì per servire gli studenti. L’università è per loro, non per altri.

La ministra Bernini ha appena annunciato un accordo con Fondazione Med-Or per la collaborazione su “Alta formazione, Ricerca e Innovazione nei Paesi africani”. Insomma, il governo non arretra.

La ministra sbaglia. Mi chiedo come faccia a non rendersi conto di quello che Med-Or rappresenta: un progetto geopolitico con una chiara vocazione commerciale (Leonardo: vendere armi). Cosa c’entra, tutto questo con lo studio e l’amore per il sapere?

La Normale dice no: “Stop agli accordi con Tel Aviv”

STUDENTI IN PROTESTA – A Pisa, città dei giovani manganellati dalla polizia, l’ateneo chiede al Maeci di “riconsiderare” la cooperazione

 VINCENZO BISBIGLIA E LORENZO GIARELLI  29 MARZO 2024

Prima Torino e Bari, ora Pisa. Gli studenti in protesta contro la progressiva militarizzazione delle università hanno segnato un altro punto. Dopo una sessione-fiume del Senato accademico, infatti, la Normale ha approvato una mozione in cui chiede al ministero degli Esteri di “riconsiderare” il bando scientifico 2024, emesso il 21 novembre scorso, in attuazione dell’Accordo di cooperazione industriale scientifica e tecnologica Italia-Israele. L’avviso pubblico – che è aperto a tutti gli atenei e i cui termini scadranno il 10 aprile – è uno dei punti più contestati dai collettivi studenteschi nella mobilitazione nazionale permanente che ha portato alle iniziative dell’ultima settimana e all’occupazione del rettorato della Sapienza di Roma.

Nella mozione, la Normale chiede “il rilascio degli ostaggi e un immediato cessate il fuoco nella Striscia di Gaza”, poi sottolinea “l’inaccettabile forma di punizione collettiva della popolazione palestinese” in atto da mesi. Non solo. Richiamando “l’articolo 11 della Costituzione” (quello per cui l’Italia “ripudia” la guerra), la Normale “si impegna a esercitare la massima cautela e diligenza nel valutare accordi istituzionali e proposte di collaborazione scientifica che possano attenere allo sviluppo di tecnologie utilizzabili per scopi militari e alla messa in atto di forme di oppressione, discriminazione o aggressione a danno della popolazione civile, come avviene in questo momento a Gaza”. E perciò si “chiede al Maeci di riconsiderare il bando scientifico 2024”. Un testo netto, quello condiviso dalla Normale, che rende merito alla mobilitazione studentesca da cui è partito tutto: “Abbiamo preteso una presa di posizione chiara – dice al Fatto Carla Bilotti, studentessa di Storia – e che soprattutto seguissero azioni concrete, come quella contro il bando. Dal 23 febbraio abbiamo utilizzato ogni spazio di dibattito pubblico per farci sentire”.

La critica della Normale alla cooperazione con Israele ha infatti un peso simbolico ancora maggiore. È a Pisa che un mese fa alcuni ragazzini sono stati manganellati dalla Polizia mentre protestavano in favore della Palestina e tentavano di entrare in piazza dei Cavalieri, proprio quella che ospita la sede della prestigiosa università toscana. Prima della presa di posizione dell’ateneo pisano, erano state le Università di Torino e Bari ad annunciare il ritiro dei progetti già presentati.

Contro il bando del Maeci non si sono schierati solo gli studenti. Quasi 2 mila tra docenti, ricercatori e personale delle università italiane hanno infatti sottoscritto una lettera aperta inviata il 29 febbraio scorso al ministro degli Esteri, Antonio Tajani. “Il finanziamento – si legge nella missiva – potrebbe essere utilizzato per sviluppare tecnologia dual use, ovvero a impiego sia civile che militare, e che la terza linea di finanziamento delle tecnologie ottiche potrebbe essere utilizzata per sviluppare device di sorveglianza di ultima generazione, anche a uso bellico”. Questo, sostengono i sottoscrittori, “aggraverebbe le responsabilità internazionali del nostro Paese poiché, nonostante le rassicurazioni del governo, l’Italia non sembra aver interrotto l’esportazione di armi verso Tel Aviv”. Tra i punti del bando c’è lo sviluppo di tecnologie legate a “ottica di precisione, elettronica e quantistica, per applicazioni di frontiera, come i rilevatori di onde gravitazionali di prossima generazione”. Tanti i soldi in ballo. Il Maeci finanzierà ogni progetto per il 50% fino a un massimo di 100 mila euro. L’altra parte la pagherà Israele.

Da martedì inizierà una settimana di mobilitazione che culminerà il 9 aprile con lo sciopero del personale impiegato nelle università, indetto dall’Usb “in sostegno alla mobilitazione dei collettivi studenteschi” e del “personale universitario, docente e non docente promotore” della lettera inviata a Tajani.

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