DRAGHI È VIVO E LOTTA INSIEME… A LORO da IL FATTO
Draghi è vivo e lotta insieme… a loro
Barca, Granaglia e altri – Il collettivo di studiosi fa le pulci al testo dell’ex premier che vuole una Ue “come gli Usa” senza capirne i limiti economici e politici. Le vittime sacrificali sono la democrazia e il welfare
Salvatore Cannavò 25 Ottobre 2024
Parafrasando slogan di altri tempi si potrebbe dire che “Draghi è vivo e lotta insieme a loro”. Dove per “loro” si intende l’articolata élite europea fatta di governi, Commissione, banche, industrie giornali e tutti coloro che quando l’ex presidente del Consiglio parla fanno la òla.
È il filo conduttore del documento “Piano Draghi, non ci siamo” che il Forum Disuguaglianze e Diversità ha dato ieri alla luce, frutto di un lavoro di mesi, grazie a un consiglio scientifico competente e desideroso di non far passare sotto traccia il lavoro dell’ex presidente Bce (tra gli estensori del testo: Fabrizio Barca, Vittorio Cogliati Dezza, Piero De Chiara, Giulio De Petra, Paolo De Rosa, Giovanni Dosi, Fulvio Esposito, Massimo Florio, Elena Granaglia, Salvatore Morelli, Ugo Pagano, Andrea Roventini, Lorenzo Sacconi). L’approccio è quello di “prendere sul serio” l’interlocutore. Gli estensori del documento lo hanno fatto notando innanzitutto un aspetto politico non trascurabile: il piano Draghi non è tanto il prodotto di un signore, semi-ritirato dalla scena pubblica e in cerca di collocazione politica. In realtà, “i contenuti del Piano sono già entrati dentro la macchina istituzionale, politica e amministrativa della Commissione, come si evince dalle Lettere di Missione ai membri designati della Commissione dalla presidente Ursula von der Leyen”. La quale non manca mai di ricordare ai suoi commissari che nel perseguire gli obiettivi loro assegnati devono seguire anche le linee guida del “piano Draghi”.
Questo piano, però, “non fa bene all’Europa” e questa conclusione non deriva tanto dalla indefinitezza o dalla confusione degli obiettivi (anche), ma dall’idea di fondo che propone. Di fatto, la stessa idea che l’Unione europea persegue da quando è nata, solo resa adesso più urgente perché una parte del gruppo dirigente europeista ancora al timone (per quanto?) è consapevole della fase di crisi e della necessità di darsi da fare per reggere alla competizione sempre più schiacciante che viene dall’altra parte dell’Atlantico e alla crescita di influenza dei paesi del Brics.
Ma questo approccio produce i danni principali del piano Draghi che è “portato fuori strada da due fattori: la scelta degli Usa come ricorrente standard di riferimento e la disattenzione ai valori fondamentali e ai punti di forza dell’Ue sul piano demografico, sociale e ambientale”. Da qui la scelta strategica di puntare sui “campioni europei” come strada per sfidare la concorrenza degli Stati Uniti senza invece “coglierne fragilità economica, politica e le forti incertezze sul futuro”. Un bel paradosso questo, i due giganti economici del pianeta vivono fratture politiche simili – la spaccatura tra Democratici e trumpiani in fondo è analoga a quella tra europeisti e sovranisti in Europa – frutto di una crisi profonda del modello neoliberista, e la Ue punta a sfidare Washington imitandola nei fatti.
L’utilizzo degli Usa come “standard” porta così il piano Draghi a utilizzare come parametri di riferimento, “commercio internazionale, energia e contesto geopolitico (che, anticipando il rimedio, chiama “difesa”), cioè i terreni su cui si gioca il confronto muscolare tra capitalismi in competizione. E invece si escludono in partenza quei terreni che presupporrebbero altre intuizioni e altre strategie. Del resto, le conclusioni di un piano di azione non possono essere disgiunte dalla griglie di lettura che si adottano: il piano Draghi è consequenziale con le proprie premesse. E infatti non considera come terreni di sfida, ad esempio, “la dinamica demografica e la connessa sfida/opportunità delle migrazioni; lo straordinario impegno di adattamento climatico necessario in vasti territori del continente; la forte crescita già avvenuta nelle disuguaglianze e nelle barriere di accesso al sistema di welfare”. La dimensione sociale è solo “ancella”, quella industriale si basa su una scorciatoia che non è chiaro a quali risultati porterà. Il documento del Forum individua alcuni dei maggiori rischi del “fare come negli Usa”: si omettono ad esempio le fragilità economiche Usa che dipendono proprio dal suo sistema industriale concentrato “in pochi conglomerati, o megacorps”, corresponsabili delle maggiori disuguaglianze; quel sistema è poi responsabile di un accresciuto “condizionamento della politica da parte delle lobby, a cominciare da quelle della finanza, delle armi, della sanità privata”. Si omette di ricordare, ancora, che gli Usa sono in permanente deficit “(3,0% del Pil nel 2023, contro l’avanzo Ue di 1,7%)” con una “posizione debitoria netta verso il resto del mondo che ha raggiunto 2/3 del Pil; che “lo straordinario debito delle famiglie e delle imprese è permanente fonte di fragilità e potenziale instabilità finanziaria”; e che la “caratteristica intrinseca del modello di sviluppo statunitense degli ultimi decenni non è solo la generazione di disuguaglianze assai più elevate che in Europa, ma anche una generale, grave fragilità politica”. Fare come negli Usa sembra tradursi nel piano nella strada dei “campioni europei” a cominciare dalla Difesa (individuata, aggiungiamo noi, come la strada più facile per un irrobustimento tecnologico, nella ricerca e nei complessi industriali), ma questa è asservita all’obiettivo di una “indipendenza dai paesi “non strategicamente allineati”, producendo un’idea di Europa militaresca in cui la diplomazia è sullo sfondo. La Difesa, quindi, “settore principe del Piano”, non pone nessuna attenzione “ai rischi dell’interazione fra segreti militari e proprietà intellettuale o al “disastroso avvento di un potere fuori posto” – come lo definì nel 1961 il presidente Usa Dwight Eisenhower” con riferimento al classico “complesso militare-industriale”.
Limiti profondi poi ci sono nell’ambito sociale e ambientale: ad esempio, si parla di “campioni europei” ma si rinuncia a conferire loro una responsabilità sociale o ambientale. Così come sul piano democratico emerge “un ultimo segnale allarmante: l’esclusione di fatto dall’intero processo previsto dal Piano per rilanciare l’Europa dell’istituzione politica con il massimo di legittimità democratica, il Parlamento europeo”.
Il documento del Forum è forse l’analisi realizzata da un collettivo di studiosi e studiose che più entra nei limiti del piano Draghi e quindi sul futuro della Ue. Questione che è praticamente assente nel dibattito pubblico. Il documento è molto tecnico, a volte sembra per addetti ai lavori – una sintesi più politica e programmatica sarebbe utile – ma ha il pregio di non sottovalutare il cambio di passo che sta avvenendo nell’Unione europea di cui è spia anche il tentativo di modificare il quadro delle alleanze politiche. La Ue vuole affrontare la crisi con più muscoli e una dose in più di tecnocrazia e neoliberismo capitalistico. Draghi è solo una punta di lancia di un processo più vasto.
No Comments